ragione

della discussione.

"Sì, perfetti!"

Mi limito a dire cercando così di uscirne in qualche modo. Ma

non basta. Non è sufficiente, purtroppo.

"Senti Step, mi fai un favore? Puoi portarli tu di sopra agli

autori?"


È riuscito a pronunciarla quella parola finalmente. Ma è una

vittoria, come si dice? Di Pirro! Perché comunque tocca a me

affrontarli.

Che palle! Ma non posso tirarmi indietro. Ormai sono

nell'imbuto. Eh già. E poi mi ha chiesto un favore Marcantonio, il

mio maestro. Come posso dirgli di no.

"Certo, figurati."

Mi guarda sollevato. Mi passa i fogli e mentre esco dalla stanza

si ributta indietro sulla sedia, spegne la sigaretta e se ne

accende subito

un'altra. Che palle! Di una cosa sola sono sicuro. Fuma troppo.

Be', lo devo fare. Non c'è niente di più bello di una cosa che

devi

fare. Devi, prima legge dell'imbuto. Sto iniziando a odiarlo

'st'imbuto.

Tony mi saluta con il suo solito sorriso divertito. Sempre lo

stesso, ogni volta che passo. Ma fosse che Tony non fuma solo MS?

Dove ha detto che sono gli autori? Ah sì, al primo piano, dove c'è

anche il camerino della Schiffer. Faccio veloce le scale. Eccoli.

I fotografi

sono tutti seduti o meglio stravaccati su piccoli divani sbiaditi.

Aspettano l'uscita della diva nell'ipotesi di poterla sorprendere

struccata ma pur sempre bella. Tutto per poter dare un po' più

di valore alle loro eventuali foto rubate. Strano mestiere.

Faticoso e

ferocemente legato a troppe ipotesi. Quando arrivo non mi degnano

neanche di uno sguardo, giustamente. Solo un fotografo, o meglio

una lei, mi dedica un attimo della sua semplice attenzione.

Curiosità

femminile forse. Ma neanche quella è sufficiente per risollevare

in qualche modo la macchinetta fotografica che le penzola annoiata

dal collo. Meglio. Già mi pesa portare quei fogli. Sicuramente

gli autori avranno qualcosa da dire. Ci manca solo l'interesse di

qualcun

altro. Mi guardo in giro cercando dove saranno. "Schiffer." La

scritta, perfettamente stampata a caratteri grossi da una laser

write,

risalta nitida sulla prima porta. La seconda porta è priva di

indicazioni.

La scelta mi viene abbastanza naturale. Busso. Non sento risposta.

Dopo qualche secondo la apro. Niente. Silenzio. Se non il

fatto che compare un piccolo corridoio. In fondo un'altra porta.

Stesso tipo, stesso colore. Avanzo con i fogli tra le mani. Forse

sono

laggiù. In quell'altra stanza. Be', visto che ci sono, tanto vale

provare.

Ma mentre mi avvicino sento un rumore. Uno strano rumore.

Qualche risata soffocata. Poi dei movimenti disordinati, sordi,

ribelli.

Come calci scoordinati di un bambino sollevato in aria che

cerca di colpire un pallone sotto i suoi piedi. Ma quel pallone è

troppo

lontano per dargli il piacere di quel tiro. E così apro la porta.

Senza bussare. Semplicemente maleducato. Ma mi viene spontaneo.

Così come mi sembra irreale quello che vedo. Toscani tiene

abbracciata

Gin da dietro. Sesto è appoggiato a un tavolo con il suo

solito stecchino in bocca e sorride divertito dalla scena, Micheli

è

davanti a Gin e si muove con uno strano tempo. Poi d'improvviso

metto meglio a fuoco la scena. Gin ha la camicetta strappata. Il

suo

seno è nudo, scoperto da un reggiseno finito di traverso. Ha un

pezzo

di scotch da pacchi sulla bocca. Toscani la sta leccando sul collo

con la sua lingua rasposa. Micheli, il Serpe, ha i pantaloni

aperti

davanti, l'uccello di fuori e si sta masturbando. Gin, con i

capelli

bagnati dal sudore per la lotta, si gira all'improvviso verso di

me. È

disperata. Mi vede. Sospira. Sembra avere un attimo di sollievo.

Toscani

incrocia il mio sguardo e smette di leccarla. La sua lingua rimane

sospesa nell'aria come la sua bocca aperta. Sesto non è da meno.

Assume un'aria sbigottita e anche lui apre la bocca. Il suo

stupido

stecchino rimane così sospeso a mezz'aria, appeso al labbro

inferiore.

Finalmente quei fogli hanno una loro ragione. È un attimo.

Li scaglio con forza in faccia a Sesto, l'unico che potrebbe

intervenire

per primo. Lo prendo in pieno. Cerca di evitare il colpo. Scivola

dal tavolo. Finisce per terra. Micheli, il Serpe non fa in tempo

a girarsi. Lo colpisco con il pugno chiuso da destra verso

sinistra

con il braccio aperto come per allontanarlo. Lo prendo in pieno

vicino

alla trachea. Vola all'indietro finendo a gambe all'aria con uno

strano rantolo. Mentre il suo uccello timido si ritrae subito. Si

vergogna

perfino di aver tentato di mettere in scena quella ridicola

erezione.

Toscani smette di abbracciare Gin. In un attimo sono su di

loro. La libero definitivamente strappandole dalle labbra il pezzo

di scotch. "Stai bene?"

Muove su e giù la testa come per dire sì, con le lacrime agli

occhi,

con le sopracciglia aggrottate. Le labbra le tremano in un

disperato

tentativo di parlare. "Shh" le faccio io. La allontano

gentilmente,

la sospingo con dolcezza verso la porta d'uscita. La vedo

andar via, così di schiena. Intuisco che si sta rimettendo a posto

il

reggiseno. Si sistema la camicetta. Riordinando le idee per quello

che le è possibile. Vuole trovare un posto per il suo dolore.

Cerca

di piangere. Ma non ci riesce. Comunque non si gira indietro. Si

allontana semplicemente. Incerta sui suoi passi, traballante sulle

gambe, pensierosa sul da farsi. Per quanto mi riguarda io, invece,

non ho dubbi. Pum. Mi giro di scatto e colpisco Toscani con una

violenza che non pensavo di avere. Lo prendo in piena faccia, da

sotto, colpendo il labbro, il naso, la fronte, strusciandolo

quasi, ma

poggiandoci tutto il mio peso, tutta la mia rabbia. Finisce contro

il

muro e non fa in tempo a fermarsi che gli sono addosso. Dritto per

dritto con il mio piede destro in piena pancia, levandogli il

respiro,

dandogli appena il tempo di cadere giù per poi prendere una

corta rincorsa ma piena di potenza e colpirlo quasi come una palla

al rimbalzo. Pum. In piena faccia. Come un calcio di rigore, come

il miglior Vieri, o Signori, o Ronaldo e tutti gli altri insieme,

tutti,

senza escluderne nessuno. Con un unico urlo e una minaccia. È

un rigore da non sbagliare. Pum. Di nuovo. Contro il muro. Gli si

spappola la guancia. C'è una schizzata di sangue meglio di

qualsiasi

rabbioso interprete della più sudicia pop art. Scavalco Micheli

che ancora rantolando sta recuperando fiato. Gli sorrido

involontariamente.

Gusto il fatto che si stia riprendendo. Deve essere in

forma per quello che naturalmente decido di tenermi come gran


finale. Poi sono da Sesto. Si copre la faccia con tutte e due le

mani

sperando in chissà quale miracolo... Che però non avviene. Pum !

Lo colpisco con il destro, largo, bello, teso, aperto. Da destra

verso

sinistra con tutto il peso del mio corpo. Pum! Di nuovo. Lì, sul

suo orecchio, con una violenza tale che mi sorprendo che non

salti.

Ma poi mi tranquillizzo. Bene, sanguina. E lui stupido, sorpreso,

ancora incredulo, si toglie le mani dal viso, le porta davanti ai

suoi occhi. E le guarda senza volerci credere, cercando chissà

quale

assurda spiegazione a quel dolore, a quel sangue, a quel rumore.

Ma non fa in tempo a realizzare niente. Pum! Ora è libero il suo

volto. Pum. Pum. Uno dopo l'altro gli piazzo una serie di colpi in

faccia. Uno dopo l'altro, dritto per dritto senza tregua, sugli

occhi,

sul naso, sulle labbra, sui denti, sugli zigomi, pum! Pum! Pum!

Uno dopo l'altro, sempre più veloce, sempre più veloce, sempre

più veloce, come un pazzo, come uno normale. Pum! Pum! Pum!

Sono i miei colpi che lo tengono su, che sostengono quel viso che

si sta smaciullando. Pum! Pum! Pum! E non provo dolore e non

provo pietà e non sento più niente se non il piacere. Non capisco

più a chi appartiene tutto quel sangue tra le mie mani. Sorrido.

Mi

fermo. Respiro. Mentre lui si accascia come un sacco morto.

Scivola

giù, floscio, inebetito, forse felice a sua insaputa di esserci

ancora.

Forse. Ma è un dettaglio. Poi lo vedo per caso. Mi sembra la

giusta chiusura. Mi piego, lo prendo tenendolo tra le dita con

disgusto

e disprezzo. E pum. Gli pianto il suo stecchino su quello che

è rimasto del suo labbro inferiore. Non faccio in tempo a girarmi.

Strash. Mi arriva da dietro una sedia. Mi prende in pieno sulla

nuca.

Sento solo il botto. Mi giro. Micheli è in piedi davanti a me. Ha

ripreso fiato. Alle sue spalle sono comparsi tutti quei fotografi

inutili.

Famelici, ravvivati, increduli, quasi slinguettano assatanati su

quell'imprevisto piatto caldo appena servito. Agitano voraci le

loro

macchine fotografiche inondandoci di flash. Avranno visto Gin

andar via. L'avranno vista sconvolta, con la camicetta strappata,

in

lacrime. Ma l'hanno vista andar via. Questo mi fa star meglio.

Strabuzzo

gli occhi, cerco di rimettere a fuoco dopo il colpo appena

ricevuto.

Giusto in tempo. Vedo arrivare di nuovo la sedia. Mi piego

d'istinto facendola passare sopra la mia testa. Fshhh, è un

attimo.

Sento un vento leggero appena sopra i miei capelli. Schivata.

Di poco ma schivata. Mi rialzo di botto bloccandogli il braccio,

gli

stringo il polso facendogli cadere la sedia e poi lo tiro a me

andandogli

incontro di testa. Pum! Una capocciata perfetta, in pieno

sul naso, spaccandoglielo. La raddoppio al volo. Pum. Sul

sopracciglio.

E di nuovo. Pum. In pieno viso. Si accascia sotto i flash

dei fotografi che continuano imperterriti a scattare. Micheli è lì

per

terra. Preso dalla foga, dalla sua idea secondo lui geniale di

colpirmi

con una sedia, non ha pensato minimamente a nascondere quello

stupido arnese che lo ha spinto a fare tutto questo. Ha ancora il

suo uccello di fuori. Il mandante di quello sporco attentato

andato

a male penzola grinzoso tra degli inutili pantaloni grigi. Come

se bastasse un po' di flanella a dargli eleganza. E io non ho

dubbi.

È lui il vero colpevole. E allora è giusto che paghi. Non aspetto

altro.

Mi preparo. Come quel tiro da fuori. Sta per scadere il tempo.

Il pivot è fermo con la palla in mano. È l'ultima partita di

basket,

decisiva per la vittoria del campionato. E improvvisamente lui

tira...

O come un saltatore che si prepara per l'ultimo salto. Ondeggia

sui suoi passi, cerca di trovare il tempo giusto dentro di sé, di

battere il record del saltatore precedente. O più facilmente come

la campana, quel puro gioco da cortile, dove dopo aver lanciato un

sasso bisognava saltellare in maniera corretta lungo un difficile

percorso.

O come in Gunny... "Sta' attento a quello che cerchi, potresti

trovarlo..." Ecco, voi avete trovato me. Non ho dubbi e senza


scagliare la prima pietra, io mi preparo, mi elevo e salto,

andando

a tempo con i flash dei fotografi. Me ne frego. Pum! Ci salto

sopra

e ancora pum. Pum. Di tacco, al centro mentre Micheli si dimena

e quel buffo arnese tra le sue gambe si accartoccia sempre di