e

Simona ci vediamo. Ecco, sono arrivata sotto casa e qui succede

l'inverosimile... O meglio il verosimile visto che mentre citofono

a

casa di Simona si apre il portone ed esce Francesco. Quattro meno

un quarto. Come se non bastasse l'ora, non ha più la cravatta,

la camicia sbottonata e, la cosa più tremenda, ha quel viso che ho

visto tante volte. Troppe. Ora le rimpiango tutte. Dopo aver

amoreggiato

tutti ci addolciamo. I nostri tratti del viso si ammorbidiscono,

gli occhi sono leggermente umidi, le labbra un po' più carnose

e si arriva al sorriso con più facilità, ma più lentamente.

Francesco

non ha tempo di dire niente.

"Gin, io..." Ci prova, ma gli sputo in faccia. Uno scaracchio

perfetto. Lo centro in pieno, non lo guardo neanche. Mentre me

ne vado penso solo che si pulirà.

"Gin, fermati, ti spiego tutto."

"Tutto che? Cosa c'è da spiegare?"

Monto sulla Polo che ho lasciato in doppia fila e lui mi rincorre,

cerca di bloccarmi la portiera, ma non fa in tempo. Mi chiudo

dentro e metto la sicura.

"Gin, non è come pensi tu. È la prima volta che vado con lei.

Dai, non te ne andare, Gin." Aspetta un attimo e poi dice quello

che non gli avrei mai voluto sentir dire. Almeno non in quel

momento.

"Gin, io ti amo."

Apro un pezzo del finestrino: "Ah sì? Per questo ti scopi una

come Simona. Pensa che io di te amo solo la tua macchina! ". Parto

sgasando e faccio qualche metro, cercandola. Eccola lì. L'ha

posteggiata

perfino vicino al portone, senza preoccuparsi neanche di

nasconderla. Eccola lì la sua splendida Mercedes 200 SLK grigio

metallizzata. Sono ferma nella Polo. Mi sento come un toro prima

di affrontare il torero, sbuffo mentre con il piede gioco con

l'acceleratore.

Do gas e lo spingo più giù due o tre volte. Penso a mamma

e alla sua Polo. Be', qualcosa mi inventerò, provo troppo gusto

solo a pensarlo. Vedo dallo specchietto Francesco arrivare di

corsa. |

È troppo tardi, è troppo bello... Che gusto ! Che sogno ! Mi metto

'

la cintura. Nella vita ci sono delle cose alle quali non si può

rinunciare.

Questo è uno di quei momenti. Lascio andare la frizione

e parto a tutto gas. Ecco. La vedo avvicinarsi a velocità

spaventosa.

La sua Mercedes, la sua bella, nuova, fiammante Mercedes.

Freno solo all'ultimo ma d'istinto, tanto per non morire. Boom. Un

botto fantastico, rimbalzo sul sedile. Centrata in pieno; sul

fianco

laterale, sulla portiera. Metto la retromarcia. La Polo si sgancia

con

fatica, ma riparte che è una meraviglia. La Mercedes è lì davanti

a

me, completamente tumefatta, perfino un finestrino si è spaccato.

Non oso immaginare i miei danni, ma la faccia di Francesco sì.

Quella la vedo bene ed è tutto un programma. Che bello... Guarda

la sua macchina distrutta. È allibito, non ci crede, non ci vuole

credere, ma ci deve credere. Eccome se ci deve credere... E sai

che

c'è? Ne faccio un altro. Sì. C'è troppo gusto, è troppo bello.

Parto

a tutta velocità e la punto un po' più avanti. Boom. La prendo in

pieno con ancora più forza, senza paura questa volta, senza

neanche

frenare. Ormai c'ho preso la mano. Ho una voglia pazzesca di

distruggergliela tutta. Il parafango davanti è spaccato e si

accartoccia

perfino il cofano. Francesco è lì, davanti a me, senza parole.

Lo guardo, scoppio a ridere e mi allontano salutandolo. Vaffanculo

tu e la tua Mercedes. Stronzo di merda. Quando ci vuole, ci vuole.

E ora devo pensare a Simona. Oh, ma la sistemo per le feste

quella stronza, oh se la sistemo. Ma deve essere una vendetta

intelligente,

fredda, calcolata, pungente. Geniale. Vorrei trovare ancora

più aggettivi se fosse possibile. Posteggio sotto casa e scendo

dalla macchina. Povera Polina. L'ho rovinata tutta davanti. C'ha

il

cofano contratto come se fosse una mano con un crampo, due

fanalini

rotti e anche il fascione. Porca trota, e ora che racconto a

mamma. Continuo a pensare in ascensore. Qualche cosa mi inventerò

per la povera Polina e per quella stronza di Simona. Sì,

uscirà qualcosa, ne sono sicura. Mi spoglio e mi infilo nel letto.

Continuo a pensare ai miei due problemi, alla loro possibile

soluzione.

Continuo così, ricordandomi il botto, la Mercedes sfondata.

Piano piano sto per addormentarmi. Un ultimo pensiero nel

dormiveglia. Sorrido. Boom! Che botto, che bello! In tutto questo

non ho più pensato a Francesco. Puff. Svanito. E, sorridendo,

vengo

rapita da Morfeo.

La mattina dopo mi sveglio lucida come non mai. In un attimo

ho le due soluzioni. Parto subito con la prima, il problema della

Polo. Telefono ad Ale, un mio amico sempre in mezzo ai guai che

stavolta però può togliermi dal mio.

"Pronto... Ma chi è?" Ha la voce roca, si sarà addormentato da

nemmeno un'ora.

"Ale? Sono Gin."

"Gin, che cazzo succede? Ma che ore sono?"

"Le sette."

"Le sette? Ma che, ti sei rincoglionita?"

"Ale, mi devi aiutare, ti prego, dimmi che c'hai sottomano qualche

macchina rubata."

"Gin, non per telefono... porca troia!"

"Scusa Ale."

Torna tranquillo: "Che macchina ti serve?".

"Una qualunque ma che sia rubata. Mi serve solo la targa."

"Solo la targa? Boh, tu sei tutta scema."

"Ti prego Ale, è una cosa importante."

"Tutte le tue cose sono sempre importanti, aspetta un attimo."

Dopo una decina di secondi torna al telefono: "Dai, scrivi. Roma

R27031. È una Clio blu".

"Perfetta, grazie Ale."

"Aho, è tutto a posto?"

"Sì, tutto a posto."

"Perfetto. Allora guarda che io mi metto a dormi' e stacco il

telefono.

"

"Ok, ti chiamo nel pomeriggio e ti spiego tutto."

"Non me ne frega un cazzo." E attacca.

Appena in tempo. Arriva mamma in vestaglia appena alzata:

"Ginevra, ma che fai? Sei già sveglia?".

"Mamma, non sai che è successo. Ieri sera mi è venuto addosso

un pazzo con la macchina."

"Oddio, figlia mia, ti sei fatta niente?"

"No, sto bene. Ha distrutto la Polo però ed è fuggito... Ma

guarda,

ho preso la targa! " Le passo il biglietto appena scritto. "Era

una

Clio scura. Lo dobbiamo denunciare." Mamma prende il biglietto.

"Dai qua, lo dico subito a tuo padre. Meno male che non ti sei

fatta niente. Ma sei sicura? Non è che hai sbattuto la testa?"

"No mamma, sul serio è tutto a posto."

"Meno male." Mi dà un bacio sulla fronte.

"Vai a fare colazione sennò finisce che fai tardi."

"Sì, mamma." Mi allontano da brava bambina sotto lo sguardo

affettuoso di una madre apprensiva. Mi sento in colpa. Scusa

mamma, ma dovevo proprio farlo. Chissà, forse un giorno ti

racconterò

tutta questa storia. Un giorno. Intanto pensiamo a oggi.

Ho già trovato anche la seconda soluzione, quella per sistemare

Simona.

Un attimo dopo sono tra i banchi di scuola. È già passata

un'ora, la prima. Religione. Ha incrociato due volte il mio

sguardo

la stronza e si è girata dall'altra parte. Non ha neanche il

coraggio

di affrontare le conseguenze delle sue azioni. Il massimo è che è

stata perfino interrogata da don Peppino, così chiamiamo noi il

pretino di religione, e Simona ha avuto perfino il coraggio di

rispondere...

Mortacci sua. Be', non voglio chiamare Dio in causa

per stronzate come questa. Ma la seconda ora è tutta mia e anche

la terza. Ci sguazzo, mi voglio divertire, due ore da sogno. Oggi

abbiamo

compito in classe di italiano. È facendo la borsa appena sveglia

che mi è venuta l'idea. Sublime... Ecco, ho trovato l'aggettivo

coniato apposta per la vendetta. E la mia penna scivola veloce sul

foglio bianco, riempiendolo di parole, di righe, di fatti, di

ricordi,


di delusioni, di aggettivi, di sproloqui, di insulti. Vola che è

una meraviglia,

sembra fatata la mia penna. E dire che io in italiano sono

sempre stata un po' frenata. Sono fuori tema, non ho dubbi, ma

che piacere, che divertimento dedicare il mio compito in classe

alla

mia amica, anzi alla mia ex amica. Anzi, per essere proprio

precisi,

a quella stronza. Le ho dedicato perfino il titolo: Misera fine

di un'amicizia. Sono sicura che la mia prof d'Italiano me lo

passerà,

magari prendo anche un bel sette, o forse no, quello no, è un

fuori

tema. Magari un quattro, ma che bel quattro! Di sicuro però non

mi manderà dal preside e forse me lo farà perfino leggere in

classe.

Sarà dalla mia parte la prof, ne sono sicura. Non tanto perché

abbiamo un buon rapporto, ma perché si è separata da poco.

Settimana dopo. Ritiro il tema. Be', da non crederci... Al di

sopra

delle aspettative. Sette e mezzo! Mai preso un voto così in

italiano. E

non è finita qui. La prof deve avere una grande simpatia per me o,

cosa molto più probabile, deve aver sofferto veramente tanto per

la

sua separazione. Fatto sta che ha sbattuto con la mano sulla

cattedra.

"Silenzio, ragazze. E ora vorrei invitare a leggere il suo tema

una ragazza particolare. Una vostra compagna di classe che ha

capito

che la cultura, l'educazione e l'essere civili sono la più grande

arma della nostra società: Ginevra Biro."

Mi alzo e per un attimo mi viene da arrossire. Davanti a tutti.

Davanti agli altri. Poi metto da parte quel rossore. Cazzo, no! È

la

mia giornata, non esiste, mi spetta. Quale pudore, quali altri.

Non

esistono gli altri in alcune occasioni. E questa è una di quelle

occasioni.

Vado vicino alla prof e comincio a leggere. Scivolo veloce

con enfasi e divertimento. Con rabbia ed entusiasmo. Azzecco le

pause giuste, il tono. Poi la storia mi rapisce. Ma l'ho scritto

sul serio

io questo tema? Cavoli, mi sembra perfetto! E continuo a leggere

così, divertita, cantilenando quasi. Una dopo l'altra le parole

si succedono, si rincorrono leggere tra le righe, su e giù, senza

pausa

come onde di un mare azzurro. Corrono vicine, senza spezzarsi

mai. Arrivo quasi alla fine in un attimo. Mi mancano due righe. Mi

fermo e quando stacco gli occhi dal foglio Simona è lì che mi

guarda.

Ha la bocca aperta, è sbiancata, attonita. Ho raccontato tutta

la nostra storia, la nostra amicizia, la mia fiducia, il suo

tradimento.

Faccio un'ultima pausa. Un bel respiro e via con il finale:

"Ecco signori. Ora voi tutti sapete chi è Simona Costati. Se sua

madre avesse avuto un po' più di coraggio, l'avrebbe chiamata con

il suo vero nome: Stronza! ".

Piego il foglio e guardo compiaciuta la classe. È un boato. Tutte

insieme urlano contente: "Brava, hai fatto bene, sei forte Biro!

Sì, ancora, di nuovo, la devi sfondare, così, sei mitica! ".

E all'improvviso, partito da non so chi, non certo da me, né dalla

prof, meno che mai da Simona, si alza un coro perfetto, ispirato

sicuramente dal mio tema pieno di cultura.

"Stronza, stronza, stronza!"

Simona si alza dal banco. Attraversa la stanza trascinando i

piedi,

con la testa bassa, senza avere il coraggio di guardare in faccia

nessuno. Poi scoppia a piangere ed esce dalla classe.

"Brava, è un bellissimo tema." È la voce della prof. Incredibile.

Pensavo che mi avrebbe buttata fuori per, che ne so, diffamazione