Guardando

meglio non c'è proprio neanche nessuno di magro. Gepy.

Be', in effetti Gepy un po' magro lo è. E che gli manca tutto il

resto.

È sempre lì, seduto sull'SH 50. Passa una zingara grassa sui

cinquanta.

Gepy è distratto, la zingara gli strappa di dosso la sua mano

e gliela prende tra le sue.

"1 euro per il tuo futuro. Ti porterà bene."

"Aho, ma che voi? Ma chi ti ha chiesto niente. Ma che, sei

scema?"

"Fidati di me, fatti leggere la mano, signore."

La zingara comincia a toccare la mano di Gepy con il dito come

per leggerla. "Allora, ecco vedo la sorte positiva..."

Gepy si spaventa e fa per ritrarla.

"Ma vaffanculo! Non lo voglio sapere il mio futuro."

Ma la zingara insiste e la trattiene.

"Fammi vedere bene, solo 1 euro te l'ho detto."

"Aho, ma hai finito o no? Mi stai rompendo i coglioni e molla! "

Ma la zingara insiste. Ci tiene a parlargli del suo futuro. Mica

per niente, per soldi! Diventa quasi una lotta ridicola. Poi Gepy

prende e le sputa in faccia e comincia a ridere. La zingara alza

un

pezzo della gonna mostrando dei gambaletti marroni e si pulisce il

viso. Una striatura più chiara compare sulla sua guancia mentre le

labbra scure cominciano a vomitare disgrazie. "Maledetto! Vedrai

che cosa..."

"Cosa? Che vuoi dire, eh? Cosa? Sentiamo cosa, mo' ti do un

calcio..." Gepy scende veloce dall'SH 50 per darle un calcio, ma

la

zingara si allontana. Qualcuno guarda la scena. Poi tutti fanno di

nuovo finta di niente e ricominciano a parlare tra loro. Quello è

stato solo un aneddoto divertente da raccontare a qualche cena o

da usare per chissà quale altro motivo. Una cosa è sicura. Gepy

non

è certo l'uomo che cerco. Poi lo vedo. Eccolo là. Sembra quasi

estraneo

a quello che accade lì intorno. Seduto da solo a un tavolino

sorseggia

qualcosa di chiaro, lì dove galleggia un'oliva. Ha i capelli

lunghi come da descrizione, il vestito di lino blu scuro, una

camicia

bianca, dalla stiratura impeccabile. Una cravatta leggera a

strisce

blu e nere scivola morbida lungo il petto fino ad adagiarsi oltre

la cinta, lì tra le gambe incrociate. Poco più in giù dal risvolto

dei pantaloni spuntano delle Top-Sider, né troppo nuove, né troppo

vecchie, consumate quanto basta per essere in linea con la cinta

dei pantaloni. Se ancora mi fosse rimasto qualche leggero dubbio,

quel colletto di camicia, solo da una parte slacciato, li cancella

tutti. È lui. "Salve."

Si alza in piedi. Sembra felice di vedermi: "Oh, buongiorno, lei

è Stefano?". Ci diamo la mano.

"Suo padre mi ha parlato benissimo di lei."

"Che altro poteva fare."

Ride. "Mi scusi." Gli suona il telefonino: "Ciao. Certo non ti

preoccupare. Ho già detto tutto. Ho già fatto tutto. È tutto a

posto.

Vedrai che firmano".

Uomo di potere, ama la parola "tutto".

"Ora scusami che sono in riunione. Sì, ciao. Ma certo. Ma certo

mi fa piacere, te l'ho detto..."

Chiude il telefonino. "Un rompicoglioni." Sorride.

"Mi scusi, eh? Allora mi diceva?"

Riprendo a parlare e racconto del corso che ho fatto a New

York.

"Quindi grafica in 3D."

"Sì."

"Perfetto." Annuisce compiaciuto. Sembra conoscere perfettamente

la materia. Risquilla il telefonino. "Mi scusi, ma oggi è proprio

una giornataccia."

Annuisco, fingendo di capirlo. Immagino che per lui sia sempre

così. Mi ricordo che anch'io ho un telefonino. Stupidamente

quasi arrossisco. Lo tiro fuori dal giubbotto e lo spengo. Se ne

accorge.

O forse no.

Finisce la telefonata: "Bene, lo spengo anch'io, così possiamo

chiacchierare tranquilli".

Se n'era accorto.

"Allora, farai da assistente al grafico di ruolo. Si chiama

Marcantonio

Mazzocca. È bravissimo. Lo conoscerai tra poco, sta venendo

qui, era lui poco fa al telefonino."

Spero non fosse quello della prima telefonata, ha chiuso il

telefono

chiamandolo "rompicoglioni".

"Pensa che è un nobile, ha sconfinate colline di vigneti su al

Nord. A Verona, cioè, il padre ce l'ha. Poi ha iniziato a

dipingere,

a fare quadri. È venuto giù a Roma e ha cominciato a girare per

locali

e a fare, sai, i biglietti di invito per le varie feste e altri

lavoretti

del genere? Poi pian piano si è specializzato nella computer

grafie

e alla fine l'ho preso io." Lo ascolto. Certo, per citare, un

grande

film, Nella morsa del ragno, "Uno fa ciò che è". Ma decido di

non dirlo. Prima voglio conoscerlo, questo Mazzocca. Beve un sorso

di aperitivo. Saluta qualcuno che si trova a passare di là. Poi si

asciuga con un tovagliolo di carta. Sorride. È fiero del suo

potere,

delle sue decisioni, di avere preso un nobile semplicemente per

fare

il grafico nelle sue produzioni televisive.

"Allora, spero che ti troverai bene con lui. Certo è un po'

rompicoglioni..."

Era quello della prima telefonata.

"...Ma è precisissimo nel suo lavoro e poi..."

Non fa in tempo a finire la frase. "Step, ma sei tu?" Alzo lo

sguardo. Questa non ci voleva. Gepy è di fronte a me con la faccia

da ebete, sorridente, le braccia aperte sollevate in alto. Sembra

un

predicatore un po' idiota se non fosse per i pelacci che gli

escono

fuori da quella felpa tagliata male e i suoi capelli corti.

"Non ci posso credere, sei tu! " Sbatte il palmo delle mani uno

contro l'altro con forza eccessiva. "Sei proprio te. Ma dove cazzo

eri finito?"

"Ciao Gepy, come stai?"

"Sto benissimo e non sai come sono felice di vederti. Ma che

ci fai qui tutto agghindato. Aho, non riesco a crederci. Step è di

nuovo su piazza!"

Vorrebbe urlarlo a qualcuno, si guarda in giro, ma non capisce

che il suo show non è destinato proprio a nessuno. Se non a

me. Il signor Romani poi... Non credo proprio che appartenga al

suo target.

"Scusami Gepy, ma stiamo parlando." Guardo il signor Romani

cercando, non so perché, il suo appoggio. Mi sorride divertito e

fa

una faccia come a dire non ti preoccupare, sono cose che

succedono,

non sai quanti me ne capitano a me di coglioni come questo.

Almeno questo è quello che mi fa piacere leggere.

"Aho Step, ancora mi ricordo quando hai sfondato il Mancino.

Eravamo su da Giovanni, il gelataio, ti ricordi, eh? Quello stava

lì che faceva il capo, poi sei arrivato tu. Non hai fatto in tempo

a scendere dalla moto, oh, manco l'hai visto, che quello ti è

partito.

Hai preso una sveglia, mamma santa. Il Mancino credeva che

eri finito, invece..."

Gepy ride sguaiato.

"Bum, l'hai preso con un calcio in pancia e non gli hai dato

tempo. Bum, bum, bum, che serie impressionante al viso."

Gepy saltella lì davanti tirando cazzotti nell'aria. "Bum, bum,

bum, me lo ricordo come fosse ieri. Una carneficina, l'hai

sdraiato.

E quella volta al benzinaio di corso Francia, da Beppe. Quando

sono arrivati quei due bori sulla Renault 4, che poi mi hanno

detto pure che erano amici del Mancino, che t'hanno circondato..."

"Gepy, scusa, te lo ripeto, stavo parlando con il signore."

"Ma no, non ti preoccupare."

Romani sorseggia l'aperitivo, sembra sinceramente interessato.

"Lascialo parlare."

Gepy mi guarda interrogativo, poi senza aspettare neanche un

minimo cenno riparte tranquillo: "C'avevano pure una catena. Aho,

niente, eh?... ja detto male... Sembra che non sono neanche più

rimasti

amici con il Mancino! Ahhhhh!".

Riprende a ridere ancora più sguaiato di prima.

"Che mito! So' finiti quei tempi, so' passati. Adesso tutti

tranquilli,

tutti a bivaccare come pecore, senza nome, senza regole, senza

onore... Pensa che adesso se ci provi con la donna di uno, quello

non si incazza neanche. Non c'è più religione. "

Quest'ultima specie di discorso tra il nostalgico e l'amaro mi

convince a darci un taglio.

"Senti, magari ci vediamo una di queste sere, eh?! "

"Come no. Tieni, ti lascio il mio numero." Tira fuori un

bigliettino

dalla tasca posteriore dei jeans. Quasi mi rifiuto di guardarlo.

C'è il numero del suo cellulare e dietro la foto di Gepy

perfettamente

stampata in bianco e nero con lui a torso nudo, in finta

posa da culturista o qualcosa del genere. "Forte, no? Me ne so'

fatti fa' duemila," poi serio, "mi servono pure per lavorare, eh!

"

Poi si allontana all'indietro, mettendosi in posa classica.

Pollice,

mignolo, orecchio, bocca.

"Chiamami, Step, che ci facciamo 'sta pizza. Ci conto!"

Annuisco abbozzando un sorriso.

Gepy scuote la testa e si allontana saltellando.

"Mi sembra un tipo simpatico. " Romani mi guarda incerto. Non

è del tutto convinto della sua affermazione.

"Be', a modo suo... È tanto che non lo vedo. A quei tempi era

molto divertente."

"A quei tempi? Sembra che sia passata un'era. Si tratterà di

qualche anno."

La sua domanda rimane nel vuoto. Un'era in fondo è passata.

Romani finisce di bere il suo aperitivo. "Eccolo. Sta arrivando. È

Marcantonio. "

Uno strano incrocio tra Jack Nicholson e John Malkovich cammina

sorridendo verso di noi fumandosi una sigaretta. Stempiato,

con i capelli corti sopra l'orecchio e le basette lunghe che gli

accarezzano

la guancia chiudendosi a virgola. Un bel sorriso, uno sguardo

furbo. Con una schicchera lancia lontano la sigaretta, poi quasi

piroetta su se stesso e si siede sulla sedia libera vicino a noi:

"Allora,

come va? Sono stato un po' rompicoglioni al telefono, eh?".

Non permette a Romani di rispondere.

"Ma è la mia dote principale. Sfinire, lentamente ma sfinire.

La goccia cinese, tac, tac, fino a corrodere anche il metallo più

duro.

È questione di tempo, basta non avere fretta e io non ne ho."

Tira fuori un pacchetto di Chesterfield light azzurre e le poggia

sul tavolino sotto un Bic nero. "Marcantonio Mazzocca, nobile

decaduto

ma in netta ripresa." Gli do la mano: "Stefano Mancini,

credo il tuo assistente".

"Assistente, che termine ignobile hanno coniato per darci dei

ruoli." Romani lo interrompe: "Può essere ignobile quanto ti pare,

ma lui sarà il tuo assistente. Be', ora vi lascio. Spiegagli tutto

e

bene. Perché da lunedì si comincia. Andiamo in onda fra tre

settimane.

E tutto deve essere perfetto!".

"E sarà perfetto, boss! Ho portato un logo per il titolo, se

gentilmente

può controllarlo..." gli allunga una piccola cartellina comparsa

come per miracolo da una tasca interna della sua giacca leggera.

Romani la apre.

Marcantonio lo guarda tranquillo, sicuro del suo lavoro.


Romani è compiaciuto, poi se ne accorge: "Ehm, un po' più

chiaro il logo e poi... Via tutti questi ghirigori, queste frecce

qui...

Tutto più leggero! ".

Romani si allontana con la cartellina sotto il braccio.

"Vuole sempre dire la sua, lo fa sentire più sicuro. E noi stiamo

al gioco."

Si accende un'altra sigaretta. Poi si rilassa, si lascia andare

sulla

sedia e tira fuori dalla tasca un'altra cartellina. La apre. "Et

voilà. "

C'è lo stesso disegno col logo più chiaro e senza le frecce

proprio

come aveva chiesto Romani.

"Hai visto? Già fatto! "

Poi si stira guardandosi in giro. "È fantastico qui, non trovi,