Vespa. Chissà, pensa, forse il vento riuscirà a rinfrescarmi la
guancia.
Magari il rossore andrà via. Sennò, che figura ci faccio quando
arrivo? Accidenti a lui, ma è matto davvero? C'avevo messo una
vita a prepararmi per bene e guardami ora, ho la faccia sconvolta
e gli occhi lucidi.
Non si è voltato. Non ha risposto. La mano gli trema ancora.
Ma non c'è paragone col terremoto che ha dentro. Non sa che dire.
E non dirà niente. Quel silenzio in cui vive da giorni lo sta
abbracciando
di nuovo, si sta rubando quell'ultima goccia di speranza
che lo aveva portato ancora lì, a nascondersi dietro un cespuglio
per aspettarla. Per sapere una verità che già dovrebbe conoscere.
Perché i fatti parlano più chiaro delle persone. Ma lui non li ha
ascoltati. Né prima né adesso. E mentre sale le scale, sente alle
spalle
il rumore della Vespa che parte a tutta velocità, nervosa come
chi la guida.
Scusa, Babi, non volevo. Davvero, non volevo. La prossima volta
andrà meglio. La prossima volta parleremo con calma, magari
verrò su da te e ci prenderemo un tè. E mi racconterai dove sei
andata
oggi.
Capitolo 30.
Siamo fuori nella notte in moto, io e Pallina. Lascio andare la
750. Una velocità tranquilla, pensieri al vento. Lei si stringe a
me,
ma senza esagerare. Due equivoci umani, congiunzioni astrali di
uno strano destino. Io, il migliore amico del suo uomo, lei, la
migliore
amica della mia donna. Ma tutto questo appartiene al passato.
Scalo e corro via veloce, il vento rinfresca. Porta via i miei
pensieri.
Ah, sospiro. Così bello a volte non pensare. Non pensare. Non
pensare... Vento, velocità e rumori lontani. Non pensare. Una
serie
di locali. Akab come prima tappa.
"Dai, qui conosco tutti, saranno felici di vederti."
Mi lascio guidare. Entriamo, saluto. Riconosco qualcuno.
"Un rum, grazie."
"Chiaro o scuro?"
"Scuro."
Un altro locale. Charro caffè. Mi lascio andare.
"Un altro rum, con ghiaccio e limone."
Poi all'Alpheus. E un altro rum. Ghiaccio e limone. Qui fanno
di tutto: musica anni '70 e '80, hip-hop, rock, dance. Poi al
Ketum
bar. Mi dimentico dove ho posteggiato la moto. Cosa importa. "Un
altro rum. Ghiaccio e limone." Ridiamo. Saluto qualcuno. Uno mi
salta addosso.
"Cazzo, Step, sei tornato! Si ricomincia coi casini, eh?"
Sì, si ricomincia. Ma chi cazzo era quello lì? Un altro locale e
un altro rum e poi ancora un altro e un altro ancora. E altri due
rum. Ma chi era quello che mi è saltato addosso. Ah sì, Manetta.
Si era addormentato una volta in montagna. Sì, eravamo a
Pescasseroli.
Sotto il piumino, con i piedi di fuori. Gli abbiamo messo tra
le dita dei piedi dei cerini con la capocchia in fuori e li
abbiamo accesi.
Cazzo, che balzo che ha fatto quando si è svegliato sentendosi
bruciare. E noi giù per terra a ridere come matti. Io e Pollo. E
lui che saltava per la stanza con i piedi bruciacchiati, che
gridava.
"Cazzo che incubo! Che incubo, cazzo! " E noi giù a ridere, da
sentirsi
male. Io e Pollo. Che risate. Da matti. Io e Pollo. Ma Pollo ora
non c'è più. Una tristezza mi prende forte. Un altro rum, tutto
d'un
sorso, giù. Mentre ballo con Pallina, la sua dama, la donna del
mio
amico, l'amico che non c'è più. Ma ballo, ballo soltanto e rido,
rido
con lei. Io rido e penso a te. Un altro rum e, non so come, sono
sotto casa.
"Ehi, siamo arrivati."
Scendo dalla moto un po' traballante. Quell'ultimo rum di
troppo.
"Dove hai messo l'sh?"
"No, sono venuta in macchina, ora ho una 500 modello nuovo."
"Ah, carina." In realtà è una delle macchine che mi piace di
meno. Ma serve a qualcosa dirglielo? No, e quindi sto zitto, anzi
rincaro la dose.
"Vanno benissimo, non consumano niente e i pezzi di ricambio
sono a buon prezzo."
"Sì, infatti."
"Serata divertente, eh?"
"Fortissima." Su questo sono sincero. "Sono cambiati i locali
giù al Testaccio. "
"Cioè?"
"Meglio. Buona musica, la gente sembra divertirsi sul serio.
Pezzi forti, si balla una cifra. Sì, una bella serata."
Pallina si fruga in tasca e nel giubbotto.
"Ehi, mi sa che mi sono dimenticata le chiavi su da te."
"Non c'è problema, saliamo."
In ascensore, uno strano silenzio. I nostri sguardi si incrociano.
Rimaniamo senza parlare. Pallina sorride. Lo fa con tenerezza.
Io tamburello sul ferro della parete, sullo specchio. Cazzo, a
volte
l'ascensore sembra non arrivare mai. O sono i troppi rum che
rallentano
quel viaggio? O altro ancora? Arrivati. Apro la porta di casa
e Pallina si infila dentro. Si guarda in giro, poi va verso il
tavolo.
"Eccole, trovate! " Mi copre la visuale però, non ho visto niente.
Erano sul serio sul tavolo le chiavi, se l'era dimenticate o era
una
scusa per salire? Ma che ti viene in mente? Stai male. Perché
pensi
queste cose, Step? Troppi rum. Le chiavi erano sul tavolo,
dovevano
essere lì.
"Ehi, ma hai anche il terrazzo."
"Sì, sai che non c'avevo fatto caso."
"Ma dai! Sei sempre il solito distratto."
Apro la finestra ed esco fuori. C'è una luna bellissima. Alta,
tonda, lì tra i palazzi lontani, tutti bagnati dal suo pallore.
Silhouette
di vecchie antenne, moderne parabole e poi, quasi un controsenso,
panni stesi del giorno prima. Respiro forte, profumo di gelsomini
estivi, aria notturna settembrina, grilli lontani, silenzio tutto
intorno. Arriva Pallina alle mie spalle.
"Tieni, te ne ho portato un altro." Mi passa un bicchiere.
"Per chiudere bene la serata."
Lo prendo e lo porto alla bocca, annusandolo.
"Un altro rum. Sembra anche buono."
Paolo mi stupisce sempre di più. Rum in casa. Sta migliorando.
Ne prendo un sorso. Deve essere un Pampero. No, un Havana
Club, vejo sette anos, almeno. "Buonissimo."
Torno a guardare lontano. Poi un rumore di macchina sparisce
da qualche parte.
"Sai, Step, ti devo dire una cosa."
Rimango in silenzio. Continuo a guardare lontano. Do un altro
sorso senza girarmi. Pallina continua a parlare. La sento dietro
di me, vicino alle mie spalle.
"Non ci crederai. Da quando Pollo è morto non sono stata più
con nessun altro ragazzo. Ci credi?"
"Perché non dovrei crederci?" Rimango girato.
"Neanche un bacio, te lo giuro."
"Non giurare. Non credo tu mi dica bugie."
"Una te l'ho detta."
Mi giro e la guardo negli occhi. Lei sorride.
"Le chiavi le avevo nel giubbotto."
Una folata leggera di vento caldo della notte agita morbida i
suoi capelli scuri. Pallina. Piccola donna cresciuta. Ha la pelle
d'oca
e chiude gli occhi, regalandosi un respiro profondo. Poi si
avvicina
e mi abbraccia. Poggia la testa sul mio petto. Dolce amica
profumata.
La lascio fare.
"Sai, Step, sono così felice che tu sia qui."
Tengo le braccia larghe non sapendo bene che fare. Poi poggio
il bicchiere sul davanzale e la abbraccio piano. La sento
sorridere.
"Bentornato. Ti prego, stringimi forte."
Rimango così, senza trovare la forza di stringere ancora. Cerco
di scusarmi.
"Senti..."
Ma è un attimo. Lei alza la testa dal mio petto e mi dà un bacio.
Spinge sulle mie labbra e dischiude la bocca. Poi prova a
muoversi,
si agita lenta, con gli occhi chiusi. Sposta la bocca a destra e
a sinistra, cercando l'incastro giusto, la posizione, lo svolgersi
naturale.
Ma è impossibile. Io sono fermo. Immobile. Non so che fare,
non vorrei ferirla. Rimango così, con le labbra chiuse,
sicuramente
fredde, forse di pietra. Pallina lentamente rallenta il suo
disperato
agitarsi. Poi china di nuovo la testa sul petto e comincia a
piangere. In silenzio. Piccoli sussulti della sua testa, poi
singhiozzi
più brevi, disperati. Mi stringe per non staccarsi da me,
vergognosa
del mio sguardo. Io piano piano le accarezzo i capelli. Poi le
sussurro
all'orecchio: "Pallina... Pallina, non fare così".
"No, non avrei mai dovuto farlo."
"Ma cosa hai fatto? Non è successo niente. Non c'è stato nulla.
È tutto a posto."
"No. Ho provato a darti un bacio."
"Sul serio? Non me ne sono accorto. Dai, che il nostro amico
sicuramente ci starà guardando e starà ridendo di noi."
"Di me magari."
"Con me è arrabbiato perché non ci sono stato."
Pallina scoppia a ridere. Ma è una risata nervosa, tira su con il
naso e si asciuga con la manica del giubbotto. Un po' ride e un
po'
ancora piange.
"Scusami Step."
"Oh ancora... Ma scusami di che? Guarda che se continui con
questa storia ti porto a letto."
"Sì, magari."
Ride di nuovo più tranquilla stavolta. Le agito davanti al viso
l'indice minaccioso.
"A fare la nanna, che ti credevi, eh?" Sorride di nuovo.
"Quella la vado a fare sul serio."
E senza dire più nulla, ancora imbarazzata si dirige verso la
porta.
Si ferma un attimo. "Ti prego Step, dimenticatelo e chiamami."
Le sorrido e le faccio cenno di sì. Poi chiudo gli occhi e un
attimo
dopo Pallina non c'è più. Rimango così in silenzio in piedi nel
salotto,
poi mi guardo in giro e vedo la bottiglia di rum. Avevo ragione.
È un Havana Club. Tre anni soltanto però. Taccagno di un
Paolo. Esco in terrazzo. Guardo giù e faccio appena in tempo a
vedere
la 500 di Pallina che gira in fondo alla strada. Mi scolo l'ultimo
sorso della bottiglia senza passare per il bicchiere e rimango lì.
Con le braccia incrociate, appoggiate sul davanzale, con la
bottiglia
vicino ormai vuota. "Porca troia." Ho una rabbia dentro e non
so con chi prendermela. Cazzo e vaffanculo. Perché? Perché?
Perché?
Merda. Non posso fare niente. Neanche bestemmiare. No,
non servirebbe a niente. Ma non ci voglio pensare. Sto male,
cazzo.
Guardo giù. Eccola. Grazie. Sono più felice ora. Prendo la
bottiglia
per il collo, raccolgo tutta la mia forza e la lancio giù come
un boomerang, perfetto, veloce, speriamo solo che non ritorni. La
bottiglia rotea a duemila e pum, centra il parabrezza della Twingo
in pieno, disintegrandolo. Era una Twingo nuova, perfetta. Nera
credo o comunque scura. L'insieme di tutto ciò che odio. Un colpo
solo. Come Il cacciatore.
Capitolo 31.
Un vento leggero si perde tra piccole case ordinate, tra marmi
bianchi e grigi, tra fiori appena appassiti e altri appena messi.
Foto
e date ricordano qualcuno. Amori passati, vite spezzate o
naturalmente
recise. Comunque, andate. Strappate. Come quella del
mio amico. E a volte tutto questo accade senza un perché e il
dolore
è ancora più grande. Cammino tra le tombe. Ho un mazzo di
fiori in mano, i girasoli più belli che ho potuto trovare. In
amicizia,
come nell'amore, non si bada a spese. Ecco. Sono arrivato.
"Ciao, Pollo."
Guardo quella foto, quel sorriso che tante volte mi ha fatto
compagnia.
Quell'immagine piccola, così come grande e generoso era
il suo cuore.
"Ti ho portato questi."
Come se non mi vedesse, come se non sapesse. Mi piego, tolgo
dei fiori appassiti da dentro un piccolo vaso. Mi chiedo chi
glieli
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