però. Giuro che se lo fai ti stendo."
Prende e mi bacia. La lascio fare, divertito, saliva e sudore,
baci
lisci e morbidi, desiderosi e sfuggenti. La lascio fare, sì. Gioca
con le mie labbra, la stringo tra i guantoni, lei si strofina a
me, pantaloncini
e maglietta, sudata al punto giusto. I suoi capelli mi si
attaccano
al viso nascondendomi da sguardi indiscreti.
Ma Nicola, che ci seguiva tenendo il tempo, non può certo perdersi
questo strano incontro.
"Prima si vogliono sfondare e poi buttano tutto in cagnara. Che
gioventù assurda."
E si allontana scuotendo la testa. In cagnara quello che stiamo
facendo? Questa è arte, uomo. Arte fantastica, sopraffina,
mistica,
selvaggia, elegante, primordiale. Continuiamo a baciarci
nell'angolo
del ring, fregandocene, ora più liberi nella stretta ed eccitati,
almeno io. Fuori tempo... massimo. Lascio scivolare il guantone
che finisce guarda caso fra le sue gambe, ma Gin si sposta. Poi,
come
se non bastasse salgono sul ring due tipi sui quarant'anni con
un paio di capezze al collo, i capelli grigi e un'aria consumata.
"Scusate, eh, non vorremmo disturbare questo match. Ma noi
vorremmo boxare sul serio, se ve potete leva' di qua."
"Sì, portate 'st'idillio da un'altra parte, va'."
Ridono. Prendo Gin per un braccio stringendola con il dito del
guantone e l'aiuto a uscire dal ring. Quello più grosso, che sa
ancora
di fumo, non se la lascia scappare.
"Aho, ma che ce troverai poi a combattere con una donna..."
Gin mi sfugge dalle mani e si rinfila veloce sotto la corda
rientrando
nel ring.
"Ci trova, ci trova... vuoi vedere?" E si mette in posa. Mi metto
in mezzo prima che vada tutto a scatafascio.
"Ok, ok. Come non detto, vi lasciamo combattere. Scusateci.
La ragazza è nervosa."
"Io non sono nervosa."
"Ehm, quindi è meglio che ci andiamo a prendere un gelato."
Piano a Gin, sussurrandole all'orecchio: "Offro io, ma ti prego
piantala".
Gin allarga le braccia. "Ok, ok."
"Ecco bravi, andate a prendervi il gelato, va'."
"Sì, un gelato al bacio."
Ridono tutti e due. Uno poi con una tosse catarrosa. Ci mancava
pure la battuta. Gin prova a girarsi di nuovo, ma la spingo via
con forza.
"A cambiarsi, doccia, e poi gelato. Forza e senza discutere."
"Ehi, mi fai più paura del mio papi. Guarda, tremo tutta." E
simula una specie di balletto di sedere imitando le donne
africane.
Però. Le do una pacca forte sul culo.
"Forza, ho detto. A cambiarsi."
E con un'ultima spinta riesco, a viva forza, a spedirla dentro gli
spogliatoi. Fiuu, che fatica. Se tanto mi dà tanto. Mission
impossible.
Non ci credo. Gin sbuca di nuovo fuori dalla porta degli
spogliatoi.
"Guarda che mi cambio solo perché sono le undici e ho finito
la mia ora di allenamento."
"Sì, certo."
Mi guarda un attimo perplessa, con il sopracciglio tirato su, poi
lo lascia andare e sorride.
"Ok." Capisce che gliel'ho data vinta.
"Ci metto un attimo, ci vediamo al bar della palestra, lì in
fondo."
Vado anch'io a cambiarmi. Che lotta. Non so se è meglio dentro
il ring o fuori. Tiro fuori le chiavi dell'armadietto e comincio a
cambiarmi. Ma che c'avrà poi di speciale? Mi butto sotto la
doccia.
Sì, ok, un bel culo, un bel sorriso... Trovo uno shampoo lasciato
da qualcun altro e me lo rovescio in testa. Sì, è anche una tipa
divertente,
le palestre a vela. La battuta pronta. Però è uno sfinimento.
Sì, ma quant'è che non ho una storia come si deve? Due anni.
Però come si sta bene. Libero e bello. Rido come un coglione
mentre lo shampoo dolciastro mi si infila negli occhi, cazzo.
Brucia.
Niente rotture: che fai stasera, che facciamo domani, che si fa
per il weekend, ti richiamo dopo, dimmi che mi ami, tu non mi
ami più, ma come non ti amo, chi era quella, perché c'hai parlato,
con chi stavi al telefono? No, non esiste. Mi sono ripreso da
poco,
sempre che mi sia ripreso. Voglio le "calendarine". Il primo di
ogni
mese quella, il due l'altra, il tre un'altra ancora, il quattro
chissà,
anche niente magari, il cinque quella figa straniera incontrata
per
caso, il sei... Il sei... Sei solo, lo sai. Sì certo, ma che mi
frega, non
voglio impaludarmi. Mi asciugo e mi infilo i pantaloni. Non voglio
dare spiegazioni. Mi chiudo la camicia e prendo la borsa. Vado
verso
l'uscita. Non la saluto neanche, tanto la becco più tardi al
Teatro
delle Vittorie. Ah, no. Oggi non c'è convocazione per loro. Va
be', glielo dico domani quando la vedo. Capirai, quella è capace
di
ripiombare a casa mia e farmi la piazzata. Se non ci sono io,
becca
Paolo. Con Paolo ha gioco facile, lo sfonda. Capirai, la
prenderebbe
per una belva umana, una furia, una tigre. Che palle! La devo
pure aspettare. Chissà quanto ci metterà a prepararsi. Che tipo
di donna sarà? Sofisticata, menefreghista, spendacciona, attenta
al
soldo, folle, cocainomane, mignotta, impossibile? Arrivo al bar e
ordino un Gatorade non troppo freddo.
"A cosa mi scusi?"
"All'arancia."
Poi le risposte arrivano quasi da sole. Gin è naturale, selvaggia,
elegante, pura, appassionata, antidroga, altruista, divertente.
Poi
rido. Ma che palle! Magari è ritardataria e la dovrò aspettare.
Sborso 2 euro, levo il tappo e bevo il Gatorade. Mi guardo
intorno.
Un tipo agghindato da post allenamento legge "il Tempo".
Mangia a ripetizione piegato su un riso scondito, colorato qua e
là
da qualche chicco di mais e da un peperone capitato lì per caso.
Al
tavolo vicino un altro pseudomuscoloso chiacchiera con una ragazza
con tono falso. Si mostra eccessivamente allegro a qualunque
cosa lei gli risponda. Due amiche progettano chissà cosa per
un'ipotetica vacanza. Un'altra racconta alla sua amica del cuore
quanto si sia comportato malissimo un lui. Un ragazzo al bancone
ancora sudato per la serie appena fatta, uno già cambiato. Una
ragazza
che beve un frullato e va via, un'altra che aspetta chissà che
cosa. Cerco il viso di quest'ultima nello specchio di fronte al
bancone.
Ma è coperta dal ragazzo addetto al bar. Poi lui serve qualcosa
e se ne va scoprendola. Come la carta che ti arriva per un poker
sperato, come l'ultimo rimbalzo della pallina di una roulette che
forse si ferma su quel numero che tu hai puntato... esce lei.
Eccola.
Mi guarda e sorride. Ha i capelli davanti agli occhi appena
truccati,
sfumati di un grigio leggero. Le labbra rosa e un poco
imbronciate.
Si gira verso di me.
"Be', che fai, non mi riconosci?" Poker. En plein. È Gin. Ha
un tailleur azzurro. Su un risvolto si leggono due piccole cifre.
D&G. Sorrido. Yoox. Poi scarpe alte dello stesso colore.
Elegantissime.
René Caovilla. Dei legacci leggeri liberano a tratti le sue
caviglie.
Alle dita dei piedi, unghie velate di un pallido azzurro più
chiaro, come piccoli sorrisi divertiti, si affacciano da
un'abbronzatura
leggera. Occhiali Chanel sempre azzurri appoggiati sulla testa.
È come se un velo di miele fosse stato lasciato colare,
perfettamente
modellato sulle sue braccia, sulle sue gambe scoperte, sul
suo viso che sorride.
"Allora?"
Allora... Allora tutti i miei propositi vanno a farsi fottere.
Cerco
qualche parola. Mi viene da ridere e insieme in mente quella scena
di Pretty Woman. Richard Gere che cerca Vivien al bar
dell'albergo.
Poi la trova. Pronta per andare all'opera. Gin è perfetta come
lei, di più. Sono messo proprio male. Prende la borsa e viene
verso di me.
"Stai pensando a qualcosa?"
"Sì." Mento. "Che il Gatorade era troppo freddo."
Gin sorride e mi supera.
"Bugiardo, pensavi a me."
Decisa e divertita si allontana, non troppo ancheggiante ma sicura
su per le scale che portano fuori dalla palestra. Le gambe
scendono
giù dalla gonna leggera, leggermente plissettata e si perdono,
toniche e guizzanti, forse un po' incremate, sparendo sottili più
giù
per lasciar posto a un tacco deciso e squadrato.
Si ferma in cima alle scale e si gira. "Allora che fai, mi guardi
le gambe? Dai, non stare in fissa. Andiamo a prendere un aperitivo
o quello che vuoi tu che poi ho il pranzo con i miei e mio zio.
Due palle. Sennò, con il cavolo che mi conciavo così."
Donne. Le vedi in palestra. Piccoli body, strane tute inventate,
pantaloncini stretti e magliette sbrillentate. Aerobica a più non
posso.
Sudate su un viso senza trucco, capelli impiastricciati, incollati
al viso. E poi pluff... Peggio della lampada di Aladino. Escono
dagli
spogliatoi miracolate. Quel cesso slavato che hai visto prima non
c'è più. Il brutto anatroccolo si è truccato. È nascosto in
vestiti ben
scelti, ha le ciglia più lunghe, arcuate da un mascara costoso.
Labbra
perfettamente disegnate, a volte perfino tatuate, fanno uscire
ancora di più quella bocca che non è stata ancora pizzicata dalla
costosa zanzara collagene. Le donne, giovani cigni mascherati.
Certo
non sto parlando di Gin. Lei è...
"Oh, ma a che pensi?"
"Io?"
"E chi sennò? Siamo io e te."
"Niente."
"Sì, ancora. Be', deve essere un niente molto particolare.
Sembravi
imbambolato. Te ne ho date troppe, eh?"
"Sì, ma mi sto riprendendo."
"Io vengo con la mia macchina."
"Ok. Seguimi."
Monto in moto, ma non resisto. Piazzo lo specchietto per poterla
vedere salire in macchina. La supero. La tengo al centro della
mia vista. Eccola, sta salendo. Gin si piega in avanti, si siede
sul
sedile, morbida e leggera fa volare via da terra una dopo l'altra
le
sue gambe. Veloci e scattanti, quasi unite se non per un attimo,
quel
piccolo frame di pizzo che però per me è come un film. Che
sensuale
fotoflash. Poi torno alla realtà. Metto la marcia e via. Gin mi
segue senza problemi. Guida come una pilota provetta. Non ha
problemi nel traffico, allarga, supera e rientra. Suona il clacson
ogni
tanto per prevenire qualche errore altrui. Segue oscillando la
macchina
nelle sue curve, agitando la testa, immagino, a tempo di musica.
Gin selvaggia metropolitana. Ogni tanto mi lampeggia quando
si accorge dal mio specchietto che la sto controllando, doppi fari
come a dire... ehi, stai tranquillo, ci sono. Ancora qualche curva
e ci siamo. Mi fermo, la lascio sfilare, mi accosta. "Dai,
posteggia
qui, che lì non si entra." Non chiede altre spiegazioni. Chiude la
macchina e mi monta dietro tenendosi la gonna bassa per quella
strana operazione da cavallerizza.
"Troppo forte questa moto, mi piace. Ne ho viste poche così."
"Nessuna. L'hanno fatta solo per me."
"Sì, senz'altro, ancora. Sai quanto costerebbe un solo modello
per una sola persona?"
"415.000 euro..."
Gin mi guarda sinceramente strabiliata.
"Così tanto?"
"E calcola che a me hanno fatto pure un grosso sconto."
Mi vede sorridere nello specchietto che ho girato verso di lei
per incrociare il suo sguardo. Cerco di fare una piccola lotta a
braccio
di ferro con gli sguardi. Poi crollo e sorrido. Lei mi batte forte
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