"Veramente era l'unica cosa nella quale riuscivo così così."
"Ecco appunto, così così. È che qui ti mancano i numeri...
buonasera
signor Valiani..."
Mi giro per guardare chi saluta, non c'è nessuno. Sento il rumore
del cancello alle mie spalle.
"Ta dan!"
Mi rigiro: Gin è dall'altra parte del cancello che ancora vibra.
Se l'è chiuso dietro. È stata velocissima.
"Te l'ho detto, sei epico. Ma mi crolli sul banale."
Gin corre verso il portone. Fruga in tasca per trovare le chiavi.
Ci metto un secondo: destro, sinistro, scavalco il cancelletto e
corro verso di lei che cerca disperatamente la chiave del portone.
Pum. Le sono addosso e l'abbraccio da dietro. Fa un urlo. La tengo
ferma.
"Ta dan! Giocavi da piccola a uno due tre stella? Non hai fatto
in tempo a girarti che io ti ho presa. Ora sei mia."
I suoi capelli profumano. Ma non sono dolci. Odio i profumi
dolci. Sanno di fresco, di frizzante, di allegro, di vita. Si
dibatte cercando
di liberarsi ma la tengo stretta. "Se non vuoi farmi salire su
a casa possiamo conoscerci qui."
Prova a colpirmi con il tacco all'indietro, ma allargo veloce le
gambe.
"Liscio... Ehi, non sto facendo niente di male. Non ti ho messo
mica le mani addosso, ti ho solo abbracciata."
"Ma io non te l'ho chiesto."
"Ti pare che chiedi a uno 'dai, per favore, abbracciami'? Gin,
Gin... mi sa che una cifra di quei ragazzi lasciavano un po' a
desiderare.
"
Ho la mia guancia vicino alla sua. È liscia, morbida e fresca come
una splendida pesca, dolcemente dorata dalla peluria chiara,
trasparente, senza trucco. Apro le labbra e mi ci poggio sopra ma
senza baciarla, senza morderla. Muove la testa a destra e a
sinistra
per cercare di allontanarmi ma le sto attaccato come un'ombra. C'è
un vento leggero notturno che ci porta il profumo dei gelsomini
del giardino.
"Ehi, allora, come va? Ci hai ripensato?"
"Neanche per sogno."
Risponde in maniera strana, a voce bassa, in maniera quasi roca.
"Sì, ma ti sta piacendo..."
"Ma che dici?"
"Lo sento dalla voce."
Si schiarisce la gola.
"Senti, ti vuoi staccare o no?"
"No."
"Come no?"
"Ma scusa, me l'hai chiesto, giusto? E no è la mia risposta."
Ci riprovo. In silenzio. A bassa voce. Portato dal vento notturno.
"Toc toc, Gin, posso entrare?"
"Ma non sai cosa troverai."
"Non entro mai in nessun posto se non so come uscirne."
"Che bella frase."
"Ti piace? L'ho prestata a quelli del film Ronin."
"Scemo."
Le sta piacendo, forse. Mentre l'abbraccio la tengo stretta e
dondolo
con lei leggermente a destra e a sinistra, tenendole le braccia
lungo il corpo a bloccare le sue. Canticchio qualcosa. E Bruce ma
non so se la riconosce. Le mie note morbide e lente si trasformano
in un respiro caldo che si mischia ai suoi capelli poi più giù,
sul collo.
Gin abbandona le braccia. Sembra essersi lasciata un po' andare.
Continuo a cantare lentamente, muovendomi con il corpo. Lei
mi segue, ora complice. Vedo la sua bocca, bellissima. È
semiaperta,
sognante, sospira, ha una leggera increspatura. Forse un brivido.
Sorrido. La libero un po', ma non troppo. Mi allontano con il
braccio
destro. Lo porto su per il suo fianco. Piano piano. E lei mi segue
passo passo, con gli occhi nella penombra della notte, con
l'immaginazione
nel buio delle emozioni. Preoccupata che io possa toccare
qualcosa, come un bambino che scopre il trucco di chissà quale
splendida magia. Ma non è questo il mio desiderio. Lento, con
dolcezza,
smarrito tra i suoi capelli. Le accarezzo il collo, mi poggio con
il palmo sulla sua guancia. La spingo un po', giocando... Le
faccio
girare il viso a sinistra. Così, lentamente, Gin lascia andare il
suo viso
sul vetro, i capelli riversi in avanti, e d'improvviso,
seminascosta
da quel profumato cespuglio nero, compare la sua bocca. Come una
rosa d'amore appena dischiusa, morbida e bagnata. Sospira,
abbandonata,
e disegna piccole nuvole di vapore sul vetro di quel portone.
Allora la bacio. E lei sorride, mi lascia fare, un po' mordicchia,
un po' ci sta, ed è bellissimo. È drammatico, è commedia, è
paradiso,
no... E meglio. È inferno. Perché mi sto eccitando.
"Gin, ma sei tu?"
Una voce di uomo alle mie spalle. Proprio adesso... No! Non
ci posso credere. Il cancello, i passi... Non abbiamo sentito
niente.
Storditi dal desiderio. Mi giro al volo pronto a parare più che a
colpire.
D'altronde il suo uomo non ha tutti i torti. Lo guardo. È un
tipo non troppo alto, e un po' magro.
"Cavoli, non ci posso credere." Ha la faccia divertita più che
incazzata. Gin si rimette a posto i capelli, è scocciata ma non
più
di tanto.
"Be', invece credici o vuoi che ci baciamo di nuovo?"
Cavoli, è dura la tipa.
"Ah, per me."
Sono ancora con le mani alzate.
"Stefano, questo è Gianluca, mio fratello."
Abbasso la guardia, tiro un leggero sospiro, ma non è la
preoccupazione
del combattimento. Quella meno che mai. Altri pensieri.
Il che forse è più preoccupante.
"Ciao."
Gli do la mano e sorrido. Certo non è il modo migliore per
conoscersi.
Uno che ci prova con la sorella.
"Be', ora sei in buone mani, posso andare."
"Sì, non credo che lui mi violenterebbe."
Sorride, prendendomi in giro.
"Puoi andare, epico Step."
Mi allontano verso il cancello e li lascio così, fratello e
sorella,
sullo sfondo del portone. Accendo la moto e parto lasciando in
quel
profumo notturno dei gelsomini un bacio dato solo a metà.
Gianluca guarda Gin strabiliato.
"Ma sul serio, non ci posso credere!"
"Credici, tua sorella è una come tante, e se ti può consolare come
hai visto non è lesbica."
"No, non hai capito, non ci posso credere, ti stavi baciando con
Step!"
Gin finalmente ha trovato la chiave e apre il portone.
"Perché, lo conosci?"
"Lo conosco? Vorrei sapere a Roma chi non lo conosce."
"Eccomi. Hai l'esempio davanti a te, io non lo conoscevo."
Gin poi pensa tra sé, tanto è mio fratello, bugia più bugia meno.
"Non ci credo. Non è proprio possibile che non ne hai mai sentito
parlare. Dai, lo conoscono tutti. È uno che ne ha combinate di
tutti i colori, è uscito pure su un giornale, sulla sua moto
mentre
pinnava con la sua donna dietro, in mezzo alla polizia. Non ci
posso
credere! Mia sorella che bacia Step." Gianluca scuote la testa.
"È questo che è: il titolo del 'Gazzettino dello sfigato'?"
Entrano in ascensore.
"Comunque non so se ti crollerà un mito, ma il famoso Step, il
picchiatore, il duro, quello che fa la pinna con la donna
dietro..."
"Sì, ho capito, lui, allora?"
"Bacia esattamente come tutti."
Nello stesso istante Gin spinge il 4. Poi si guarda allo specchio.
Arrossisce. Con se stessa non ce la può proprio fare. Ha detto
un'altra
bugia. Più grossa. E lo sa benissimo.
Capitolo 23.
Notte. Corro con la moto a tutta velocità. Piazza Ungheria, dritto
verso lo zoo. Non trovo una parola per definire Gin. Ma ci provo
lo stesso. Simpatica, no, molto carina, macché! Bella, divertente,
diversa. Ma perché definirla poi. Forse è tutto questo messo
insieme.
Forse è ancora altro. Non ci voglio pensare. Una cosa mi
viene in mente però e mi fa sorridere. Con lei sono passato a
piazza
Euclide, seguendo la sua macchina. Non ho dato neanche uno
sguardo alla Falconieri, non ho pensato alle uscite di scuola di
Babi,
a me che l'aspettavo, al tempo che è stato. Ci sto pensando
adesso.
Improvviso, come un fulmine a ciel sereno. Un ricordo. Quel
giorno. Quella mattina. Come se fosse ora. Sono davanti alla sua
scuola. La osservo da lontano, la vedo scendere, ridere con le sue
amiche, chiacchierare di chissà che. Presuntuoso sorrido. Magari
di me... La aspetto.
"Ciao..."
"Ma dai, che bella sorpresa, mi sei passato a prendere a scuola."
"Sì, fuggi via con me."
"Mamma se lo merita. E sempre in ritardo."
Babi mi sale dietro sulla moto. Mi stringe subito forte.
"Cioè, non ho capito, non è per stare con me che fuggi, è per
punire tua madre che è ritardataria! Ma guarda che sei forte..."
"Ma scusa, se si possono ottenere tutte e due le cose, non è
meglio?"
Passiamo davanti a sua sorella che è lì che aspetta.
"Dani, di' a mamma che torno a casa più tardi. E tu non correre,
eh?"
Poco dopo a via Cola di Rienzo. Rosticceria Franchi. Usciamo
con una busta piena di quei supplì vegetali che fanno solo lì, che
le piacciono tanto, fritti da far paura, ancora caldi, con un
sacco di
fazzolettini, una bottiglietta d'acqua in due e una fame
incredibile.
Ce li mangiamo così, lei seduta sulla moto e io lì di fronte, in
piedi, senza parlare, guardandoci negli occhi. Poi improvvisamente
comincia a grandinare. Ma di brutto, in un modo incredibile. E
allora corriamo, corriamo come pazzi, e ci ripariamo sotto un
portone
chiuso, quasi scivolando pur di toglierci subito da quella
grandine.
Rimaniamo così, al freddo, sotto la sporgenza di un terrazzo.
Poi la grandinata piano piano si trasforma in neve. Nevica a Roma.
Ma non fa in tempo a toccare terra che quella neve si scioglie.
Noi
ci sorridiamo ancora per un attimo, lei dà un altro morso al suo
supplì, io provo a baciarla... E poi pluff, proprio come quella
neve
anche questo ricordo si scioglie. Non c'è mai un perché a un
ricordo.
Arriva all'improvviso, così, senza chiedere permesso. E non
sai mai quando se ne andrà. L'unica cosa che sai è che purtroppo
tornerà di nuovo. Ma di solito sono attimi. E ormai so come fare.
Basta non fermarsi troppo. Appena arriva quel ricordo,
allontanarsene
velocemente, farlo subito, senza rimpianti, senza concessioni,
senza metterlo a fuoco, senza giocarci. Senza farsi male. Ecco,
meglio... Ormai è passato. Quella neve si è sciolta del tutto.
Spengo la moto ed entro. Il portiere è sempre lo stesso:
"Buonasera,
che piacere rivederla".
Mi riconosce.
"Piacere mio."
In tutti i sensi, ma non glielo dico.
"Vuole che l'annuncio?"
"Se ce n'è bisogno."
Mi guarda e sorride.
"No, non c'è nessuno con lei."
"Ok, allora salgo e le faccio una sorpresa."
Entro nell'ascensore. Il portiere si affaccia.
"Niente cocomero stasera?" Faccio appena in tempo a rispondere
"No, stasera no". È incredibile. Non c'è niente da fare. Ai
portieri
non sfugge nulla. 202. Sono davanti alla porta e busso. Sento
i suoi passi veloci. Mi viene ad aprire senza chiedere chi è.
"Ciao!
Che sorpresa!" Eva è felice di vedermi: "Ho provato a chiamarti
sul tuo cellulare ma era spento. Eri in dolce compagnia?".
"Solo amici."
Mento e mi sento un po' in colpa, ma non so neanche perché.
Non ha proprio senso.
"Io non ti ho cercato."
"Be', sei venuto direttamente. Hai fatto bene, perché domani
parto di nuovo."
"Per dove?"
"Sudamerica, vuoi venire con me?"
"Magari. Ma devo stare a Roma, sai ho un po' di cose da fare."
"Ah, capisco."
Meno male che non mi chiede quali. In realtà non so neanch'io
"Ho voglia di te" отзывы
Отзывы читателей о книге "Ho voglia di te". Читайте комментарии и мнения людей о произведении.
Понравилась книга? Поделитесь впечатлениями - оставьте Ваш отзыв и расскажите о книге "Ho voglia di te" друзьям в соцсетях.