un indizio?"

"Niente, ti giuro, buio totale. E stato bello, sì, questo me lo

ricordo!"

Giuli rimane per un attimo in silenzio sul divano. Poi beve un

sorso d'acqua, guarda Daniela e ritrova la forza di parlare.

"Be', una cosa però riesco a immaginarla..."

"Che cosa?"

"La faccia dei tuoi."

"Io no."

"E secondo me ti gonfiano così tanto che alla fine tu non

assomigli

neanche più a loro. "

"No. Secondo me invece la prenderanno bene. Scusa, ma è in

queste situazioni che si vede il vero amore di una famiglia, no?

Se

va sempre tutto benissimo, che bravura c'è? Sarebbe fin troppo

facile

in quel caso, giusto?"

"Sì, sì, certo. A me m'hai convinto, vediamo se riesci a

convincere

anche loro! "

"Be'..." Daniela si alza dal divano. "Io vado. Voglio dirglielo

stasera stessa, non ne posso più di tenermi questo segreto. Sarà

una

liberazione. Ciao, Giuli..."

Si danno un bacio sulla guancia. Poi Giuli la saluta e mentre

esce le dice:

"Fammi sapere, eh? Chiamami se hai bisogno".

"Ok, grazie."

Giuli sente sbattere la porta di casa. Alza il volume della tv e

si

rimette a guardare il film. Dopo poco spegne la televisione.

Decide

di andare a letto. Una cosa è sicura: dopo la storia di Daniela,

qualunque altro film è noioso.

Capitolo 44.

Mario arriva preoccupato al nostro tavolo.

"Ma che fate? Già ve ne andate? Avete preso solo un secondo.

Ho un dolce buonissimo fatto in casa, con le mie mani. Anzi, per

essere sincero, con quelle di mia moglie."

E quest'ultima confessione mi prende alla sprovvista. Vorrei

raccontargli tutto, spiegargli che non è che si è mangiato male,

ma

che ho avuto questa grande idea, grande... Un'idea. Un piatto

particolare

da ogni parte, in ogni posto famoso per quel piatto. Anche

il cabernet ha fatto il suo effetto e partecipa alla festa. Così

preferisco

una semplice bugia.

"No, è che abbiamo un appuntamento con i nostri amici, sennò

quelli scappano."

Mario sembra accettare con tranquillità questa spiegazione.

"Arrivederci allora... ma tornate presto."

"Certo, certo."

Anche Gin partecipa. "La tagliata era buonissima."

Ma mentre usciamo succede qualcosa d'imprevisto.

"Aspettate, aspettate!"

Un ragazzo dall'aria buffa con i capelli gonfiati a mo' di

cappello

da cuoco ci corre incontro.

"Step, tu sei Step, vero?"

Annuisco.

Sorride soddisfatto di aver fatto centro.

"Tieni, questo è per te."

Prendo un foglietto ma non faccio in tempo a leggerlo perché

Gin più veloce me lo strappa di mano mentre il ragazzo continua.

"Me l'ha dato una ragazza bionda, una ballerina." Sorride felice.

"È una di quelle del Bagaglino. Mi ha detto di darlo a te o a

tua cugina."

Mario lo guarda preoccupato e poi, quasi a scusarsi con noi "È

mio figlio. Vieni andiamo di là che c'è ancora gente da servire".

"Ma se hanno finito tutti."

Mario lo strattona.

"Ma non capisci un cavolo!" E lo spinge in avanti. "E forza!

Muoviti."

E il ragazzo, mortificato, piega la testa in giù già pronto a

sentire

la solita ramanzina del padre chiedendosi perché sempre e solo

a lui.

"Tieni." Gin mi passa il foglio.

"Mastrocchia Simona... Già una che mette prima il cognome e

poi il nome..."

Poi mi guarda con una certa aria di sufficienza.

"Telefonino, fisso ed e-mail sul biglietto. Vuole essere

rintracciata.

Visto, sa anche usare il computer. È tecnologica. Come la

gonna Uragan. Meno male che hai svoltato la serata."

"Veramente non l'ho ancora svoltata. Comunque in tempo di

guerra non si butta via niente! "

Piego il biglietto e me lo metto in tasca.

"Ah, ah, molto divertente, sul serio."

Rimaniamo un po' in silenzio, camminando. Vento di primi

d'ottobre, qualche foglia qua e là tra i marciapiedi. Quel

silenzio

mi infastidisce.

"Ma guarda che sei forte, hai fatto il casino, le hai chiesto il

numero,

fai la mia cugina preoccupata, quella sorride e poi infine ce

lo dà, e tu t'arrabbi. Guarda che sei insuperabile."

"Insuperabile, hai detto bene. Allora? È finito questo cibo-tour,

o come cavolo si chiama? Non hai messo neanche un titolo a questa

tua grande idea! "

Fa risuonare il tutto con eccessiva enfasi e continua a guardarmi

per un po'. Poi apre la bocca, fa la smorfia come se imitasse un

"boccalone", uno stupido pesce, o un semplice umano qualsiasi

che comunque non trova le parole per rispondere. Insomma mammifero

o anfibio, sta parlando di me. Mi brucia pure sui tempi. E

dire che avevo pensato di chiamarlo proprio cibo-tour... Be', tiro

fuori il foglietto con il numero di Mastrocchia Simona, il

telefonino

che mi ha regalato Paolo e comincio a digitare sui tasti. In

realtà

lo faccio a caso, senza guardare. Con gli occhi, ma senza farmene

accorgere, la sto controllando. E la piccola tigre parte in

quarta.

"Ma guarda che stronzo!"

Mi si avventa contro. Chiudo al volo il telefonino e lo metto in

tasca mentre con la destra paro un suo colpo, forte a calare,

dritto

sulla faccia, mentre Mastrocchia Simona con il suo numero scritto

in maniera incerta cade a terra. Le prendo il polso e veloce

glielo

giro portandole il braccio dietro la schiena. Una mezza giravolta

ed è attaccata a me. "Ahi." Quasi sorpresa da quella velocità e da

quel dolore. Allento un po' la presa. La tiro a me. Con la

sinistra

le prendo i capelli, infilo le dita tra le ciocche. E come un

pettine

selvaggio, un po' grezzo, un po' naturale, le fisso i capelli

indietro.

Le libero la fronte. I suoi occhi sono grandi, intensi, spaziosi.

Mi

guardano. Come mi piace. Poi li chiude. Li riapre e si ribella.

Prova

a divincolarsi. Ma registro un po' la presa.

"Buona... Shh." Sussurro. "Sei troppo gelosa..."

A quella parola sembra quasi impazzire, scalpita, si agita, tenta

di colpirmi con i piedi, con le ginocchia.

"Io non sono gelosa! Mai stata e mai lo sarò. Sono famosa per

non esserlo!"

Rido parando più o meno i suoi colpi. Si getta con la bocca

aperta sul mio viso, prova a mordermi. Comincia una guerra di

guance, un alternarsi di strusciate, i suoi denti si aprono e si

chiudono,

cercandomi, non trovandomi, mi avvicino e mi allontano, la

sua bocca mi insegue, io mi spingo giù, spostandole la testa,

liberandomi,

nascosto tra i capelli, fino al collo. Apro la bocca, tanto,

più che posso. Vorrei quasi inghiottirla tutta e insieme respiro

catturandole

la pelle, il collo, la giugulare e con un morbido morso gigantesco

la blocco, la prendo, la posseggo.

"Ahia. Ahia. Ok, basta!" Scoppia a ridere. "Mi fai il solletico,

ti prego, il collo no."

Si piega verso di me con la testa cercando di liberarsi. Fa uno

strano balletto, piccoli passi che si spostano verso sinistra

mentre

continua a ridere. E brividi e sorrisi, piega la testa sulla sua

spalla,

chiude gli occhi, debole, sconfitta, abbandonata, conquistata da

quel sensuale solletico. E io la bacio. Morbidissima, dalle labbra

calde come non ho mai sentito. Come una febbre. Di desiderio. O

la lotta che è stata... Ma tutto il resto mi sembra fresco,

compreso

lì, sotto il giubbotto, sotto la maglietta che mi lascia visitare.

Poi, il

suo seno... Lo accarezzo per un attimo con la mia mano, morbida

e gentile. Ma è solo un attimo, sento il suo cuore battere veloce,

più

veloce. E non so perché, vi giuro che non lo so, li lascio lì,

tutti e

due. Non voglio disturbare. Le prendo la mano.

"Vieni, ci manca il dolce..."

Tranquilla si lascia portare. Poi all'improvviso si ferma un

attimo.

Mi blocca tenendomi per mano e muove le labbra spingendole

in avanti, smorfiosa paperina, leggermente imbronciata.

"Perché come dolce io non andavo?"

E provo a dire qualcosa ma non me ne lascia il tempo. Mi scappa

via di mano e mi supera correndo, con il petto spinto in avanti,

quel seno che era mio prigioniero, con le gambe indietro, ridendo,

libera. E io la inseguo mentre poco più in là, ormai preda del

vento,

forse di un altro destino, rimane un numero di telefono e un nome.

Anzi un cognome e un nome: Mastrocchia Simona.

Capitolo 45.

Claudio è fermo con la sua Mercedes a via Marsala. Si guarda

in giro preoccupato. Poi si chiede: ma che pericolo c'è a stare in

macchina? Uno può essere stanco, magari ha viaggiato tanto, il

rischio

di un colpo di sonno. Oppure ha voglia di una sigaretta. Ecco,

sì. Mi fumo una bella sigaretta. Non c'è niente di male. Claudio

tira fuori dal pacchetto una Marlboro ma la rimette subito dentro.

No. Meglio di no. Ho letto su un giornale che riduce certe

prestazioni.

No. Non ci devo pensare. Non ci devo pensare. Devo allontanare

questo pensiero altrimenti s'innesca l'ansia da prestazione.

Ecco. Arriva. Cammina saltellando. Ha un lettore ed tra le mani

e la cuffia alle orecchie, sorride tenendo il tempo con la testa,

i

capelli sciolti e la pelle leggermente abbronzata, com'è naturale.

Un vestito leggero sul verde con dei girasoli gialli e il suo seno

piccolo.

Bella. Come sempre. Come l'ha vista la prima volta. Giovane

come l'ha continuata a desiderare da quella sera, da quel bacio

dato

in macchina, dopo la partita vinta a biliardo con Step, il ragazzo

con cui stava allora Babi. Simpatico, quel tipo, un po' violento,

forse... ma che partita che abbiamo fatto quella sera! Claudio ha

continuato a giocare da allora. Per una passione ritrovata. Ma non

per il biliardo. Per lei, per Francesca, la giovane brasiliana che

sta

arrivando. In fondo è per lei che si è iscritto a quel club, è per

lei

che ha comprato la stecca nuova, una Zenith, è per lei che

vorrebbe

vincere quel torneo sulla Casilina. Che follia. Non meno di

questa.

Andare quasi tutte le settimane all'Hotel Marsala con lei. Ormai

è più di un anno che va avanti questa storia. Certo, è un piccolo

albergo, fuori dal giro delle sue amicizie, frequentato solo da

giovani turisti, da marocchini o albanesi che magari hanno voglia

di spendere poco. Ma che ci può fare? Lui di voglia invece ne ha

tanta... e di lei. E questo è il solo modo per vederla. Pagando

naturalmente

cash la stanza.

"Francesca!"

La chiama da lontano. La ragazza, col Sony alle orecchie, sembra

non sentire. Allora Claudio clicca due volte sulla leva delle

luci,

lampeggiando. Francesca se ne accorge, sorride, si leva le

cuffiette e corre veloce verso di lui. S'infila nella macchina.

Gli monta

sopra, quasi un tuffo sulle sue labbra.

"Ciao! Ti desidero! " ed è sincera. E ride. E fa la pazza. E lo

bacia

con forza, con voglia, con passione, morbida, leccandolo,

sorprendendolo

come sempre. Più di sempre.

"Francesca, ma dov'eri tutt'oggi, t'ho cercato."

"Lo so... vedevo il tuo numero, ma non ti volevo rispondere."

"Come non mi volevi rispondere?"

"Sì, non ti devi abituare. Io sono la musica e la poesia... libera

come il mare, come la luna e le sue maree. " E così dicendo

Francesca

gli inizia a sbottonare la camicia e lo bacia sul petto. Poi gli