e mia madre a un certo punto ha detto a mio padre: 'Il tuo

non è amore, ti sei fatto due conti, hai visto che ero una brava

ragazza

e che potevo andar bene... ma l'amore non è questo, hai capito?

L'amore non è come fare i conti dall'alimentari. L'amore è quando

fai una cosa pazza, come quella scritta sul ponte. Io e te... Tre

metri

sopra il cielo. Ecco, quello è amore'. Così gli ha detto, hai

capito?

Bello, no? Eh? Che pensi Step, ha ragione mia madre, vero?"

"Quella scritta era per una ragazza."

"Oh lo so, come no, era per Babi. Abita qui agli Stellari, nella

palazzina D, la conosco e la vedo ogni tanto, Io so che era per

lei,

che ti credi, so tutto."

Inizia a infastidirmi. Cosa può sapere? Cosa sa? Non voglio

sapere.


"Be', grazie Martina, ora devo proprio andare."

"Lo dicevamo sempre noi amiche che lei era fortunatissima.

Una scritta così poi. Io un ragazzo che mi fa una scritta così non

lo

lascerei mai. Ti posso fare una domanda?"

Non mi dà il tempo di rispondere.

"Ma perché vi siete lasciati?"

Rimango per un po' in silenzio. Poi accendo la moto. È l'unica

cosa che posso fare.

"Non lo so. Se avessi la risposta ti giuro che te la darei."

Sembra dispiaciuta sul serio. Poi viene rapita di nuovo dalla sua

allegria.

"Be', comunque, se passi un'altra volta da queste parti magari

ci mangiamo insieme un pezzo di quella pizza rossa, eh?"

La guardo e le sorrido. Io e Martina, undici anni, che ci mangiamo

la pizza. I miei amici impazzirebbero. Ma non glielo dico.

Almeno lei, con la sua età, che si tenga stretta i suoi sogni.

"Certo, Martina, se passo di qua."

Capitolo 15.

Paolo non è tornato. Forse non torna per pranzo. La casa è

perfettamente

in ordine. Troppo in ordine. Preparo la sacca. Calzettoni,

maglietta, pantaloncini, una felpa e mutandine. Mutandine.

Pollo mi prendeva sempre in giro perché usavo i diminutivi per

ogni cosa. "Facciamo un giretto. Ti va un caffettino? Mi

andrebbero

due pennette..." Questa cosa deve avermela attaccata mia madre.

Gliel'ho detto una volta a Pollo. Lui si è messo a ridere. "Quanto

sei donna," mi diceva, "hai una donna dentro." E mia madre ha

riso quando gliel'ho raccontato. Chiudo la zip della borsa. Mi

manchi,

Pollo. Mi manca il mio migliore amico. E non posso far niente

per farlo tornare. Non posso incontrarlo. Prendo la sacca ed esco.

Affanculo, non voglio pensare. Mi guardo allo specchio mentre

l'ascensore

scende. Sì. Non voglio pensare. Mi metto a cantare una

canzone americana. Non mi ricordo le parole. Era l'unica che

sentivo

sempre a New York. Una vecchia di Bruce. Cazzo, cantare fa

bene. E io voglio star bene. Esco dall'ascensore con la sacca

sulle

spalle. Canticchio: "Needs a local hero, somebody with the right

style...". Sì, era qualcosa del genere. Ma non importa. Pollo non

c'è

più. Piccolo eroe. "Lookin' for a local hero, someone with the

right smile..." Vorrei tanto parlare un po' con lui ma non è

possibile.

Mia madre invece abita da qualche parte ma non ho voglia di

parlare con lei. Ci provo di nuovo... "Lookin' for a local hero."

Cazzo

non ho imparato niente di quella canzone.

Flex Appeal, la mia palestra, la nostra palestra. Nostra, dei

nostri

amici. Scendo dalla moto. Sono emozionato. Cosa sarà cambiato?

Ci saranno altre macchine? E poi chi incontrerò? Mi fermo

un attimo nella piazzetta prima dell'ingresso. Guardo nella

vetrata

appannata dalla fatica e dal sudore.

Delle ragazze ballano al ritmo di una canzone americana nella

sala grande. Tra loro ci sono solo due uomini che tentano

disperatamente

di andare a tempo con il bodywork di Jim. Così leggo

sul foglio attaccato all'entrata che indica la speciale lezione o

quel che deve essere. Indossano scarpe, body, tutine e top quasi

tutte di marca. Pare una sfilata. Arabesque, Capezio, Gamba,

Freddy, Magnum, Paul, Sansha, So Danca, Venice Beach, o Dimensione

Danza. Come se nascoste dietro un nome potessero ballare

meglio. Come cazzo fanno due uomini a non vergognarsi per

quel miserabile tentativo di ginnastica. In mezzo a tutte quelle

donne poi. Body stretti e colorati, trucchi perfetti, calzamaglie

nere, pantaloncini o tute aderenti... e poi, due uomini in

calzoncini.

Uno pelato, l'altro quasi. Hanno la maglietta larga che nasconde

la pancia. Saltano scoordinati, affannati, disperatamente

alla rincorsa del ritmo. Ma non lo trovano. Anzi, qualcuno deve

averglielo nascosto per bene fin dall'infanzia. Insomma, fanno

pena.

Vado oltre ed entro. In segreteria c'è un ragazzo mezzo tinto,

capello lungo, faccia abbronzata. Parla sommessamente al cellulare

con un'ipotetica donna. Mi vede e continua per un po' a

chiacchierare,

poi alza lo sguardo e si scusa con una certa "Fede" al telefono.


"Prego?"

"Vorrei fare la tessera. Tutto il mese."

"Sei già stato qui da noi?"

Mi guardo in giro, poi guardo lui.

"Ma non c'è Marco Tullio?"

"No. È fuori. Lo puoi trovare domani mattina."

"Ok, allora mi iscrivo domani, sono un suo amico."

"Come vuoi..."

Non gliene frega più di tanto, d'altronde i soldi non sono suoi.

Vado nello spogliatoio. Due ragazzi si stanno cambiando per

allenarsi.

Ridono e scherzano. Parlano del più e del meno e di una certa

ragazza. "Niente, siamo stati a cena alla Montecarlo, la pizzeria.

Oh, non sai... Ogni due minuti le squillava il cellulare. Era

l'uomo

che sta facendo il militare. E lei giù che gli raccontava

cazzate."

"Ma no, giura!"

"Te lo giuro."

Ascolto mentre mi cambio, ma già immagino come va a finire:

"E lei che diceva 'ma no, no, sto a cena con Dora. Dai, te la

ricordi

quella che c'ha il negozio, è una parrucchiera'...".

"Ma dai, e lui?"

"E lui che poteva fare? Le credeva. Alla fine siamo andati a casa

sua e mentre lei mi faceva un pompino, ha squillato di nuovo il

suo telefonino."


"No! E tu che hai fatto?"

"Io? Ho risposto, che dovevo fare?"

"E che gli hai detto?"

"Mi dispiace ma in questo momento non può proprio rispondere,

sta discutendo con Dora! "

"Ma dai! Troppo forte." E giù risate.

"Da allora Dora è il soprannome che ho dato al mio uccello.

Eccolo qui..." lo tira fuori e lo mostra all'amico. "Ciao Dora,

saluta

Mario!"

Ridono come pazzi mentre il tipo con "Dora" in mano saltella

a piedi nudi sul bagnato. Alla fine scivola e cade per terra.

L'altro

ride ancora di più mentre io vado ad allenarmi.

"Tienimi le chiavi, le metto qui." Infilo le chiavi con le quali

ho

chiuso l'armadietto in un portapenne sulla scrivania. Il tipo alla

segreteria

mi fa un cenno con la testa e continua a chiacchierare al

telefonino. Poi ci ripensa. Mette la mano sopra il telefonino e

decide

di dirmi qualcosa.

"Ehi capo, per oggi puoi allenarti, ma domani devi fare la

tessera.

"

Mi guarda soddisfatto con la faccia un po' da paraculo, un po'

da duro. Poi con un sorriso ebete torna a parlare. Si gira e mi dà

le

spalle. Si vanta. Ride. Sento le sue ultime parole: "Hai capito,

Fede?

È arrivato e crede di stare a casa sua".

Non fa in tempo a finire. Lo prendo per i capelli. A mano piena.

Quasi lo alzo dalla seggiola. Si mette sull'attenti con la testa

leggermente

piegata verso di me. I capelli tirati in gruppo fanno un

male cane. Lo so. Me lo ricordo. Ma ora sono i suoi.

"Chiudi il telefonino, coglione." Abbozza un "Ti richiamo eh,

scusami". E chiude.

"Allora, per prima cosa questa è casa mia. E poi..." gli tiro i

capelli

più forte. "Ahia, ahia mi fai male."

"Invece io voglio che senti bene: non chiamarmi mai più capo

in vita tua. Hai capito?"

Cerca di fare un sì con la testa ma accenna solo un piccolo

movimento.

Tiro più forte per esserne sicuro.

"Non ho sentito... Hai capito?"

"Ahia, ahia... Sì."

"Non ho sentito."

"Sì" quasi urla dal dolore. Ha le lacrime agli occhi. Mi fa anche

un po' pena. Lo lascio andare con una piccola spinta. Si accascia

sulla sedia. Si massaggia subito la testa.

"Come ti chiami?"

"Alessio."

"Ecco, sorridi," gli do due schiaffetti leggeri sulla guancia,

"ora

puoi richiamarla se ti va, dille pure che hai reagito, che mi hai

cacciato

dalla palestra, che mi hai menato, di' pure quello che ti pare,

ma... non te lo dimenticare. Non mi chiamare mai più capo."

Poi una voce alle mie spalle.

"Anche perché dovresti saperlo. Lui si chiama Step." Mi giro

sorpreso, anche leggermente in difesa. Non mi aspettavo di sentire

il mio nome. Non ho visto nessuno dei miei amici, nessuno che

possa sapere il mio nome. E invece c'è qualcuno. Lui. È magro,

anzi

magrissimo. Alto, braccia lunghe, capelli con un taglio comune,

sopracciglia un po' folte, unite al centro sopra un naso lungo che

sporge su delle labbra strette di una bocca larga. Forse è così

larga

perché sorride. Sembra un francese. Sicuro di sé, tranquillo, ha

le mani in tasca e lo sguardo divertito. Porta i pantaloni lunghi

della

tuta e una felpa sbrindellata sul rosso stinto. Sopra ha un

giubbotto

Levi's chiaro. Non so classificarlo.

"Non ti ricordi di me, vero?" No, non mi ricordo. "Guardami

bene, forse sono cresciuto." Lo guardo meglio. Ha un taglio sopra

la fronte, nascosta dai capelli, ma niente di grave. Si accorge

cosa

sto guardando. "È stato l'incidente in macchina, dai, sei anche

venuto

a trovarmi all'ospedale."

Cazzo come facevo a non ricordarmi!

"Guido Balestri! È una vita... Stavamo alle medie insieme."

"Sì e abbiamo fatto i due anni del liceo. Poi ho abbandonato."

"Sei stato bocciato? Non mi ricordo proprio tutto."

"No, ho seguito mio padre."

Ah, è vero. Come no! Balestri. Il padre è un grande non so che,

uno che sta sempre in mezzo a tutte quelle cose, società per

azioni

o roba del genere. Stava sempre in giro per il mondo.

"Allora... come stai?"

"Bene e tu?"

"Bene anch'io. Bello rivederti. Ho sentito tanto parlare di te,

Step, qui a Vigna Clara ormai sei un mito."

"Be', non direi proprio."

Rivolgo lo sguardo ad Alessio. Sta mettendo a posto dei fogli e

fa finta di non sentire. Non riesce a non toccarsi i capelli.

Guido

ride divertito.

"Che c'entra, sei un mito per chi conosce le nostre storie. Si

parla ancora di quelle risse mitiche... Mi ricordo di quando hai

fatto

a botte col Toscano dietro a Villa Flaminia nel boschetto."

"Eravamo dei ragazzini..."

Guido rimane un po' deluso.

"So che sei stato a New York."

"Sì, sono stato fuori due anni."

"Stasera ci vediamo. Siamo un po' di gente, andiamo a mangiare

una pizza. Perché non vieni anche tu?"

"Chi siete?"

"Un po' di gente del Villa Flaminia. Li ricordi senz'altro, dai...

Pardini, Blasco, Manetta, Zurli, Bardato, tutti loro. Insomma con

donna o senza. Dai vieni, cazzo, farà piacere a tutti rivederti.

Andiamo

a Bracciano all'Acqua delle donne."

"Mai stato."

"È un posto bellissimo, anzi se c'hai la donna portala. Posto

incantevole.