cristallo.

Il mio dolore sarebbe andato in mille pezzi, in frantumi, come

uno specchio sottilissimo con riflessa tutta la nostra vita,

quella

mia e di mia madre. Insieme. Le sue parole, i suoi racconti, le

sue risate, i suoi scherzetti, le sue corse, le sue sgridate. Il

suo cucinare,

il suo farsi bella. Scivolano così via, senza possibilità di

essere

trattenute, come gocce d'acqua sul vetro di una macchina in

corsa, sul finestrino di un aereo in partenza, in caduta libera da

una

doccia di mare lasciata aperta e spazzata dal vento. Mamma. Come

lei ha fatto tante volte con me, mi viene naturale. Le prendo la

mano. Lei me la stringe come risposta. Sento le sue dita più

magre,

alcuni anelli più liberi, la pelle quasi posata a caso su quelle

ossa

sottili. Porto la sua mano alla mia bocca e la bacio. Ride,

leggera.

"Cos'è, il bacio del perdono?"

"Shh." Non voglio parlare. Non ce la faccio a parlare. "Shh."

Poggio la mia guancia sul dorso della sua mano. Mi lascia

tranquillo

su quell'umano cuscino piccolo ma pieno d'amore. Il mio, il suo?

Non so. Rimango lì a riposare, con gli occhi chiusi, con il cuore

tranquillo, con le lacrime sospese, in silenzio. Mi accarezza la

testa

con l'altra mano e gioca un po' con i miei capelli.

"Hai letto il libro che ti ho regalato?"

Faccio cenno di sì con la testa oscillando leggero sulla sua mano,

il mio cuscino. La sento sorridere.

"Hai capito allora che può succedere? Tua mamma è una donna,

una donna come tutte... Come tutte? Forse più fragile."

Rimango in silenzio. Cerco un aiuto, qualcosa, non ce la faccio.

Mi mordo il labbro inferiore e trattengo le lacrime. Aiuto. Chi mi

aiuta? Mamma aiutami. "Ho sbagliato, è vero, e il Signore ha

voluto

che proprio tu lo scoprissi. Ma è stata una punizione troppo

grossa. Perdere per quest'errore mio figlio."

Mi alzo di scatto e riesco a sorriderle, tranquillo, forte, come

mi vuole lei, come mi ha fatto lei, mia mamma.

"Ma non mi hai perso. Sono qua."


Mi sorride. Riesce a stendere il braccio e a farmi una carezza

sulla guancia. "Ti ho ritrovato allora."

Le sorrido e faccio cenno di sì con la testa.

"E ti perderò di nuovo."

"Ma perché? No... vedrai che andrà tutto a posto."

Mamma chiude gli occhi e scuote la testa.

"No. Me l'hanno detto. Ti perderò di nuovo."

Fa una pausa e mi guarda. Poi sorride piano piano. Vedo sul

suo viso la felicità di avermi accanto e poi, invece, il dolore

che le

viene da dentro. Improvviso. Una piccola smorfia. Chiude gli

occhi.

Poco dopo li riapre, di nuovo serena. Il dolore è passato. Mi

guarda e sorride.

"Ma stavolta non sarà per colpa mia."

Rimango in silenzio. Vorrei trovare qualcosa da dire, tornare

indietro, laggiù. Scusarmi per tutto quel tempo passato. Vorrei

non

essere mai entrato in quella casa, non averla vista con un altro

uomo,

non averla disturbata, non averne sofferto, essere stato prima

capace di capire, di accettare, di perdonare. Invece no. Non

riesco

a parlare. Non so fare altro che stringerle la mano, leggermente,

con la paura che tutto si possa di nuovo spezzare. Ma lei mi

salva,

mi aiuta, ancora una volta. D'altronde è mia madre. Mamma.

"Parliamo di ciò che ci ha allontanato."

Mi coglie di sorpresa. Rimango in silenzio.

"Non facciamo finta di niente. Credo che non ci sia nulla di

peggio che far finta di niente. Se sei qui, vuol dire che in

qualche

modo lo hai superato."

Niente, non parlo. Allora cerca di aiutarmi.

"Be', non credo comunque che sei andato fino in America per

colpa mia, no?" Sorride. E quel suo sorriso rende tutto più

facile.

"Avevo voglia di un po' di vacanza."

"Due anni? Te la sei presa comoda. Comunque mi dispiace per

quello che è successo. Tuo fratello non ha capito nulla. Tuo padre

invece non ha voluto capire. Ci sarebbe dovuto essere lui al tuo

posto.

Erano successe cose..." si ferma. Improvvisamente una fitta di

dolore attraversa il suo sorriso. Come un'onda leggera venuta da

chissà dove. Poi sparisce di nuovo e mamma riapre gli occhi. E

torna

a cercare il sorriso. Lo trova.

"Vedi, non devo parlare. Meglio così. Almeno di lui ti rimarrà

sempre un bel ricordo. Sono io la colpevole, quella che ha

rovinato

tutto, ed è giusto che io paghi." Un'altra fitta. Sembra più forte

questa volta. Mi avvicino a lei.

"Mamma..."

"Non è niente, sto bene, grazie..." Fa un lungo respiro. "Mi

danno queste medicine così forti. A volte è come se non ci fossi.

Sogno anche se sono sveglia, non sento più niente. È bello.

Dev'essere

una droga. Ora capisco perché voi ragazzi ne prendete così

tanta. Fa dimenticare qualsiasi tipo di dolore. "

"Io però non l'ho mai fatto."

"Lo so. Hai saputo vivere vicino al tuo dolore. Ora basta però.

Non gli permettere più nulla. Fatti restituire la tua vita."

Restiamo per un po' in silenzio.

"Mi sei mancata, mamma."

Poggia la sua mano sulla mia e me la stringe. Cerca di farlo con

forza, ma la sento debole, fragile. Guardo la sua mano. È magra.

Ha perso molto di quella vita che lei stessa generosamente mi ha

dato. Poi mi lascia andare.

"Comunque, Stefano, non volevo parlare di me."

"Cosa vuoi sapere?"

"Mi ricordo che quando ero molto giovane, più piccola di te,

avevo avuto un ragazzo che mi piaceva tantissimo. Ero convinta

che avrei diviso tutta la mia vita con lui. Invece si è messo con

la

mia migliore amica e io ero come impazzita. Dovevi vedere i miei

genitori. Alla fine me ne sono fatta una ragione. E subito dopo ho

incontrato tuo padre. Vedi, sono stata felice che la mia prima

volta

fosse stata proprio con lui... Ecco, ciò che in un momento preciso

ci sembra così perfetto, col passare del tempo può non esserlo

più. Magari capiamo che non era poi così perfetto e anche se lo

abbiamo perso non è detto che non possiamo trovarlo ancora, o

addirittura trovare qualcosa di meglio."

Rimane per un po' in silenzio, mi sorride. Mi vorrebbe felice.

Vorrei tanto esserlo. Anche per lei.

"Ho conosciuto una ragazza."

"Ecco, era questo che volevo sentirti dire. Mi racconti com'è?"

"È divertente, è bella, è strana. È... particolare."

Proprio in quel momento: "Step!".

Martina, quella "sgnappetta" di undici anni conosciuta a piazza

Jacini, compare sulla porta.

"Non ci posso credere!"

"Oddio..." Mia madre rimane senza parole. "Non mi dire che

è lei la ragazza 'particolare' con la quale ti vedi ora? ! " Poi

comincia

a ridere. E alla fine tossisce e di nuovo viene rapita da una

fitta

di dolore. Ma passa subito. E torna ad aprire gli occhi. E sorride

subito.

"Martina, che ci fai qui?"

"Qui lavora mia madre, eccola."

Entra una bella donna con un camice bianco.

"Salve. Io sono la caposala e dovrei cambiare le flebo della

signora

e comunque questa non è l'ora delle visite."

"Sì, lo so, scusi."

"Ma mamma, lui è un mio amico, hai capito chi è, è Step, quello

della scritta sul ponte di..."

"Martina, accompagna fuori il signore. Faccio il mio servizio

e poi la faccio rientrare un attimo per salutare la sua parente,

va

bene?"

"Grazie."

Faccio per uscire dalla stanza quando mamma mi richiama.

"Stefano, mi puoi fare una cortesia? Mi puoi portare un bicchiere

d'acqua?"

"Certo" ed esco con Martina.

"Ma quella signora chi è?"

"Mia madre."

"Sta molto male?"

"Credo di sì, non ho ancora capito bene."

"Se vuoi chiedo meglio a mia madre. Lei sa tutto. Mia madre è

pazzesca sul lavoro. Oggi non poteva lasciarmi a casa e allora mi

ha fatto venire qui. Allora, vuoi che glielo chiedo?"

"No, Martina, lascia stare."

Ci rimane un po' male. Cammina vicino a me in silenzio.

"Dai, fammi vedere invece dove posso prendere l'acqua."

"Certo!" Si accende di nuovo. "Vieni, passiamo di qua che si

fa prima." Poco dopo rientriamo nella stanza. La caposala finisce

di controllare l'ultimo tubicino. Dà una schicchera precisa su una

bottiglietta rovesciata, controllando che il liquido cominci a

scendere.

Le sembra tutto ok.

"Bene. Signora, passo di nuovo verso la mezzanotte." Poi va

verso l'uscita. "Lei può rimanere altri cinque minuti."

Grazie.

"Vieni, Martina, andiamo." Prende la figlia per il braccio per

essere sicura che esca dalla stanza.

"Ahia, mamma, e non mi tirare! Vengo! Ciao Step, ci vediamo."

La saluto con la mano e riprendo posto vicino al letto. Poso il

bicchiere d'acqua sul suo comodino.

"Grazie, Stefano. Allora, non sapevo avessi delle fan. La caposala

mi ha raccontato, Martina e le sue amiche sono letteralmente

impazzite per la tua scritta."

"Già, non credevo di diventare famoso per questo. E dire che

non l'ho neanche firmata! "

Mia madre ride. "Ma le voci girano, che non lo sai? Si sa sempre

tutto. E lei? Lei che stava con te... tre metri sopra il cielo...

che

dice?"

"L'ho vista ieri."

"Che vuol dire che l'hai vista ieri? Ma scusa, non ti stai vedendo

con l'altra?"

Rimango in silenzio. Mamma allarga le braccia.

"Be', certo... Ora che ci penso, sono la persona meno adatta a

dirti qualcosa, no?"

Ci guardiamo. Poi all'improvviso ci mettiamo a ridere. Sembra

stare meglio. La medicina ha fatto effetto.

"Non so cosa hai fatto, ma vuoi un consiglio? Non dire niente

all'altra. Neanche che l'hai vista. Supera da solo in silenzio il

tuo

errore. Spero che quello che ho combinato io allora non sia una

cosa

ereditaria, sennò mi dovrei sentire in colpa anche per i tuoi di

errori."

"No, mamma, lascia perdere, già mi sento in colpa io. Ho tanto

desiderato incontrarla di nuovo, c'ho pensato giorno e notte, ho

sempre immaginato quel momento, come sarebbe stato..."

"E com'è stato?"

"Io e te... tre metri sotto terra! "

"È che a volte facciamo delle cose così stupide. E non quando

siamo innamorati ma quando pensiamo di esserlo." Rimaniamo in

silenzio.

"Be', meglio così. Almeno una cosa te la sei chiarita. La storia

passata è passata. Finita. Non potevi evitarlo, credo."

"Invece avrei dovuto, e come se non bastasse... si sposa."

"Ah, andiamo bene. È per questo che sei rimasto male?"

"No. L'assurdo è che non me n'è fregato niente. M'è sembrata

un'altra persona, una che non aveva niente a che fare con me, con

tutto quello che mi ricordavo, non era più quella ragazza che mi

era tanto mancata, per la quale ero stato così male. E la cosa

assurda

è che si sposa e che me l'ha detto quando era già tutto successo.

Mi sono sentito ancora più in colpa."

"Per quello che ti aveva detto?"

"No, per l'altra ragazza. Per quanto è diversa da lei e per quanto


non se lo merita."

Mia madre mi guarda. Poi sorride. E torna proprio a essere

quella mamma che mi è tanto mancata.

"Stefano, alcune cose devono capitare e sai perché? Perché se

fosse successo più in là poi non sarebbe stato più possibile

mettere

tutto a posto. Di questo, purtroppo, ne sono sicura."

Rimaniamo così per un po', in silenzio.

"Be', ora vado. Non voglio che torni la caposala e mi veda ancora