labbra. Tra le sue dita. Frugando, strusciando, slittando, senza

frenare, lasciandomi andare, cadendo. Le vedo chiudere gli occhi,

lasciare andare la testa all'indietro sullo schienale. Ora,

perfino i

capelli sono ormai abbandonati. Le giro la mano e le bacio il

palmo.

Mi stringe il viso dolcemente, mentre respiro tra le sue linee...

La vita, la fortuna, l'amore. Respiro piano piano senza far

rumore.

Lei d'improvviso apre gli occhi e mi guarda. Sembrano diversi,

come

cristallini, appena appannati da un velo leggero. Felicità? Non

so. Mi sbirciano nella penombra. Sembrano sorridere anche loro.

"Guarda la strada..."

Mi rimprovera. Io ubbidisco e poco dopo giro a destra, giù,

lungo il fiume, Lungotevere, tra le macchine, fra gli altri,

veloce,

con la musica e la sua mano nella mia, che si muove ogni tanto,

ballerina, invitata a chissà quale danza. Cosa starà pensando? E

se

ha indovinato, quale sarà la sua risposta? Sì, no... E come una

partita

di poker. E lei è lì davanti a me, la guardo un attimo. I suoi

occhi,

leggermente abbassati, mi sorridono da sotto, dolci e divertiti.

Non c'è che andare al piatto, perché tiri giù le carte. Sarà un

sì... sarà un no... è troppo presto? Non è mai troppo presto. Non

c'è tempo per queste cose e poi non è una partita a poker, non c'è

piatto. Ma... Magari sono servito? Che bello essere una

"davanzalina" come lei. Una piccola donna al davanzale, è lì che

mi guarda,

pensa, ragiona, si diverte. Ride di quel giovane uomo che cammina

sotto il suo terrazzo, che non sa che fare, se far finta di

niente,

semplicemente sorridere o chiedere l'aiuto di una treccia... Per

salire... Beata te che puoi aspettare le mie mosse.

"Mi gira un po'la testa."

Mi sorride mentre lo dice. È una piccola giustificazione se per

caso accadesse qualcosa? O è una grande giustificazione se già sa

che accade qualcosa. Oppure le gira semplicemente la testa e me

lo voleva dire. Semplicemente. Ma cosa c'è di semplice? Nulla che

valga... Chi l'aveva detta questa? Non mi ricordo. Mi sto

intortando,

giri complessi e complicati, ragionamenti estremi per vedere le

effettive possibilità. Che percentuali ho di riuscita? Basta,

cazzo...

Non mi piace ragionare su tutto questo.

"Gira anche a me."

È la mia semplice risposta. Semplicemente. Gin mi stringe un

po' più forte la mano e io, stupidamente, ci vedo un segno. O

forse


no. Che palle. Ho bevuto troppo.

Aventino.

Una curva e su per la salita. Questa macchina va che è una

meraviglia.

Mio fratello sarà felice che gliel'ho ritrovata. Mi viene da

ridere. Lei mi guarda, mi giro e me n'accorgo.

"Che c'è? A che pensi?"

Gin, dalle sopracciglia un po' abbassate, Gin dallo sguardo un

po' aggrottato, Gin preoccupata.

"Niente, questioni familiari."

Gianicolo. Orto botanico. Mi fermo al volo, tiro il freno a mano

e scendo.

"Ehi, ma dove vai?"

"Niente... non ti preoccupare, torno subito."

Chiude la portiera stendendosi dalla parte mia e si chiude dentro.

Gin serena. Gin sicura. Gin previdente. Mi guardo in giro.

Niente. Perfetto, non c'è nessuno. Uno, due e... tre. Scavalco il

cancello

e sono dentro. Cammino in silenzio. Profumi leggeri, profumi

più forti, un poco pungenti. Future colonie non ancora esistenti.

Distillati in boccetta, essenze costose. Ecco. Ecco la mia preda.

La

scelgo d'istinto, la prendo con cura, la stacco con forza ma senza

maltrattarla. Un desiderio che ho sempre avuto e ora... Ora sei

mia.

Uno, due, tre passi e sono di nuovo fuori. Mi guardo in giro.

Niente.

Perfetto, non c'è nessuno. Torno alla macchina. Gin mi vede

all'improvviso.

Si spaventa. Poi mi apre.

"Ma dove sei andato? Mi hai fatto paura."

Allora apro il giubbotto, scoprendola. Come uno spinnaker che

prende vento all'improvviso in mare aperto. E in un attimo tutto

il

suo profumo inonda la macchina. Un'orchidea selvaggia. Compare

così, tra le mie mani, con un semplice gesto, più di un

prestigiatore

che di un ladro imbranato.

"Per te. Da fiore a fiore, direttamente dall'Orto botanico."

Gin la annusa, si tuffa al centro dell'orchidea selvaggia per

respirarne

il profumo più intenso. Lei, giovane donna in apnea, appare

di nuovo tra quei grandi petali. Mi ricorda un cartone. Bambi,

ecco sì, Bambi. Quegli occhi grandi, lucidi, emozionati che

compaiono

dietro quei petali delicati di un fiore. Quegli occhi spaventati

e incerti su un futuro prossimo. Non uno qualunque, il suo.

Prima, seconda, terza, siamo di nuovo in viaggio. Piccole curve

e su per una salita. Schivo una transenna che ci obbligherebbe

a fermarci e posteggio poco più su. Campidoglio.

"Vieni!"

La faccio scendere dalla macchina e lei come rapita mi segue.

"Ma guarda che..."

"Shh! Parla a bassa voce, qui ci vivono."

"Sì, va bene. Ma volevo dirti... Guarda che di sera qui non

sposano.

E poi non ne abbiamo ancora parlato. Ma io voglio la favola,

te l'ho detto."

"Cioè?"

"Abito bianco, un po' scollato, fiori misti al grano e una bella

chiesa nel verde anzi no, in riva al mare."

Ride.

"Lo vedi che sei ancora indecisa?"

"Perché?"

"Nel verde o al mare?"

"Ah, pensavo che dicevi che ero indecisa se sposarti o meno."

"No, per quello sei decisissima. Faresti carte false."

La tiro a me e provo a baciarla.

"Presuntuoso e poco romantico."

"Perché poco romantico?"

"Non si fanno richieste indirette. Ah ah! " Finge di ridere e mi

scappa dalle braccia, come un pesce salta fuori dalla mia rete e

corre

via veloce, svoltando dietro l'angolo. Le sono dietro. È un

attimo.

Siamo nella piazza grande del Campidoglio. Luce più alta. Una

statua centrale con attaccato un cartello. Naturalmente stanno

facendo

dei lavori. Ci fermiamo vicini ma divisi. Sembra tutto bellissimo,

soprattutto lei. Fa capolino da dietro la statua.

"Allora che fai? Non ce la fai già più?"

Fingo di partire, e lei scappa dietro la statua. Corro dall'altra

parte e pum, la prendo al volo. Lei strilla.

"No... no dai!"

La sollevo e me la porto via. Tipo ratto delle Sabine o giù di lì.

Via dalla luce, via dal centro. Finiamo sotto il colonnato, nella

penombra.

Le faccio ritoccare terra e lei si sistema il giubbotto coprendosi

la pancia, morbida e compatta, appena scoperta. Le prendo

i capelli e le scopro il viso leggermente arrossato, per la corsa

appena fatta, per qualche imbarazzo segreto o chissà che. Il suo

petto va su e giù veloce, poi piano piano rallenta.

"Ti batte forte il cuore, eh?"

La mia mano sul suo fianco. Sotto il giubbotto, sotto la

maglietta,

leggera, quasi come un semplice brivido, sulla sua stessa

pelle. Lei chiude gli occhi e io piano piano salgo, sul bordo, sui

suoi

fianchi, su, dietro la schiena. Apro la mano e la tiro a me,

stringendola,

spingendola verso il mio corpo, baciandola. Alle nostre

spalle una colonna più bassa delle altre, dal diametro più largo.

Lì,

dolcemente, la spingo, lasciandola scendere giù, piano piano. E

lei

si lascia andare. I suoi capelli, la sua schiena persi su quella

base


così antica, corrosa dal tempo, dalle venature sbiadite, dal marmo

poroso ormai quasi stanco, e sì che ne avrà viste di cose... Si

tiene

stretta ai miei fianchi con le sue gambe, stringendomi in una

morsa

leggera, facendole dondolare a destra e sinistra. E io mi lascio

portare. Mentre le mie mani naufragano tranquille lungo la sua

cintura,

i pantaloni, i suoi bottoni. Senza fretta, senza... Senza liberare

niente. Senza troppa voglia. Per adesso. Poi all'improvviso Gin

si gira verso sinistra e apre gli occhi, sgranandoli.

"C'è qualcosa lì!"

Spaventata, determinata, forse un po' seccata. Guardo meglio

nell'ombra ancora intontito dalla leggera sbronza d'amore.

"Non è niente. È un barbone..."

"E dici niente? Ma tu sei pazzo."

Si tira su decisa. E io che non ho sentito niente, e soprattutto

non ho voglia di litigare, la prendo per mano. L'aiuto. Scappiamo

così, lasciando quella mezza colonna antica e quella figura più o

meno presente, dimenticati nell'ombra. Come in un labirinto

procediamo

tra il verde nascosto e le luci più o meno soffuse dei Fori

romani. Sotto di noi, in lontananza, antiche colonne e travi e

monumenti.

Un viottolo si inerpica su dalla piazza del Campidoglio.

Terrazze sbalzate con piccoli parapetti, della ghiaia per terra,

del

verde curato, dei cespugli selvaggi. Tutt'intorno più sotto,

un'altezza.

"Tarpea."

Così, sospesi nel vuoto di quelle rovine, sotto un muretto, in

un cono d'ombra perfettamente protetta, una panchina nascosta.

Gin ora più tranquilla si guarda in giro.

"Qui non ci può vedere nessuno."

"Mi vedi tu."

"Ma se vuoi chiudo gli occhi."

Non dice no, non dice sì. Non dice. Ma respira vicino al mio

orecchio mentre si lascia spogliare. Via il giubbotto, via la

maglietta,

scomposti cadono dalla panchina, in un'ombra ancora più

scura. Via le scarpe, via i pantaloni. Ognuno toglie qualcosa

all'altro.

Poi ci fermiamo. È davanti a me, si copre il seno abbracciandosi

da sola con le mani incrociate sulle spalle, orlata tra i capelli

dalla luce della luna, coperta più giù solo dalle sue mutandine.

Non ci posso credere. Lei, Gin. Quella Gin che mi voleva

fregare 20 euro.

"Ehi, che fai, mi guardi?"

"Non mi hai detto di no. E poi ti sbagli, ho gli occhi chiusi."

Da qualche parte, da un locale o da una finestra lasciata aperta,

note di uno stereo in lontananza. "Won't you stop me, stop me,

stop me..." No. Non vuoi, Gin. Lo sanno anche i Planet Funk.

"Come sei bugiardo."

E allarga le braccia lasciandosi guardare, sorridendo. Poi mi si

avvicina, ha le gambe semiaperte. Rimane così a fissarmi.

"Senti..."

"Shh... non diciamo nulla."

La bacio e piano piano le sfilo le mutandine.

"No, ho voglia di parlare. Primo hai... sì, insomma... quello che

serve?"

"Ce l'ho..." rido. "Ce l'ho."

"Ecco, lo sapevo, lo porti in tasca o nel portafoglio? O l'hai

comprato prima di venirmi a prendere? Perché magari tu eri già

sicuro

che andava così! Be', se vuoi non lo mettiamo..."

"Di' la verità, vorresti avere subito un bel bambino, bello come

me, intelligente come me, forte come me?"

"Ma scusa di me non ha niente?"

"Va bene... E con qualche difetto come te."

"Quanto sei scemo. No, a parte gli scherzi ce l'hai o no... il

coso!?"

"Calma, calma, veramente prima non ce l'avevo..."

"Sì, e ora invece ce l'hai, e chi te l'ha dato? Il barbone?"

"No, il Ballerino, il mio amico del Follia. Si è avvicinato e me

l'ha infilato in tasca e mi ha detto..."

"Che ti ha detto?"

"In bocca al lupo... E veramente carina, ma non credo ce la farai.

"

"Quanto sei bugiardo..."

"Ma è vero! Be', non ha usato proprio queste parole, ma il

significato

voleva essere un po' questo, più o meno."

"E poi un'altra cosa..."

"No, ora basta parlare..."

La tiro a me. Le bacio il collo, lancia i capelli indietro e io