è la sua chiamata per un'andata senza ritorno nel mondo degli
inferi. Poi all'improvviso non ce la fa più e decide di
rispondere.
"Pronto?" quasi timoroso, preoccupato di sentire chissà cosa
dall'altra parte. E infatti c'è proprio lei, l'ultima persona che
avrebbe
voluto sentire. Sua moglie.
"Ciao Claudio, aspetta che ti passo una persona."
Claudio resta senza parole, non fa in tempo a dire nulla, mentre
Raffaella poggia il telefonino sull'orecchio di Francesca. Claudio
non può immaginare, non vuole immaginare quale sarà ora la
seconda voce che sentirà... Chi è la persona vicino a sua moglie?
Chi può essere? Allora, completamente disorientato, decide di
ritentare
lo stesso.
"Pronto...?"
"Claudio sei tu? Sono Francesca... c'è qui una donna che mi ha
chiesto..." ma non fa in tempo a finire. Raffaella le leva il
telefonino
dall'orecchio e riparla con Claudio.
"Ti aspetto a casa."
Proprio in quel momento, Claudio passa in macchina davanti
all'Hotel Marsala col telefonino ancora aperto e le vede insieme:
Raffaella e Francesca. Claudio non crede ai suoi occhi, rimane
sbigottito
e accelera, cercando in qualche modo di fuggire. Ma non sa
che da questo momento non ha più scampo.
Francesca si rivolge scocciata a Raffaella.
"Ma scusa, gli stavo parlando, perché mi hai chiuso? Tu sei
maleducata..."
Raffaella le sorride, poi le prende dalle mani le chiavi della
stanza.
Francesca la lascia fare. Il grosso quadrato di legno pesante, con
sopra il numero diciotto attaccato alle chiavi, ciondola dalle
mani
di Raffaella.
"Era questa la stanza dove tu 'prendevi' Claudio?" Francesca
non risponde. Raffaella alza un sopracciglio. "Io non sono
maleducata.
Io sono la signora Gervasi. E tu, tu non sei un cazzo! " e le
dà il quadrato di legno in piena faccia, rompendole il naso e
stampando
per sempre nei suoi ricordi quel numero diciotto.
Capitolo 69.
"Ehi, Step, ma mi stai sentendo?"
"Certo..." Mento.
"Come sono felice di vederti... ma perché non mi hai chiamato
quando sei tornato?"
"Be', non sapevo..."
"Non sapevi cosa?" Ride coprendosi la bocca. Muove i capelli
portandoli all'indietro. "Se sono sola?" Mi guarda. Ora con occhi
più intensi. Senza quel fiore in bocca. Ma non dice altro, e io
ripenso al nostro Battisti. A quando lei si faceva le trecce, alle
sue
guance rosse, alle nostre cantine buie... Al mare nero. Ma non
aspetto
risposta.
"Bevo qualcosa."
E per fortuna trovo subito un rum. Un Pampero, il migliore.
Ne prendo un bicchiere e lo butto giù. Io vorrei... Ne prendo un
altro. Non vorrei... Me lo scolo tutto di un fiato. Ma se vuoi...
Un
altro bicchiere ancora. Come può uno scoglio arginare il mare?
Non ho mai saputo rispondere a quella domanda. Torno da lei, ci
sediamo su un divano. E guardandola trovo la risposta. È
impossibile.
Il mare è infinito. Proprio come i suoi occhi. E il mio scoglio...
Be', il mio scoglio è troppo piccolo. Lei mi guarda e ride.
Ride.
"Hai bevuto, eh?"
"Sì, qualcosa."
E in un attimo siamo lì, all'ombra, come quelle due biciclette
abbandonate. E passa del tempo. Non so quanto. E lei mi racconta
tutto, tutto quello che si può raccontare, che decide di
raccontarmi.
Lei donna. Lei che era chiara e trasparente come me... E prima
che le chieda quante braccia l'hanno stretta per diventar quel
che è, la serata finisce. Proprio come la mia bottiglia. "Ciao
Carola,
ciao ragazzi."
E tutti si salutano, si scambiano baci, appuntamenti, si ricordano
un impegno futuro. E ci troviamo fuori dal portone. Soli, poco
dopo.
"Che fai?"
"Eh, niente. Sono venuto con il mio amico Guido in macchina,
ma lui se ne è andato."
"Non ti preoccupare. Ho io la mia. Ti accompagno io, dai."
E salgo su una Minicooper blu ultimo modello con tanto di stereo
e ed. "Buffo, eh?" Mi guarda mentre guida.
"Ci siamo conosciuti con un passaggio in moto dove io sono
salita dietro di te e ci ritroviamo con un passaggio in macchina
dove
stavolta sali tu."
"Sì, buffo..." Non so cosa aggiungere. Mi chiedo solo se Guido
aveva immaginato anche questo. Lucignolo impeccabile dalla
mente geniale. Rivedo il suo sorriso, l'occhiolino e la sua uscita
di
scena perfetta, da grande confezionatore di destini... Ma perché
proprio il mio.
"Tieni." Babi mi allunga la sua sciarpa.
"Grazie. Ma non ho freddo!"
Ride. "Sciocco." Ora mi guarda più seria. "Mettitela sugli occhi.
Non devi vedere. Ti ricordi, no? Ora tocca a me. E tocca a te
stare al gioco."
Senza parlare me la lego intorno alla testa così come aveva fatto
lei. Quella volta in moto dietro di me. Lei e i suoi occhi
bendati,
volare via tranquilli. Lei abbracciata a me, senza vedere,
lasciandosi
portare verso quella casa ad Ansedonia, il suo sogno, di
notte, quella notte, la sua prima volta... Ora la sento guidare
tranquilla,
alzare un po' lo stereo, lasciarmi portare così dalla musica,
da lei, da quella bottiglia di rum finita dentro di me.
"Ecco, siamo arrivati."
Mi levo la mia sciarpa-benda e nella penombra la scorgo. La
Torre.
"Ti ricordi? Quella volta che ti sei addormentato?"
Come posso dimenticare? Poi quando mi sono svegliato abbiamo
litigato e poi abbiamo fatto pace. Come facevamo pace. Come
si fa pace tra innamorati. E senza neanche accorgermene me la
trovo tra le mie braccia. Eppure non abbiamo litigato. Questa
volta
no... Mi bacia. Morbida, senza pudori, sorride nella penombra.
"Ehi, ma quanto hai bevuto?"
Un po'.
Ma non sembra importargliene poi più di tanto. E continua così,
accarezzandomi. "Mi sei mancato, sai?" Mi sento sciocco, cosa
posso dire? Come posso saperlo? E sarà vero poi? Perché mi dice
così? Perché? E io? Io non so proprio che dire. Vorrei stare
zitto.
Ma mi esce un semplice "Sì?".
"Sul serio." Sorride. Poi mi sbottona la camicia, si spinge oltre.
E continua tranquilla. Senza fretta, ma decisa, sicura, ancora più
sicura, se mi ricordo, di come l'avevo lasciata.
"Vieni esci fuori..."
Quasi mi spinge dalla macchina e ride divertita all'idea che ha
iniziato a piovere. Si apre la camicetta, si toglie il reggiseno,
scoprendosi
il seno. Si lascia accarezzare dall'acqua e poi da me che
scivolo con la lingua sui suoi capezzoli bagnati. Con le mani
sicure
mi apre la cinta, mi sbottona i pantaloni lasciandoli cadere giù,
infila la mano dentro e mi sussurra all'orecchio.
"Eccolo... Ciao... Quanto tempo..."
Spinta come non era mai stata. Non con me almeno. Poi mi bacia
sul petto mentre l'acqua dal cielo continua a cadere. E Babi
scivola
giù lasciandosi portare da quelle gocce fino a trovarlo. E io mi
lascio andare così, portato dal rum, dalla pioggia che cade dal
cielo,
da lei caduta così in basso. E mi piace. E lo fa bene. Mi piace
da morire e ne soffro quasi nell'ammetterlo. Ormai bagnato, tutto
e dappertutto, rapito dalla sua bocca che mi succhia, quasi con
rabbia,
io mi lascio portare. Tutto quel tempo passato. Quel dolore
sofferto... Quella donna perduta... Alzo la testa al cielo. Le
gocce
di pioggia si vedono all'improvviso, accarezzate da quel fascio di
luce di una luna lontana. Vorrei fare come Battisti... "Ma io gli
ho
detto no e adesso torno a te con le miserie mie, con le speranze
nate
morte che io non ho più il coraggio di dipingere di vita..." E
invece
resto. E lei continua così, senza fermarsi, più veloce, con la
sua bocca quasi avida di tutto ciò che è mio. Poi si stacca, si
alza,
mi assale, mi tira a terra e io mi lascio cadere. Mi stendo vicino
a
lei, sotto la pioggia. E mi sale sopra e si alza la gonna e sotto
non
ha già più nulla. Bagnata dappertutto mi allarga le mani ed è
sopra
di me. Comincia a cavalcarmi. L'acqua scende. Mi tengo con le mani
al terreno, mi gira la testa, ho bevuto troppo, lei da lassù
sorride
e gode e mi guarda, vogliosa, sensuale, spinta. E io tocco il
grano
bagnato, l'erba, e la stringo e, per un attimo, non vorrei essere
lì. Ma come... E quel suo sorriso tanto amato? Non era per questo
che sei tornato? E all'improvviso un lampo. Senza luce. Come un
uccello notturno, un battito d'ali, fragoroso nella sua
delicatezza.
La sua voce.
"Mi chiami dopo?"
"Sì, magari ti chiamo."
"Come magari? Mi chiami! Anzi... Chiamami senza chi!"
E allora come dei pixel, dei frame, una foto sovraesposta,
un'immagine
sfocata, una semplice polaroid... Improvvisamente si forma
lucida nella mia mente. Gin. Dolce Gin, tenera Gin, divertente
Gin, pulita Gin. Mi appare tutta, in tutta la sua bellezza. E la
luna
lontana sembra ripropormi un suo nuovo viso. Affranta,
dispiaciuta,
delusa, tradita. E in quel pallore lunare vedo tutto quello
che non avrei mai voluto vedere... Come per incanto la pioggia
si infittisce, i fumi dell'alcol si dileguano. E io,
improvvisamente lucido,
provo a sfilarmi da sotto di lei. Ma Babi mi stringe più forte,
mi tiene fermo, va su e giù, quasi con rabbia, continua la sua
corsa
con ancora più foga, no, non mi lascia scappare. Quasi trascinata
da quel mio voler fuggire, mi cavalca e gode, senza darmi respiro,
né tregua, né riposo. Ancora, ancora e ancora. Si sfila solo
all'ultimo quando ormai io vengo. E soddisfatta, appagata, ormai
sazia, si accascia su di me. Si abbandona così, lasciando lì da
qualche
parte per terra due poveri innocenti. Il mio seme e la mia colpa.
Poi mi dà un bacio leggero, che non so di cosa sappia. So solo
che mi sento ancora più in colpa. E mi sorride, sotto la pioggia,
più
spinta di sempre, più donna di allora. Diversa. Specchio deforme
di ciò che ho tanto amato.
"Sai Step, ti devo dire una cosa..."
Mentre mi rivesto sotto l'acqua, sotto la pioggia che vorrei
purificatrice,
sotto le nuvole scure che mi guardano inquisitorie, sotto
quella luna che sdegnata mi ha voltato la faccia. Lei continua.
"Spero solo che non ti arrabbi."
Continuo a vestirmi in silenzio. La guardo. Io? Arrabbiarmi io?
Ora che non ci sei più? E come potrei arrabbiarmi?
Si porta con tutt'e due le mani i capelli bagnati all'indietro.
Poi
piega la testa, cercando per un attimo di tornare bambina. Ma non
è più possibile. Non ci riesce.
"Ecco... ti volevo dire che tra qualche mese mi sposo."
Capitolo 70.
Notte fonda. Claudio ha girato per tutta Roma. Non riesce a
credere a come si è fatto fottere. Come ha fatto a non accorgersi
che non era il suo telefonino, ma quello di sua moglie. D'altronde
sono identici. Mannaggia a me e a quando ho dato retta a quella
pubblicità. Era una trappola. Ho risparmiato, sì... ma ora quanti
danni mi toccherà pagare? E per quanti anni? Non riesce a
quantificare
tutto quello che lo aspetta. Ma tanto vale affrontarlo. Ormai *
sono le due. Saranno anche tutti andati a dormire, no? Posteggia
sotto casa, fuori dal cancello, proprio per non far sentire
che rientra. Poi corre su per la salita col passo felpato, nella
notte,
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