Una volta mangiato lì, dopo... è tutta una passeggiata...
e in discesa. Il dessert ti spetta di diritto... ma a casa sua."
Riesce a farmi ridere: "A che ora andate?".
"Verso le nove."
"Vengo a mangiare ma evito la passeggiata..."
"Cioè senza donna." Ride in maniera strana. Me lo ricordavo
più sveglio. Ha un dente davanti spezzato e non dava mai troppa
confidenza. Ora me lo ricordo meglio. Lo chiamavamo Scorza.
Era tutto un programma. Correva che era uno sfacelo. Quando
ci allenavamo a scuola nel campo da corsa del Villa Flaminia,
gareggiava
nell'ultimo gruppo. "I porcellini" li chiamava Cerrone,
il nostro prof di Educazione fisica. Anche il prof era strano
forte.
Mentre facevamo ginnastica si metteva a leggere il giornale
sportivo e per controllarci ci faceva due buchi al centro. Come se
noi non ce ne accorgessimo. Però sui tre porcellini era
imbattibile.
Arrivavano al traguardo in tre, lui, Biello e Innamorato, bianchi
cadaverici, con la lingua di fuori. "Porcellini da latte! "
gridava
il prof. "Vi dovremmo mettere allo spiedo e farvi rosolare." E
rideva come un pazzo. Ma questo a Balestri non glielo ricordo.
Forse è meglio di no. In fondo mi ha invitato a cena. Anzi ci
tiene
a ricordarmelo.
"Oh, allora alle nove all'Acqua delle donne, eh, con donna o
senza. "
"Va bene."
Mi saluta e scappa via. Che verrà a fare in palestra? Non ha un
chilo, non sale di peso, è magro come il mio ricordo più sbiadito.
Cazzi suoi. Però è simpatico.
Ecco. Lo sapevo! Lo sapevo che Step veniva ad allenarsi qui in
palestra. Ne ero sicura. Ed ero sicura che veniva proprio in
questa
palestra! Sono troppo forte. E lui è troppo conservatore. Troppo.
Spero che almeno in qualcosa cambi! ! ! Be', ora me ne vado. Non
mi ha visto. Io invece ho sentito quello che dovevo sentire.
Attacco con le prime macchine, mi scaldo veloce, ripetizioni a
raffica, per ammorbidire i muscoli. Carico poco, il minimo
indispensabile.
Vedo uscire una ragazza di fretta con un cappellino
arancione mezzo calato in testa. Certo che ce ne sono di persone
strane al mondo. Lì vicino due altre ragazze parlano fra loro e
ridono
di qualcosa. Racconti della serata prima o di quello che deve
ancora accadere. Una è leggermente truccata, porta i capelli corti
mesciati e se li tocca in continuazione. Ha un bel fisico e sta a
gambe
larghe perché sa di averlo. L'altra è più cicciotta e non tanto
alta,
capello alle spalle, più scuro del solito forse perché sporchi. Ha
le mani sui fianchi e una tuta grigia leggermente macchiata dalla
quale spunta fuori anche un po' di pancia.
"Lavorate! Qui in palestra si viene per lavorare..." Sorrido
mentre
passo. Quella bassa mi risponde facendo una specie di smorfia.
L'altra è più tranquilla: "Siamo in fase recupero".
"Da che?"
"Stress da pesi."
"Pensavo qualcosa di meglio."
"Quello più tardi..."
"Non ne dubito." Ora ridono tutte e due. In realtà sull'altra ho
qualche dubbio. Ma una donna qualcosa la spunta sempre. Non
c'è niente da fare, noi dovremmo essere più compatti, almeno in
certi casi. La guardo meglio. Dice qualcosa all'amica indicandomi
con lo sguardo. L'altra mi guarda. La vedo riflessa nello specchio
che sorride. È bella con i capelli corti, ha un seno piccolo
perfettamente
disegnato sotto il suo body. Le s'intravedono i capezzoli.
Lo sa ma non si copre. Sorrido e penso ai miei addominali. Faccio
subito una prima serie da cento. Quando ho finito le due ragazze
non ci sono più. Saranno andate a farsi la doccia. Chissà se le
riconosco
quando le incontro. È incredibile come una donna che
esce dagli spogliatoi può essere diversa da quella che hai visto
poco
prima sotto i pesi. Ma non c'è verso, migliorano tutte. Al massimo
te la potevi immaginare elegante e invece quella che t'esce la
vedi con degli stivali con le borchie d'oro o roba del genere. Ma
comunque diverse. Miracoli del trucco. Ecco perché la spuntano.
Seconda serie da cento. Guardo il soffitto senza fermarmi, uno
dopo
l'altro, con le mani dietro la testa, con i gomiti allineati,
tesi,
aperti. Uno dopo l'altro. Ancora più forte. Non ce la faccio più,
il
dolore inizia a sentirsi, penso a mio padre, alla sua nuova donna.
Continuo senza fermarmi. 88, 89, 90. Penso a mia madre. 91, 92.
Quant'è che non la vedo. 94, 95. Devo chiamarla, dovrei chiamarla.
98, 99, 100. Finito.
"Non ci posso credere, Step! " Mi giro, quasi non riesco a parlare
dal dolore agli addominali. Per un attimo mi ricordo il film di
Troisi quando lui, pur di vedere la donna che gli piace tanto,
corre
intorno al palazzo e quando la incontra non ha il fiato per
parlarle.
Troppo forte Troisi.
"Che ci fai? Aho, sei tornato... Mi avevano detto che eri fuori
a New York ! "
Ancora? Oh, non c'è niente da fare. Non sono proprio riuscito
a passare inosservato.
Finalmente mi sono ripreso e lui lo riconosco facilmente.
"Ciao Velista, come stai?"
"Ancora con questo soprannome. Lo sai che non mi ci chiama
più nessuno?"
"Vuol dire che sei cambiato?"
"Ma di che poi? Io non ho mai capito perché mi chiamavate
tutti il Velista, manco a dire che amo le barche, non ci so' quasi
mai
andato."
"Veramente non sai il significato del tuo soprannome?"
"No, ti giuro."
Lo guardo. Denti un po' larghi, come allora, una felpa sdrucita,
un paio di pantaloncini verdi chiari, i calzettoni calanti,
sbrindellati,
perfettamente in linea con un paio di Adidas stansmith ormai
decrepite. Il Velista.
"Allora?"
Mento. "Ti chiamavano Velista perché amavi tanto il mare."
"Ah, ecco ! Ora ho capito, quello è vero. Mi piace proprio tanto.
"
È soddisfatto ora, fiero del suo nome. Sembra quasi guardarsi allo
specchio, tanto l'ha rivalutato. In realtà non c'aveva mai una
lira,
veniva con noi solo per mangiare la pizza e scroccare. Per questo
tutti
dicevano che "andava a vela". Povero Velista. Una volta prese un
sacco di botte da una mignotta giù al bowling, vicino all'Amene
perché
dopo non so quale lavoretto, voleva pure lo sconto. Aveva solo
10 euro in tasca e aveva goduto per almeno 20.
"Oh, so' proprio felice di rivederti."
Mi guarda contento, lo sembra davvero.
"Hai già visto qualcuno?"
"No, sono arrivato ieri. Non ho visto nessuno qui in palestra."
"Ma sai, adesso s'allenano un po' da tutte le parti. Qualcuno
poi s'è messo a lavora', qualcun altro se ne è andato fuori
all'estero.
Oh ecco, guarda chi arriva."
Fuori dalla finestra si vede passare una borsa blu scuro sopra
le spalle di un uomo dai capelli corti.
"Non lo riconosco." Lo guardo meglio. Niente. Il Velista prova
a darmi una mano.
"Ma dai, è il Negro. Non te lo ricordi?"
"Ah, ho capito, sì, ma lo conoscevo solo di vista."
Il tipo entra e saluta il Velista: "Ciao Andre'. Che fai,
t'alleni?".
Il Velista incredulo mi indica fiero."Ma hai visto con chi sto?
È Step."
Il Negro mi fissa per un po'. Poi sorride. Ha la faccia simpatica,
uno zigomo un po' ammaccato, mi viene incontro: "Ma dai,
Step... Certo, come no. È una vita che non ci vediamo".
Ora lo riconosco. Porta i capelli corti. Prima li teneva sempre
un po' lunghi, oliati, stava fisso con un giubbotto blu
all'Euclide
di Vigna Stelluti.
"Non sapevo avessi questo soprannome. Il Negro. Mi ricordo
che ti chiami Antonio."
"Sì, dopo la storia di Tyson, dicono che ci somiglio."
Ha il collo un po' taurino, la pelle porosa e il naso un po'
ammaccato,
capelli corti alla Tyson. Ha gli occhi un po' a palla e il labbro
superiore più grosso del solito.
"Be', insomma mica ci somigli tanto."
"Ma no fisicamente! " Ride sguaiato e comincia per un po' a
tossire.
"Per la storia della rissa! Pure io so' andato a un concorso di
miss a Terracina e poi c'ho provato con una che stava a
partecipa'.
Hai capito? Per questo dicono che so' Tyson. 'Sta stronza, mi ha
invitato
su in camera, io volevo scopa' e lei pensava che je volessi
racconta'
le barzellette. S'è offesa pure e non ci voleva sta'. Ma io jo
fatto
capi' che il suo era solo un problema di capoccia. E da allora mi
chiamano il Negro." Ridono come pazzi lui e il Velista.
"No, sai, è uscita la storia su tutti i giornali di Borgo Latino,
giù
prima di Latina. Il Tyson della Pontina, un mito. Che poi alla
fine
c'avevo ragione io, a questa je pure piaciuto."
Il Velista ci mette il carico: "Mejo de Tyson" e continuano a
ridere
e a tossire.
"A proposito, so che sei stato in America, a New York, se non
sbaglio."
Si ricomincia.
"Sì, sono stato laggiù. C'ho passato due anni, ho fatto un corso
e sono tornato ieri. E ora c'ho voglia di allenarmi. " Cerco di
troncare.
"Oh, ti va di fare due tiri? Mi dicevano tutti che eri forte a
boxare."
Il Negro sorride della sua proposta. È sicuro di sé e continua:
"Be', magari è un sacco di tempo che non t'alleni, se non ti va
non
ti sta' a preoccupa'. È che tutti parlavano di 'sto mito, 'sto
mito, e
mo' che ce l'ho davanti...".
Il Negro ride divertito, troppo sicuro di sé. Deve essere uno
che s'allena tutti i giorni almeno un'oretta e mezza.
"Ma no, figurati. Mi va."
"Allora vado subito a cambiarmi."
Vedo una luce diversa nei suoi occhi, più svegli, acuti,
leggermente
socchiusi.
Il Velista rimane invece idiota come prima: "Aho, forte
'st'incontro.
C'ho una sete pazzesca, Negro. Che, te posso segna' un Gatorade
che oggi non c'ho una lira?".
Il Negro fa segno di sì con la testa e va dritto negli spogliatoi.
Il Velista va allegro verso il bar confermando così il suo
soprannome.
Io invece rimango solo. Alessio alla segreteria mi fissa. Sta
succhiando
un Chupa-Chups e mi guarda in maniera diversa da prima.
Abbassa gli occhi e si rimette a leggere un "Parioli Pocket" che
ha poggiato sul tavolo. Sfoglia due pagine, poi mi guarda di nuovo
e sorride. "Scusa, Step, per prima. Non ti conoscevo. Non sapevo
chi fossi."
"Perché, chi cazzo sono?"
Rimane per un attimo perplesso, cercando qualche risposta
nell'aria.
Ma non trova niente. Poi ci ripensa e prende coraggio.
"Be', sei uno che si conosce."
"Uno che si conosce..." Ci penso un attimo. "Sì, è un argomento
interessante. Bravo. Vedi a volte... Non lo avevo considerato."
Sorride felice, per niente cosciente del fatto che lo prendo per
il culo.
"Senti..."
"Dimmi, Step."
"Sai se c'è qualcosa per boxare?"
"Come no."
Esce da dietro la segreteria e si muove veloce verso una panca
all'ingresso. Alza i sedili. "Qui sotto c'è la roba di Marco
Tullio.
Lui non vuole mai che nessuno la usi. "
"Grazie."
Mi guarda con entusiasmo. Mi siedo sulla panca e comincio a
infilarmi i guantoni. Non lo guardo, ma sento i suoi occhi su di
me.
"Vuoi che te li stringo?"
Lo guardo per un attimo. "Ok."
Viene veloce verso di me. Prende i lacci con cura, li avvolge
intorno
ai guantoni, lo fa con precisione. Ora non ride, è serio. Si
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