non ha più nessun titolo... Almeno per me.
"E lei invece è Smeralda, la mia amica del cuore! "
Babi mi si avvicina complice, gatta, fa le fusa e mi suggerisce
calda all'orecchio: "Diciamo che ha preso il posto di Pallina".
E ride. E io sento solo il suo Caronne. E la guardo. Almeno
quello è rimasto. E vorrei dirle: "Chi ha preso invece il posto
mio?".
Il mio posto. Già. Perché pensavi di averne uno? Mi potrebbe
rispondere.
Allora sto zitto. Sto in silenzio. La guardo mentre continua
questo strano ballo di presentazioni. Lei, abile cortigiana, dama
impeccabile di quella sua alta società, della sua corte dorata. E
danza, e ride e manda indietro la testa e cascate di capelli e
profumo
e ancora la sua risata. E ancora... Ancora tu. Ma non dovevamo
vederci più... E sento tutto il mio dolore. Quello che non so,
quello che non ho vissuto, quello che ormai mi manca. Per sempre.
Ma quante braccia ti hanno stretta per diventar quel che sei.
Come hai ragione. Come è vero. Che importa. Tanto lei non me lo
dirà, purtroppo. Così resto in silenzio. E la guardo. Ma non la
trovo.
Allora vado a cercare quel film in bianco e nero durato due anni.
Una vita. Quelle notti passate sul divano. Lontano. Senza riuscire
a farmene una ragione. Graffiandomi le guance, chiedendo
aiuto alle stelle. Fuori, sul balcone, fumando una sigaretta.
Seguendo
poi quel fumo verso il cielo, su, più su, oltre... Lì, dove
proprio noi
eravamo stati. Quante volte ho nuotato in quel mare notturno,
perso
in quel cielo blu, portato dai fumi dell'alcol, dalla speranza di
incontrarla di nuovo. Su e giù, senza sosta. Lungo Hydra, Perseo,
Andromeda... E giù fino a Cassiopea. Prima stella a destra e poi
dritto, fino al mattino. E ancora oltre. E a tutte chiedevo:
"L'avete
vista? Vi prego... Ho perso la mia stella. La mia isola che non
c'è.
Dove sarà ora? Cosa starà facendo? Con chi?". E intorno a me il
silenzio di quelle stelle imbarazzate. Il rumore fastidioso delle
mie
lacrime sfinite. E io stupido che cercavo e speravo di trovare una
risposta. Datemi un perché, un semplice perché, un qualsiasi
perché.
Ma che sciocco. Si sa. Quando finisce un amore si può trovare
tutto, tranne che un perché.
Capitolo 68.
Claudio guida tranquillo. Ogni tanto controlla lo specchietto per
vedere se Raffaella lo sta seguendo. Niente. Nessuna macchina
dietro
di lui, nessun sospetto. Solo una volante della polizia, che a un
certo punto accende i lampeggianti e sgomma. Claudio la vede
sfrecciare
veloce girando a destra, giù per la Cassia. Non l'hanno degnato
di uno sguardo. E ti credo, pensa tra sé, io sono un cittadino
modello,
non ho mai fatto niente di male. E del tutto convinto della sua
completa innocenza scala e prende corso Francia, diretto a tutta
velocità
a via Marsala. Poco dopo è a Porta Pia. Si ferma vicino
all'Europa,
posteggia e tira fuori il telefonino dalla tasca. Lo apre,
controlla.
Niente, nessun messaggio. Con Francesca eravamo rimasti che
ci vedevamo all'albergo alle nove e mezzo. Se ci fossero stati
problemi
o avesse finito prima, mi avrebbe mandato un messaggio. Meglio
così. Meno messaggi ci si manda, meno probabilità si hanno di
essere scoperti. Dopo che Raffaella ha aperto l'estratto conto e
mi
ha fatto quell'interrogatorio di terzo grado sulla stecca da
biliardo,
non posso più telefonare o mandare messaggi dal mio telefonino. È
troppo rischioso. Raffaella sarebbe capace perfino di chiamare
Franchi
e di fare un terzo grado pure a lui. Quello non è abituato a una
belva come lei, solidarietà maschile o meno, alla fine
crollerebbe. Ne
sono sicuro. È meglio se chiamo sempre dall'ufficio e se i
messaggi
li ricevo e basta e poi li cancello. Claudio chiude il telefono e
se lo rimette
nel taschino dove lo tiene sempre. Poi, tranquillo e rilassato,
decide di concedersi una sigaretta. Quando ci vuole ci vuole. Oggi
poi non c'è nessun tipo di ansia. Così Claudio si accende una
bella
Marlboro. Ma se avesse guardato bene il suo telefonino, si sarebbe
accorto che è leggermente più nuovo del solito. È in quel caso non
ci sarebbe stata ansia. Ma vero e proprio terrore.
Beep. Beep. Il suono dell'arrivo di un messaggio. Il telefonino
di Claudio lampeggia sul tavolo. Lo sapeva. Era solo questione di
tempo. Raffaella allora sorride e lo prende in mano. Aspetta un
attimo.
Lo guarda indecisa. Ecco, questo è il momento che potrebbe
cambiare totalmente la mia vita. E pensare che quando Claudio ha
voluto prendere quei due cellulari identici da 3, perché erano in
promozione,
io l'ho tanto criticato. Povero Claudio, pensa, oggi aver
potuto scambiare il mio telefonino con quello che teneva nella
giacca
non ha prezzo. Poi il suo viso cambia improvvisamente,
s'indurisce.
La rabbia lo trasforma. Allora decide di aprirlo. Di scoprire
quella carta, quel messaggio che potrebbe mettere definitivamente
fine alla più importante partita della sua vita. Lo apre e poi
legge.
"Ciao tesoro! Ho finito adesso. Allora ci vediamo lì alle nove
e mezzo, come deciso."
Raffaella strabuzza gli occhi, diventano verdi di bile, gli escono
dalle orbite, dalla rabbia digrigna i denti, affanna nel respiro.
Vorrebbe lanciare il telefonino di Claudio contro il muro, ma sa
che perderebbe ogni traccia di quella "F" di merda, di quella
donna
che si permette di chiamarlo "tesoro". E improvvisamente capisce
l'importanza di quel telefonino, unico indizio, unica prova
per un processo del domani. Una mappa perfetta per poterla portare
ora al "suo" tesoro. Raffaella si ricompone, respira forte, si
rilassa.
Deve ritrovare la lucidità. Deve agire d'astuzia. Prende il
telefonino
di Claudio e scrive lentamente la risposta.
"Devo venire in taxi. Mi hanno preso la macchina a casa. Cosa
dico al tassista?" poi invia. E aspetta. Spera di non aver
commesso
nessun errore, nessun modo di scrivere diverso, che non ci
fosse nessun segnale tra loro, tipo "passo e chiudo" o qualche
altra
stronzata del genere. Claudio è stato attento, ma non è poi così
geniale. Non poteva mai sospettare che io sostituissi il suo
telefonino
col mio. E proprio in quel momento il messaggio di ritorno
arriva.
"Tesoro che fai mi scrivi? Avevi detto che era pericoloso. Non
so la strada esatta, ma basta che gli dici Hotel Marsala e ti ci
porta
di sicuro. A tra poco. Voglio prenderti come l'ultima volta..."
E alla lettura di quest'ultime parole Raffaella si sente quasi
morire.
Le si stringe lo stomaco, le si irrigidisce la mascella, le prende
un attacco di fegato. Poi va al telefono di casa e compone un
numero.
3570. Dopo alcuni secondi la voce della centralinista del
radiotaxi
le risponde.
"Per favore, subito un taxi a piazza Jacini. È urgente. Aspetto
in linea. "
Dopo qualche secondo arriva una voce registrata.
"Venezia 31 in due minuti."
Raffaella attacca per confermare. Poi ci pensa su e le viene quasi
una risata isterica. Venezia 31. A Venezia è stato il loro primo
viaggio. Ed è su un taxi chiamato così che finirà tutto. Poi corre
in
bagno e vomita anche quello che non ha mangiato.
Poco più tardi. Fermo al piazzale di Porta Pia, Claudio guarda
l'ora. Sono le nove. Ho ancora mezz'ora. Ha sete. Decide di andare
a prendere una birra a un bar poco distante. Accende la macchina
e fa un'inversione a U. Anche se ha commesso un'infrazione,
è stato prudente. Aveva controllato che non venisse nessuno. C'era
solo un taxi che arrivava da in fondo la strada. Se fosse stato
attento
avrebbe letto la sua sigla: Venezia 31. Certo, anche quella non
gli avrebbe detto niente. Ma se fosse stato ancora più attento, se
avesse guardato anche dentro al taxi, allora avrebbe capito che
per
lui non c'era più scampo.
Raffaella scende dal taxi, paga ed entra nell'Hotel Marsala. Si
guarda intorno. Un ambiente orribile. Una pianta finta in un
angolo.
A terra un tappeto rosso consumato. Vicino al muro c'è una
vecchia panchina dal legno mangiato. Lì davanti, un tavolino col
vetro rotto e alcune riviste vecchie distrattamente poggiate
sopra.
Un portiere si affaccia dal bancone.
"Buonasera, posso aiutarla? Le serve qualcosa?"
"Il signor Gervasi mi ha consigliato questo albergo. È in camera?"
Il portiere la guarda. Ma è un attimo. Ne ha viste abbastanza
per sapere che a volte è meglio farsi gli affari propri. Poi si
gira.
Controlla nella cassetta delle chiavi. La diciotto è ancora lì.
"No, non è ancora arrivato." Sorride alla signora in maniera
cortese.
"Bene, grazie, allora, se non le dispiace, lo aspetto qui."
Raffaella si siede sulla panchina, stando attenta a non farlo con
troppo slancio. Ci mancherebbe solo questo, cadere e rompersi una
gamba ed essere portata all'ospedale. Ora che sa la verità, che è
arrivata
al capolinea, in fondo alla sua corsa. Questo incontro finale
non se lo vuole perdere per niente al mondo. Raffaella apre un
giornale
e lo sfoglia velocemente. Ma è come se non vedesse le foto, le
scritte, le pubblicità. Solo pagine colorate. Di rosso sangue. E
proprio
in quel momento arriva Francesca. Apre la porta a vetri dell'hotel
ed entra con la sua solita allegria, salutando il portiere.
"Ciao, Pino! Claudio è arrivato?"
Il portiere guarda lei. Poi Raffaella. Risponde quasi balbettando.
"No... ancora no."
"Allora dammi le chiavi, che lo aspetto su."
Il portiere le dà le chiavi numero diciotto e poi decide di andare
nell'altra stanza. In alcuni casi è meglio non aver visto niente.
Raffaella sbatte il giornale sul tavolino e si alza. Va verso di
lei,
si ferma a un passo e la guarda negli occhi. Francesca rimane
senza
parole. Spaventata, fa un passo indietro. Raffaella
improvvisamente
la riconosce. Non ci posso credere. Che stupida che sono
stata. Quella non era una cartolina. Era una foto plastificata. È
lei
quella ragazza sulla spiaggia. Lei è "F".
"Ma che succede?"
Raffaella fa quasi un sorriso di sfida.
"Niente, un controllo. Come ti chiami?"
"Francesca, perché?"
In un attimo quella "F" prende vita. Francesca la stronza.
"Stai aspettando Claudio, vero?"
Francesca non riesce a capire. O forse non vuole capire. Comunque
Raffaella non le dà il tempo. Prende il telefonino di Claudio
e compone il numero, il proprio numero.
"Aspetta, che ora te lo passo."
Claudio ha appena preso una birra, ne sta bevendo un sorso in
macchina, quando quasi si strozza sentendo suonare quel telefonino
dalla tasca. Vibra e suona con uno squillo che però non è il suo.
Lo prende. Lo guarda sorpreso, non capendo. Poi lo apre. E in quel
momento vede quello che non si sarebbe mai aspettato. Il suo nome,
"Claudio", che lampeggia enorme sul display. Ma com'è possibile
che mi sto chiamando? Non capisce più niente. Quello è il
suo ultimo, stupido pensiero, prima di poter realizzare, di
capire,
di cadere nel baratro del dramma. Continua a guardare il suo nome
come ipnotizzato da quello squillo, non capendo che quel suono
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