chiederlo
a qualcuno che ci è stato. Penso mentre parlo. Piccole pause ogni
tanto. La signora divertita e curiosa subito ci si infila, più
tranquilla
ora, mi ha lasciato perfino la mano. Ha dimenticato la tragedia
dell'aereo.
Ora, secondo lei, si occupa della mia.
"E questa Babi, l'ha più sentita?"
"No. Ogni tanto ho sentito mio fratello. E mio padre qualche
volta. Ma non troppo spesso, le telefonate da New York costano
una cifra."
"Si è sentito solo?"
Le racconto qualcosa di vago. Non riesco a dirlo. Mi sentivo meno
solo che a Roma. Poi inevitabilmente accenno a mamma. Ci cado
dentro e quasi mi diverte offendere i principi di quella donna.
Mia madre ha tradito mio padre. Io l'ho beccata con quello che
abitava
di fronte a noi. Quasi non ci crede. La notizia l'ha messa
totalmente
a suo agio. L'aereo? Neanche si ricorda che sta in aereo. Mi
fa mille domande... Non faccio quasi in tempo a starle dietro.
Come
mai piace così tanto sguazzare nelle cose degli altri? Argomenti
piccanti,
particolarità vietate, atti quasi oscuri o peccati piacevoli.
Forse
perché così, solo ad ascoltarli, non ci si sporca. La signora
sembra
godere e soffrire del mio racconto. Non capisco se è vero, né mi
interessa. Le dico tutto e senza problemi. La mia violenza
sull'amante
di mamma, i miei silenzi a casa, non aver mai svelato niente a mio
padre e a mio fratello. E poi il processo. Mia madre seduta lì, di
fronte
a me. Lei in silenzio, lei che non ha avuto il coraggio di
ammettere
quello che aveva fatto. Lei che non è riuscita a barattare il suo
tradimento
per giustificare la mia violenza. E io lì, sereno, quasi a ridere
del giudice che mi incolpava di un atto per me così naturale:
massacrare uno stronzo che ha violato il ventre della donna che mi
ha generato. La signora mi guarda a bocca aperta. Signora, guardi
che lo possiamo dire in mille modi... Ma un conto è scherzare come
ha fatto Benigni quando è saltato sulla Carrà. Qui invece si
trattava
di mia madre. La signora se ne rende conto. Improvvisamente torna
seria. Silenzio. Allora cerco di sdrammatizzare.
"Come direbbe Pollo, a me Beautiful mi fa una pippa! "
Invece di scandalizzarsi lei ride, ormai è complice: "E poi?" mi
chiede curiosa della prossima puntata. E io continuo a parlare
senza
problemi, senza canone. Il mio racconto non ha prezzo. Le spiego
il perché dell'America, il voler andar via, nascosto in un corso
di
grafica, laggiù... "E siccome è facile incontrarsi anche in una
grande
città... meglio cambiarla del tutto. Solo nuove realtà, nuove
persone,
e soprattutto nessun ricordo. Un anno di chiacchiere difficili in
inglese,
aiutate dalla presenza di qualche italiano incontrato casualmente.
Tutto molto divertente, una realtà piena di colori, musica,
suoni, traffico, feste, novità. Tutto un gran rumore foderato di
silenzio.
Niente di quello che la gente ti diceva aveva a che fare con lei,
poteva richiamarla, ridarle vita. Babi. Giornate inutili per far
riposare
il mio cuore, il mio stomaco, la testa. Babi. Impossibilità totale
di tornare indietro, di essere in un attimo sotto casa sua, di
incontrarla
per strada. Babi. A New York non c'è pericolo... A New York
non c'è spazio per Battisti. "E se ritorni nella mente basta
pensare
che non ci sei che sto soffrendo inutilmente perché so, io lo so,
io so
che non tornerai. " Falsi accordi per cercare di evitare tutti i
posti che
conosce e frequenta anche lei, Babi. La signora sorride.
"La conosco anch'io quella canzone." Canticchia malamente
qualcosa.
"Sì, è proprio quella." Cerco di dare un taglio a quell'esibizione
da Corrida.
Ma mi salva l'aereo. Sta-tup. Un rumore secco, metallico. Un
movimento duro e un piccolo sussulto dell'aereo.
"Oddio e che è?" La signora si avventa sulla mia mano destra,
l'unica libera.
"È il carrello, non si preoccupi."
"Ma come non mi preoccupo! E fa tutto questo rumore? Sembra
che si è staccato..."
Poco lontano la hostess e gli altri membri dell'equipaggio
prendono
posto sulle poltrone libere e qualche strano posto laterale vicino
alle uscite. Cerco Eva, la trovo, ma non guarda più dalla mia
parte. La signora cerca di distrarsi da sola. Ci riesce. Molla la
mia
mano in cambio di un'ultima domanda.
"Perché è finita?"
"Perché Babi si è messa con un altro. "
"Ma come? La sua ragazza? Con tutto quello che mi ha raccontato?"
Quasi si diverte più lei ora a mettere il dito nella piaga.
L'aereo
e il suo atterraggio sono passati in second'ordine. E mi tempesta
di
domande fino all'ultimo anzi, presa dalla foga, è passata al tu. E
va
giù diretta. Da quando l'hai lasciata, hai più fatto l'amore con
un'altra
donna? E ancora giù in picchiata, come gli Stukas di quei cartoni
animati, Linus il barone rosso. Ci torneresti insieme? Pazienza
e le sue sparatorie. Perdonare è possibile? Ne hai parlato con
qualcuno? O la birra ha fatto effetto o è lei e le sue domande che
mi fanno girare la testa. O il dolore di quell'amore non ancora
dimenticato.
Non capisco più nulla. Sento solo il rullare del motore
dell'aereo e la turbina al contrario in fase di atterraggio. Ecco,
ho
un'idea, posso salvarmi da questo interrogatorio...
"Guardi le luci della pista. Non ce la possiamo fare" le dico
ridendo,
di nuovo padrone del gioco.
"Oddio, è vero, eccole..." Guarda dal finestrino spaventata
l'aereo
e le sue ali che quasi sfiorano terra e ondeggiano indecise. Con
un guizzo da vecchia pantera, mi afferra la mano destra al volo.
Guarda
di nuovo fuori. Ancora un ultimo istante, si butta con la testa
nella
poltrona, spinge con le gambe in avanti quasi volesse frenare lei
con i suoi piedi. Mi stampa le unghie nella carne della mano. Con
qualche morbido rimbalzo l'aereo tocca terra. Subito le turbine
dei
motori girano al contrario, quell'enorme massa di acciaio trema
impazzita
con tutte le sue poltrone, signora compresa. Ma lei non si dà
per vinta. Stringe gli occhi e trema prendendosela con la mia
mano.
"Il comandante informa che siamo arrivati a Roma Fiumicino.
La temperatura esterna..."
Un tentativo di applauso si alza dal fondo dell'aereo spegnendosi
quasi subito. Non è più di moda.
"Be', ce l'abbiamo fatta."
La signora sospira: "Grazie a Dio!".
"Magari ci incontreremo un'altra volta."
"Oh sì, mi ha fatto molto piacere parlare con te. Ma sono tutte
vere quelle cose che mi hai raccontato?"
"Come è vero che lei mi ha stretto la mano." Le mostro la destra
e il segno delle unghie.
"Oh, quanto mi dispiace."
"Non fa nulla."
"Dia qui."
"No, sul serio, è tutto a posto."
Qualche telefonino comincia a squillare. Sorrisi e tranquillità
del dopo atterraggio. Quasi tutti aprono le cappelliere sopra i
loro
posti e tirano giù pacchi di regali portati dall'America, più o
meno
qualcosa di inutile, pronti a mettersi in fila e guadagnare
l'uscita il
prima possibile. Dopo le ore immobili nell'aereo, dove si è
costretti
a fare un bilancio degli anni passati fino a quel momento, si
ritorna
alla fretta del non pensare, ai falsi pensieri, alla corsa verso
l'ultimo
traguardo.
"Arrivederci." "Grazie, buonasera." Hostess più o meno carine
salutano all'uscita dell'aereo. Eva, con fare professionale e un
sorriso stampato, saluta tutti, perfetta.
"Grazie delle birre. "
"Dovere." Mi sorride più naturale, forse.
"Se hai dei problemi..." le lascio un bigliettino.
Lo guarda perplessa: c'è il mio numero di Roma.
"È stato il mio esame al corso di grafica."
"È andato bene?"
"Erano tutti molto soddisfatti. Hanno trovato geniale dividerlo
in bianco e azzurro."
"Carino."
Se lo mette in tasca. Non ho rischiato a dirle che sono della
Lazio.
Poi scendo dalla scala.
Tiepido vento. Settembre. Tramonto, sono appena le otto e
mezzo. In perfetto orario. È bello camminare di nuovo dopo aver
volato per otto ore. Saliamo sul pulmino. Guardo la nostra
compagnia.
Qualche cinese, un robusto americano, un giovane che non
ha smesso di ascoltare uno di quei Samsung YP-T7X da 512 MB che
avevo visto anche a New York. Due amiche in vacanza che non
parlano
più, sature forse della lunga convivenza. Una coppia innamorata.
Ridono, si dicono sempre qualcosa di più o meno utile, si fanno
degli scherzi. Li invidio, o meglio, mi piace guardarli. La mia
compagna di viaggio, la signora cicciotta che ormai sa tutto della
mia vita, mi si avvicina. Mi guarda sorridendo come a dire: "Ce
l'abbiamo fatta, eh?". Annuisco. Quasi mi pento di averle
raccontato
tanto. Poi mi tranquillizzo. Non la vedrò mai più. Controllo
passaporti. Qualche cane lupo tenuto a bada passeggia nervosamente
su e giù cercando un po' di coca o d'erba. Cani a rota
insoddisfatti
ci guardano con gli occhi buoni, strafatti per tenersi in
allenamento. Un poliziotto apre distrattamente il mio passaporto.
Poi ci ripensa, gli sfugge una pagina, la recupera e guarda con
più
attenzione. I miei battiti accelerano un poco. Niente. Non gli
interesso.
Me lo rida, lo richiudo e lo metto nello zaino. Recupero il
mio bagaglio. Esco libero, di nuovo a Roma. Sono stato due anni
a New York e mi sembra di essere partito ieri. Cammino veloce
verso
l'uscita. Incrocio gente che trascina valigie, un tipo corre
affaticato
verso un aereo che forse perderà. Al di là delle transenne parenti
aspettano qualcuno che non arriva. Ragazze belle e ancora
abbronzate
d'estate sono in attesa del loro amore o quello che è stato.
Con le braccia conserte, passeggiando o ferme, con gli occhi
agitati o tranquilli, comunque aspettano. "Taxi, che le serve un
taxi?" Un finto tassinaro mi corre incontro fingendosi onesto: "Le
faccio un buon prezzo". Non rispondo. Capisce che non sono un
buon affare e lascia perdere. Mi guardo in giro. Una signora
bella,
elegante, con un vestito chiaro e dell'oro leggero al collo, tiene
tranquillo
il suo sguardo sulla mia rotta. È bella. Le sorrido. Lei accenna
a una risposta minima che però contiene tutto. Tradimento,
vorrei ma non posso, la sua voglia di libertà. Poi guarda altrove,
rinunciando.
, Continuo a guardarmi in giro. Niente. Che stupido. Ma
certo. Cosa mi aspettavo? Chi sto cercando? È per questo che sei
tornato? Allora non hai capito niente, non hai ancora capito
niente.
Mi viene da ridere sentendomi un cretino.
"Dovrebbe essere arrivato..."
Nascosta dietro una colonna, in silenzio ma con il cuore a mille,
parla sottovoce a se stessa. Forse per coprire il rumore del suo
cuore, che in realtà sta battendo a duemila. Poi prende coraggio.
Un respiro lungo e lentamente si affaccia. "Eccolo. Lo sapevo, lo
sapevo!" Quasi "salta" con i piedi per terra.
"Non ci posso credere... Step. Lo sapevo, lo sapevo, ero sicura
che tornava oggi. Non ci posso credere. Mamma mia, certo che è
dimagrito un sacco. Però sorride. Sì, mi sembra che stia bene.
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