Poi si sedette su uno sgabello tirato via da un tavolino lì vicino e messo davanti a quel pianoforte. Alzò il coprita-stiera. Si sorprese trovando sul panno la scritta in inglese “Life is music”. Scosse la testa a quell’invito e cominciò a suonare. Visto che si trovava in un pub, che il gruppo era quantomeno turisticamente misto, evitò subito la musica classica e la scelta le cadde naturalmente su un pezzo jazz.
Rifece a memoria i brani di St Germain, cercò di andare in tutte le direzioni come uno strano medley umano, suonando qualche pezzo tedesco, spagnolo, americano, e perfino uno giapponese. Andava a orecchio e si era messa in testa un berretto da baseball rubato al volo a un ragazzo che era passato lì vicino. Si era fatta portare anche lei una birra e sperava in un modo o nell’altro di sfangare la serata, superare l’emozione, la timidezza e la vergogna di esibirsi in quel modo e su quel piano con qualche nota stonata. Per concludere dando un tocco di classico a quella sua misera esibizione, aveva deciso di cedere suonando un pezzo di Tony Scott. Lei lo riteneva il più grande jazzista italoame-ricano, stupidamente ignorato dal suo Paese d’origine e, chissà, magari qualcuno dei presenti avrebbe apprezzato quella sua scelta artistica così raffinata.
Suonò un po’ di tutto e concluse la sua buffa esibizione con Music for Zen Meditation. Alla fine ci fu uno scroscio di applausi. A turno un po’ tutti si avvicinaro-no alla pianista battendole sulle spalle delle pacche ami-chevoli, in segno di grande riconoscimento. Qualcuno le offrì un’altra birra. Quando Sofia provò a restituire il cappellino al proprietario, il ragazzo cominciò a muovere velocemente le mani, scuotendo la testa: «No no…
It’s yours, It’s yours». E sorrideva battendole le mani.
Alla fine Sofia diede una spinta ad Andrea.
«Hai visto cosa mi hai fatto fare?»
«Ma sei stata bravissima. Ho già parlato con il proprietario del locale. Farai due concerti a sera e noi ci ritroveremo con la vacanza pagata!»
«Stupido…»
Andrea l’abbracciò divertito ed era veramente sorpreso di come Sofia, abituata ormai a tenere concerti in mezza Europa, una che aveva suonato il Concerto in Do Maggiore di Prokofiev diretta da Chailly, si potesse vergognare a suonare per divertimento di fronte a qualche turista un po’
ubriaco in un piccolo pub greco. Ma lei era fatta così, con le sue improvvise sfuriate e il suo carattere lunatico, a volte dolce e delicata bambina, e poi di colpo donna, passionale e selvaggia. E quello sguardo malizioso e un po’ brillo fecero pensare ad Andrea che doveva essere proprio in quella fase. E così, senza che nessuno li notasse, sgattaiolarono fuori dal pub, mentre tutti cantavano stonati, sulla vaga scia della musica che lei aveva suonato, sbattendo qualche pinta quasi vuota in un clima di grande euforia.
Andrea e Sofia si ritrovarono a camminare sulla spiaggia, poco distante dal porto. Sofia si tolse le scarpe, camminava con i piedi immersi nelle piccole, lente onde che il mare faceva ricadere sul bagnasciuga, spargendo schizzi luminosi di plancton che subito si spegnevano.
Si chinò, prese un po’ d’acqua tra le mani. «Guarda…»
Strani essermi luminosi e minuscoli abitavano quella piccola pozza. Sofia li ributtò in mare. Poco dopo si trovarono in una zona d’ombra, una lingua di sabbia vicino agli scogli. Il raggio del faro lì vicino passava proprio sopra di loro, illuminando il resto della spiaggia. Andrea le alzò il vestito, le sfilò le mutandine, si aprì i pantaloni e in un attimo la prese. Si amarono lentamente, le loro bocche sapevano di quell’aria salmastra, la pelle sembrava morbida e calda, la notte li avvolgeva e non avevano fretta, solo la voglia di amarsi e tutto il futuro davanti…
Il futuro davanti. Sofia si alzò dalla sedia e andò verso la cucina. «Preparo un’insalata. Ah, ho preso anche un po’ di tonno da fare alla piastra, ti va?»
Andrea rimase un po’ male. Le stava raccontando una cosa. Decise di non farci caso.
«Sì, certo… Non troppo cotto, però!»
Sofia entrò in cucina e aprì il frigorifero, cercò l’insalata poi il tonno e li tirò fuori. Mise la piastra sul fuoco, accese il fornello. Il futuro davanti…
Quella sera, dopo aver fatto l’amore, si erano spogliati e tuffati in acqua, poi si erano rincorsi sulla spiaggia perché Sofia era uscita per prima e gli aveva rubato i vestiti.
«Così impari a farmi suonare per forza! Tornerai a casa nudo come un verme!»
Ma Andrea in poco tempo le fu addosso e la placcò, spingendola sulla sabbia. Nudo, ancora bagnato. Con un fisico abituato a giocare a rugby, era stato un gioco da ragazzi per lui.
«Ahi, mi hai fatto male…»
«Ma amore…»
«Amore un cavolo! Non sono mica una della squa-dra io!»
E così la serata era finita in discussione. E il giorno dopo lui si era beccato il suo broncio e lei un bel livi-do sulla coscia sinistra. Ma presto, complice quell’isola bellissima, avevano fatto pace nel migliore dei modi.
Ora quella vita era lontana. Il tonno era già scottato da una parte. Sofia prese una forchetta e lo girò veloce sulla piastra. Fece un sospiro. Era come se quei due ragazzi non ci fossero più. E in mezzo a quel fumo, all’odore di quella carne bruciata sulla piastra, fu come travolta.
Era passata un’ora da quando era arrivata al pronto soccorso. L’ultima infermiera uscita dalla sala operatoria aveva detto di non sapere nulla. Forse non poteva dire niente. Le veniva da sbattere la testa contro il muro, o ancora meglio sfondare a pugni una di quelle grandi vetrate, aveva bisogno di aria, stava impazzendo.
Iniziò a camminare, su e giù per il corridoio, aprì una porta, poi un’altra. Continuò a percorrere un corridoio dopo l’altro. Quando aveva raggiunto l’ultimo che dava sul cortile, tornava indietro fino alla sala operatoria e poi ricominciava di nuovo.
Era passata un’altra ora, stava facendo l’alba quando improvvisamente fece un nuovo corridoio e, aperta quella porta, si trovò lì. Di fronte alla cappella dell’ospedale.
Entrò lentamente, in punta di piedi. Nelle prime file c’era una piccola suora anziana, quasi piegata su se stessa. Pre-gava in silenzio, forse rivolgendo al Signore una richiesta, o forse ripetendo meccanicamente uri Ave Maria o un Padre Nostro. Per Sofia invece era una novità. Nel tempo si era allontanata dalla Chiesa senza una ragione precisa. Era accaduto, punto e basta, come quando, finite le scuole, si comincia a non sentire più un amico.
Le prime luci del giorno facevano capolino attraverso i grandi disegni sulle vetrate. I muri bianchi della cappella iniziarono a colorarsi di viola, di azzurro, di celeste. E
in quell’alba Sofia capì di aver di nuovo bisogno di tutti, anche del Signore, sempre che ci fosse, o di chiunque potesse ascoltare quella sua preghiera. Così si inginocchiò in quell’ultima fila, posò il viso tra le mani e in silenzio si mise a pregare. Cominciò da lontano, come se riprendesse un discorso iniziato tanto tempo prima, giustificando il suo allontanamento, chiedendo scusa. “Perdonami, so che sono scomparsa così all’improvviso senza una ragione e soprattutto senza avvisarti.” E a Sofia sembrò di sentire delle risposte, quel suo silenzioso monologo diventava un dialogo, come se una persona generosa e buona la capisse, la comprendesse e, in qualche modo, la giustificasse. “Ora so che è da vigliacchi ripresentarsi qui solo perché stanotte mi è accaduto questo…” Sofia alzò il viso e guardò in fondo, sopra all’altare, il Cristo dipinto. Sembrava fissarla. “Ma Ti prego, aiutami, non so a chi altri rivolgermi. In questo momento migliaia di persone Ti staranno chiedendo qualcosa, ma Ti prego, occupati solo di me e di Andrea. Sono pronta a tutto.
Rinuncerò a quello che mi chiederai se lo farai vivere.”
E improvvisamente partì una musica lenta, alcune no-te di uri Ave Maria. E quella musica continuò, era bassa, appena percettibile, eppure le sembrò un segno preciso.
Allora chiuse gli occhi e le venne da piangere ma capì che non poteva essere che quella la sua offerta. “Sì. Rinuncerò a suonare se lui vivrà.” Non seppe aggiungere altro. Le sembrava la rinuncia più grande. Improvvisamente calma, si alzò dall’inginocchiatoio. Anche la suora anziana ora non c’era più e la musica era finita.
Ripercorse tutti i corridoi, fino a tornare davanti alla sala operatoria. Si sedette su quella sedia e aspettò. Alle sei e venticinque il chirurgo che aveva operato Andrea uscì dalla sala, si abbassò la mascherina e andò verso di lei. Dovevano averlo avvisato che c’era una ragazza ad aspettarlo. Camminava lentamente, era stanco, provato e il suo sguardo non prometteva niente di buono. Sofia lo vide, guardò il suo viso e si sentì morire. Solo quando le fu vicino il chirurgo sorrise.
«Ce la farà. Ci vorrà tempo ma ce la farà.»
Allora Sofia si piegò su se stessa e cominciò a piangere. Grandi lacrime le scendevano sul viso, sfinito dalla fatica, dalla tensione, dal senso di colpa. In un attimo aveva visto la sua vita finire insieme a quella di Andrea. Il chirurgo l’abbracciò. Poi lei uscì dall’ospedale, si incamminò nell’alba senza dubitare neanche per un attimo che il suo voto potesse non essere valido. Non avrebbe suonato mai più.
Solo nei giorni seguenti capì quanto sarebbe stato lungo e difficile quel percorso. Andrea era diventato paraple-gico. Non avrebbe potuto più camminare. Aveva avuto una frattura delle vertebre inferiori che avevano coinvolto il midollo osseo, rendendo le sue gambe paralizzate. Si ricordò lo sguardo del Cristo dipinto nella piccola cappella dell’ospedale. Si domandò se la sua rinuncia al pianoforte fosse stata abbastanza, se l’avesse sul serio mai sentita suonare, se sapesse a quale passione, a quale incredibile amore aveva rinunciato per salvare Andrea.
«Ehi, avevo detto appena scottato! C’è un sacco di fumo che viene dalla cucina!»
La voce di Andrea la riportò al presente. Otto anni dopo quella sera. Poche cose erano cambiate. «Hai ragione, amore! Scusa! Stavo pulendo l’insalata e non me ne sono accorta, lo levo subito.»
Più tardi si sedette davanti al letto, preparò il poggia vivande e mise un disco adatto a quella serata, un pezzo tranquillo di Diana Krall. Sofia amava quella musica, era una delle sue autrici preferite. Iniziarono a mangiare uno di fronte all’altra. Andrea era di buon umore, si mise a scherzare sul tonno.
«Più cotto di così non si poteva fare…»
«Hai ragione, scusami. Te l’ho detto, mi sono distratta.»
«Ha riecheggiato forse nella tua mente…» Andrea alzò allusivo tutte e due le sopracciglia, «la parola inebriante}»
Sofia scoppiò a ridere. «No… Scemo.»
Andrea si pulì la bocca, poggiò il tovagliolo sul letto accanto a sé e la fissò negli occhi.
«Tu comunque mi sa che non me la racconti giusta.»
«Perché?» Anche Sofia si pulì la bocca con il tovagliolo ma in realtà lo usò per nascondersi. Era arrossita.
Sapeva già dove Andrea sarebbe andato a parare.
Ora era serio. «Neanche prima dell’incidente sei stata così passionale.»
«Sei ingiusto.»
«Sono realista.» Andrea si lasciò andare nel cuscino alle sue spalle. «Oggi tu hai incontrato qualcuno.»
Lei si mise a ridere. Tentò in tutti i modi di convin-cerlo. «Ma ti assicuro di no. Ho incontrato una decina di bambini e Olja. Se credi che siano stati loro la mia ragione come dici tu… inebriante, vuol dire che sono perversa.»
Sofia pensò che quella forse se la poteva risparmiare.
Sarebbe bastato dire di no e basta. Lo guardò di nuovo negli occhi e questa volta fu seria anche lei. «Andrea, ti assicuro, no, non ho incontrato nessuno.»
E alla fine questo suo atteggiamento fu più convincente. Andrea fece un lungo respiro, si rimise il tovagliolo e riprese a mangiare l’insalata.
«Mi è sembrato così strano. Era come se tu fossi un’altra donna.»
Ora Sofia era più tranquilla e si permise di scherzare.
«Ora sono io gelosa. La preferivi?»
«No.» Andrea la guardò in silenzio. «Mi ha fatto paura. Era come se rincorresse la vita, come se volesse essere lontano da qui.»
Sofia poggiò le posate. «Andrea… Avevo semplicemente voglia di fare l’amore con te.» Fece un sospiro.
«Per un attimo non ho pensato ad altro. È una colpa?»
«Scusami. È che sono legato a questo letto, non so cosa c’è oltre quella porta, non so dove vai, chi vedi.»
«Hai le stesse preoccupazioni di mille altri uomini che, pur non avendo avuto un incidente, hanno vicino a loro una donna più o meno bella e desiderabile…»
Sofia si alzò e cominciò a togliere i piatti. «Non farla lunga!»
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