Papà non ci vede più. Si alza di botto, sfila di mano a mamma a lettera. "Brava. Brava, hai visto? È colpa tua se mi tocca sentire a quest'ora, dopo una giornata di lavoro, tutte queste stronzate!" E la strappa in almeno tre pezzi.

"Nooo! Fermo! " Mamma gli si avventa addosso. E lottano. E riesce a fermarlo prima che la faccia in mille pezzi. Poi cadono a terra alcuni frammenti di quella lettera. Mamma si piega, comincia a raccoglierli mentre papà scuote la testa ed esce dal salotto. Faccio una corsa e mi infilo di nuovo nel mio nascondiglio e vedo passare anche lui che se ne va in camera da letto. E sbatte la porta. E" il segnale. Esco di nuovo. E piano piano entro nel salotto. Mamma è in ginocchio, sta raccogliendo ancora dei pezzi della lettera, poi mi vede, mi guarda con il viso un po'"dispiaciuto, ha gli occhi teneri e tristi, anche un po'"lucidi, come se volesse piangere ma frenasse le sue lacrime. Allora mi chino vicino a lei, e piano piano l'aiuto a raccogliere tutti quei pezzetti di carta. E poi, quando per terra non c'è più niente, ci alziamo e li disponiamo sul tavolo, e inizia a metterli insieme. E cerchiamo di allisciarli perché alcuni pezi sono troppo rovinati. E io non so perché ma me ne esco così: "E come fare un puzzle...". E non vorrei averlo mai detto, ma per fortuna lei sorride. Poi quando finalmente abbiamo indovinato tutti gli incastri e ogni frase anche se spezzata ha il senso giusto, il suo significato, mamma si allontana, va all'armadio, quello con le vetrine, con i vecchi piatti importanti he usiamo solo per le feste. Apre un cassetto e tira fuori lo scotch, lo porta al tavolo e inizia a farlo scorrere, ne fa una striscia lunga i poi lo strappa con la bocca perché i dentini della macchinetta on funzionano più. Prende quel primo pezzo e lo attacca sul folio, così da fermare quelle parole strappate e io con tutte e due le mani tengo ferma la pagina. E in silenzio fa combaciare bene il primo pezzo di carta. Poi prende un altro pezzo di nastro adesivo, lo tira, lo taglia con i denti e lo mette su un altro strappo, questa volta dall'alto verso il basso. E mi guarda, e mi sorride, piena di dolore. Poggiando la sua mano sulle mie, allisciando il foglio, spingendo sullo scotch appena messo perché tenga meglio. E continuiamo così, in silenzio, per un bel po'.

Alla fine mamma tira su dal tavolo delicatamente quel foglio riparato. Lo tiene con tutte e due le mani. Sembra una pergamena appena ritrovata, tirata fuori da chissà quale scavo, con sopra segnate le indicazioni per chissà quale tesoro. Mamma sorride. Il suo tesoro. Il nostro tesoro. Rusty James... per ora scomparso.

"Ehi ma si può sapere che state facendo? Ma non venite a mangiare?" Ale compare sulla porta. Sta praticamente ancora masticando. "Oh. Io ho finito! Mi ero rotta di aspettare... Vado in camera mia!" Mamma non dice niente. Io ho un solo pensiero: ma invece di Rusty, non se ne poteva andare lei?

E così andiamo in cucina e mangiamo io e mamma. Mi fa un piatto di spaghetti al pomodoro, buonissimi. E anche se dovrei stare un po'"a dieta, in realtà sono salita solo di mezzo chilo e ne avevo persi due quindi posso ancora permettermelo, decido di gustarmelo senza problemi.

"Uhm buona questa pasta! Pizzica un po', ma mi piace..."

Mamma sorride. Ci ha messo del peperoncino! E mangiamo sorridendo, chiacchierando del più o del meno. Decido di raccontarle di Massi, così, tanto per distrarla.

"Sai mamma, ho conosciuto uno..."

Ma la vedo improvvisamente cambiare espressione. Quest'argomento mi sa che non la distrae molto... Anzi, la preoccupa! Così cambio subito direzione. "All'inizio mi piaceva ma dopo che ci ho parlato un po'"non mi è piaciuto più. Ma è normale? Ci sarà mai uno che mi piacerà fino in fondo?" E così con questa ultima falsa domanda, la vedo distrarsi per bene.

"Oh sì, non ti devi preoccupare di questo, ogni cosa ha bisogno del suo tempo..."

E continuiamo così e l'ascolto mentre l'aiuto a sparecchiare. Mettiamo i piatti sporchi nel lavabo, a sinistra, e lei parla, parla, mi racconta di quando era piccola come me... del primo ragazzo che aveva conosciuto. E ogni tanto le faccio anch'io qualche domanda. "Ed era un bel tipo?" E mamma sorride. E io non mi sento in colpa per Massi, sì, le ho detto che non mi piaceva ma così, per rassicurarla, se poi mai un giorno lo dovessi incontrare, mamma mica sa che era proprio lui la persona di cui parlavo e che magari continuerà a piacermi. Mi sbuccia una mela, me la mangio con lei e poi me ne vado a letto con la sua solita raccomandazione. "Caro... i denti."

"Certo..." Poi mi infilo a letto. Ma li sento litigare. Papà e mamma. Urlano, discutono, sbattono anche le porte e tanti altri rumori forti. Così mi metto l'iPod. Dalla mia stanza si vede quella di mio fratello. La porta è ancora aperta. Rusty James non è tornato. Lo sapevo, sta resistendo. Lui è fatto così. Non credo che tornerà. E per un attimo mi piacerebbe chiamarlo e dirgli due cose e fargli sentire che comunque mi dispiace quello che è successo, che è mio fratello e che già mi manca. Ma ci sono momenti in cui bisogna resistere alla voglia di fare una telefonata, che magari uno è arrabbiato e ha bisogno di stare da solo, di non sentire nessuno, neanche quelle persone che ti vogliono più bene. Ma al libro degli oracoli, almeno quello che vorrei tanto sapere glielo posso chiedere. Me lo poggio sulla pancia. Ho la cuffia dell'iPod alle orecchie. Ho messo random, così capita una canzone a caso. Mi piace restare sorpresa dalla scelta musicale che capita, finisci per sentire una traccia che non ti aspetti perché non l'hai scelta tu, ma chissà, potrebbe avere qualche signicato... Poi metto la mano sulla copertina del libro. L'accarezzo ed esprimo con chiarezza la mia domanda:

Tornerà presto Rusty? Poi dopo qualche secondo apro. Me lo poggio dritto sulla pancia per poterlo leggere meglio.

"Alcune cose è meglio che vadano così." E leggendo quella frase mi sento morire. Non ci credo. Non è possibile. No. Non tornerà mai più. E quasi mi viene da piangere. E come se non bastasse proprio in quel momento dall'iPod parte. Ligabue. "Questa è la mia vita... sempre io che pago... non è mai successo che pagassero per me... " E delle calde lacrime mi scendono sulle guance e mi sento improvvisamente sola, senza quella certezza che solo lui sapeva sempre darmi: mio fratello. E continuo a piangere. Vorrei tanto dire a qualcuno tutte le cose che in questo momento mi passano per la mente. Ma non so a chi rivolgermi. Oppure vorrei che ora improvvisamente nella mia stanza entrassero mio padre e mio fratello e mi dicessero: "Scusa Caro, non piangere! Era uno scherzo". Ma non è così. E non sapevo quante altre cose sarebbero cambiate.


Silvia, la mamma di Carolina

Sono la mamma di Carolina. Mi chiamo Silvia. Ho quarantantun anni, non mi sono laureata, ho fatto il linguistico e non mi è servito a niente. Lavoro in una tintoria. Il mio sogno è vedere felici i miei figli. Davvero. Tutti. Soddisfatti e capaci di camminare con le proprie gambe. Questo è il motivo per cui mi alzo al mattino e rientro stanca dopo tante ore. Ma non mi pesa. Sono i miei figli e li amo tantissimo. Così diversi, fragili. Giovanni e Carolina hanno legato molto e so che si daranno sempre una mano e questo mi tranquillizza. Alessandra ha le sue manie estetiche e certe debolezze che a volte la fanno comportare un po'"diversamente da com'è in realtà. Perché Ale è buona, io lo so. Giovanni è così bello. E bravo. Non tanto all'università, perché ha dato pochissimi esami e so, sento che non è la sua strada, che la fa controvoglia solo per far contenti noi e specialmente il padre. Parlo dello scrivere, di come riesce a farmi commuovere quando racconta qualcosa. Anche Carolina lo dice sempre. Lei ci crede. Come vorrei che Rusty James, come lo chiama Carolina, riuscisse nel suo intento. Se lo meriterebbe proprio. Ma ho paura che resti deluso. Suo padre non lo appoggia e come lui faranno anche altre persone che pensano che quello dello scrittore non è un mestiere ma solo una passione che non ti fa mangiare. Si sente dire che pubblicano solo quelli che hanno delle spinte e lui di certo non le ha. Non abbiamo conoscenze importanti per aiutarlo, purtroppo. Non in quel campo. Dario, mio marito, ha speso tempo e attenzione nei confronti dei "baroni", i medici che girano in camice per i corridoi dove lavora. Spero che Rusty James abbia la forza necessaria per affrontare tutti i "no" che riceverà e che nonostante questo non si fermi mai. Mi piacerebbe sapere di avergli anzitutto insegnato questo, ai miei figli: che la vita è nostra e nessuno ci regala niente, che siamo noi a costruircela in base a quello che vogliamo davvero. Ma bisogna crederci tanto, altrimenti accadrà l'esatto contrario. Le nostre paure prenderanno il sopravvento e saremo noi stessi a mandare in aria tutto, continuando a incolpare di ciò gli altri. La mia vita è semplice e magari agli occhi degli altri potrebbe apparire modesta e senza soddisfazioni. Non è così. Vivo come so vivere e nel modo che mi permette comunque, pur con tanti sacrifici, di mandare avanti la mia famiglia. Una famiglia che ho fortemente voluto così com'è. E Carolina, la mia Caro che alla fine è quella che mi capisce di più, ogni tanto mi dice che mi stima e che non serve che io guadagni tanti soldi o che faccia chissà che lavoro "chic". Dice che sono una brava mamma, onesta e vera. E di questo io vado fiera.

L'amore. Nella mia vita avrei voluto che fosse stato come quello tra i miei genitori, ma un sentimento così è davvero raro. Non sono invidiosa, amo mio marito ma so che forse lui, col tempo, si e un po'"perso nelle sue frustrazioni. In fondo è un uomo buono e ini ricordo quanti progetti e idee aveva da giovane, quando voleva spaccare il mondo e regalarmi il "benessere". Forse non ha mai capito, perché magari non sono stata capace di farglielo sentire, che il mio "benessere" sarebbe di sentirlo un po'"più sereno, di non vederlo scattare e urlare come a volte fa. Anche se so che è solo il suo modo di dimostrare amore, di chiedere comprensione. Cosa sogno? Che i miei figli mi rendano fiera di loro e possono farlo solo in un modo: essendo davvero felici, coraggiosi, forti e fiduciosi nella vita. Consapevoli sempre che essere vivi è davvero un regalo meraviglioso, che gli altri, tutti, anche quelli che ci sembrano diversi o distanti, hanno qualcosa di buono in fondo, se solo si da loro fìducia. Che non importa avere pochi o tanti soldi, perché i veri valori, quando sono radicati dentro, sono una ricchezza inesauribile. E" così che ho sempre cercato di vivere. E ne sono felice.


Novembre

Quando avrò ottant'anni vorrei poer dire che ho:

- passato un week end in Alaska.

- Fato danza del ventre.

- Baciato più di cinque ragazzi e per ultimo Massi.

- Comprato un vestito bianco lungo.

- Usato un tostapane a scatto.

- Comprato uno di quei mega frigoriferi americani.

- Bevuto un caffè col cantane dei Finley!

Sono andata con mamma a fare un giro al cimitero. Ogni volta che vado poi mi devo consolare con Alis e Clod. Magari un gelato e un giro. Mi mette addosso una tristezza... Mamma si mette lì e sistema i fiori appena comprati dal fioraio nel gabbiotto davanti. Io non so mai che dire. Tutte quelle persone nel ricordo del loro dolore. Qualcosa che non capisco bene, perché per fortuna ancora non ho perso nessuno. Ho ancora i miei nonnetti, Luci e Tom, e tutte le persone più care con me. Forse per questo mi sento a disagio lì. Lo so, potrei non andare, ma mamma me lo chiede sempre, mi dice di farle compagnia perché altrimenti sarebbe sola. Papà non va mai al cimitero. Figuriamoci Ale. Prima l'accompagnava Rusty, ma ora l'ha chiesto a me, e poi mi spiace lasciarla sola. Lì ci sono alcuni suoi zii. Le do una mano a prendere la scala, le passo i fiori, prendo l'acqua, gliela do. E lei si mette a sistemare. Mentre l'aspetto faccio dei giri e leggo sulle lapidi più vecchie le scritte, le preghiere. Ce ne sono di brevi e suonano un po'"strane. Poi osservo quelle foto sbiaditissime in cui si riconoscono a malapena i tratti dei volti. E quei nomi che quasi non si usano più, nomi lontani come quelle vite... Poi mamma mi ha chiamato e ce ne siamo andate. Così. Come siamo venute.

Novembre è stato un mese di quelli strani, un mese di passaggio, di quelli che non dimenticherai mai facilmente nella vita. Per la prima volta mi sono sentita... come dire... donna. E questo grazie a mio fratello. Era un venerdì. Il venerdì è sempre un po'"strano quando sei a scuola. Forse perché senti che stanno arrivando sabato e domenica e così si fa ancora più casino.