Andrea le fermò il braccio. «Hai ragione. Scusami.»

«Non fa niente. La prossima volta lo farò con meno impeto.» E andò in cucina.

«E dai, non fare così… Stavo scherzando…»

Sofia mise i piatti nel lavandino, aprì l’acqua, aspettò che diventasse calda poi iniziò a sciacquarli. A un tratto rivide quella mano sul suo braccio, proprio co-me sulla scalinata della chiesa. “Ma perché fuggi così?

Aspetta…” Quell’uomo. Lui l’aveva fermata, lei aveva riso. Eppure quella mano non se l’era più tolta di dosso.

Aveva scopato con lui quella sera, lo aveva desiderato toccandosi, toccandolo, prendendolo in bocca, facendo l’amore sopra quell’uomo e alla fine era venuta con lui.

Ora l’acqua era diventata troppo calda, aprì un po’ di più quella fredda. Per la prima volta aveva tradito Andrea anche se solo con il pensiero. E gli aveva detto una bugia, la prima in dieci anni. Qualcosa si era rotto.


«No. Bisogna comprare.»

Tancredi appese il telefono. Era sicuro delle indicazioni date. Il mercato stava scendendo e bisognava assolutamente continuare a comprare. Nel giro di un anno o due sarebbero risalite tutte le quotazioni su cui aveva puntato di più. Tutti i suoi investimenti avevano prodotto un aumento del venticinque per cento netto nell’ultimo anno e lui lo aveva reinvestito in aziende importanti in difficoltà, comprandone le quote di maggio-ranza. Aveva importato dal Sudamerica qualunque tipo di merce: caffè, frutta, perfino legno, carta, carbone.

Aveva investito in miniere e grandi terreni per la col-tivazione. A capo di tutto questo settore aveva messo un giovanissimo analista finanziario, un broker di poco meno di quarantanni a cui aveva affiancato un com-mercialista. Costruiva per ogni settore quello che lui chiamava il “tris magico”, uno specialista della materia, un capace investitore e uno che facesse tornare i conti.

Il suo segreto era chiudere sempre con un punto in più per se stesso. Dal giorno in cui aveva adottato quella strategia, il suo patrimonio era aumentato in maniera esponenziale.

Erano passati dodici anni da quando aveva ricevuto in eredità il grande patrimonio di suo nonno e da allora non aveva fatto altro che comprare e vendere, mone-tizzare e reinvestire. Ogni anno si liberava di qualche azienda improduttiva e ne comprava nuove nascenti.


Seguiva l’andamento di tutti i mercati, aveva grande curiosità per la new economy e aveva investito già alla fine degli anni Novanta nei nuovi mercati di Cina e India.

Era stato da subito un patito dei social network e di ogni altra novità che producesse denaro, anche se virtuale. In quel campo aveva raddoppiato il numero dei collaboratori: sei. Due specialisti per ogni settore che, fino a quel momento, si erano comportati egregiamen-te. Avevano portato a casa così una cifra pari a mille-cinquecento milioni di dollari e il patrimonio investito continuava a dare profitti.

Tancredi si appoggiò allo schienale della poltrona e guardò fuori dalla finestra. Dall’alto della sua villa a Lisbona, nella parte più verde e più ricca della città, si vedeva l’oceano. Un veliero era piegato nel vento e attraversava quel tratto di mare a grande velocità. Più lontano, all’orizzonte, qualche petroliera sembrava semplicemente un punto fermo. Si chiese curioso se fosse una delle sue.

Fare soldi era la cosa che gli riusciva meglio, gli sembrava la più facile e la più ovvia. Ottenuti dai suoi collaboratori i dati che gli servivano, capiva immediatamente, seguendo il suo istinto infallibile, quale sarebbe stata la mossa vincente. E ogni volta era un successo. Aveva perso il conto delle sue proprietà, delle aziende, delle automo-bili, degli aerei, delle barche, degli immobili. Sapeva solo di avere anche un’isola e di non averne voluto comprare un’altra per paura di confonderle. Quella terra in mezzo al mare era il suo porto, il suo angolo di tranquillità. Solo lì si sentiva stranamente sereno. Era come se, una volta arrivato, tutta la sua inquietudine lo abbandonasse. Forse per questo era il posto che visitava meno spesso? Fermarsi lo faceva tornare indietro a quel giorno. Il giorno di Claudine. Quando era morto il nonno, avevano aperto il testamento. I tre nipoti avevano ricevuto cento milioni di euro a testa e la parte che sarebbe spettata a lei era stata divisa tra lui e suo fratello Gianfilippo. Lo aveva trovato ingiusto: quei cento milioni di euro appartenevano a Claudine, sarebbero dovuti essere qualcosa di importante, di significativo. Avrebbero dovuto rappresentare in qualche modo il ricordo della sorella. Una fondazione o qualcos’altro, qualcosa che comunque rimanesse, che parlasse ancora e sempre di lei.

Gianfilippo non era stato d’accordo. «È stata una decisione di nonno. Lui ha voluto che ci dividessimo la sua parte tra noi. Ognuno ricorderà Claudine come meglio crede. Così è stato deciso.»

Il testamento in effetti poneva la questione in questo modo. Gianfilippo fece versare i cinquanta milioni di euro sul suo conto e poi chissà cosa ne fece, magari li investì in qualcosa di particolare. A Gregorio Savini sarebbe bastata una telefonata per avere quell’informazione, ma Tancredi glielo vietò. Non volle sapere nulla.

Tancredi mise i cinquanta milioni di euro di Claudine in un fondo separato da tutti i suoi conti e un giorno avrebbe deciso quale sarebbe stato il loro impiego. Intanto aveva altro a cui pensare.

Guardò l’orologio, tra poco avrebbe saputo tutto di lei. Gli venne da ridere. Lei. Non sapeva neanche come si chiamasse. Era curioso ma nello stesso tempo stranamente preoccupato. Quella donna all’interno della chiesa, che suonava con le mani nel vuoto, che seguiva la musica a occhi chiusi, anticipandola, con passione.

Quella donna bellissima. Quella donna sulla scalinata, spiritosa, sfuggente, di carattere, con un bel sorriso.

Quella donna aveva riacceso la sua voglia di vivere, di amare. E se quella donna invece fosse stata completamente diversa? Quante volte un’immagine riesce a farci sognare, diventa la possibilità di realizzare tutti i nostri desideri. Ma poi la realtà è tutta un’altra cosa. La vita è una serie di sogni che vanno a male, è quella stella cadente che esaudisce il desiderio di qualcun altro.


Sorrise di questo suo pessimismo improvviso e fu sul punto di fermare quella ricerca su di lei. Ma non fece in tempo a guardare l’orologio. Troppo tardi. Bussarono alla porta.

«Avanti.»

Gregorio Savini entrò e si chiuse la porta alle spalle.

Rimase in piedi per un attimo. Tancredi raggiunse di nuovo la poltrona. «Siediti pure, Gregorio.»

«Grazie.»

Prese posto davanti a lui con una cartella in mano piena di fogli. «Vuoi che te la lasci qui?»

Tancredi si girò verso la finestra che dava sull’oceano. Il veliero era scomparso, le petroliere erano semplicemente più lontane. «No. Leggimi il rapporto.»

Chiuse gli occhi preparandosi a tutto quello che avrebbe potuto sentire. Non sapeva bene cosa aspet-tarsi e non sapeva neppure cosa avrebbe voluto sentire.

Gregorio aprì la cartellina e iniziò a guardare velocemente alcuni appunti battuti al computer.

«Allora, ha compiuto da poco trent’anni, è sposata, non ha figli. Abita in una casa che le è stata lasciata dai nonni, fa qualche lavoro saltuario, non se la passa male ma neanche troppo bene. Non può permettersi spese eccessive fuori programma…»

Gregorio lo guardò, era di spalle, impassibile, così continuò a leggere. «Ha fatto il liceo classico, ottimi voti, qualche relazione con i suoi compagni di classe, storie ordinarie di qualunque ragazza di quell’età. Abita con il marito nel quartiere San Giovanni…»

Tancredi ascoltava in silenzio a occhi chiusi la descrizione della vita di quella ragazza, gli sembrava tutto normale, fin troppo, come se non appartenesse a quell’immagine che aveva conosciuto, a quella sensazione forte che gli aveva dato. Da quei fogli usciva una donna ordinaria, priva di particolarità. Nessuna passione, una vita in qualche modo piatta, né bianco né nero, nessuna luce.


«Ah ecco.» Gregorio sembrava aver letto tra i suoi pensieri. D’altronde erano trent’anni ormai che si conoscevano. Era come se avesse avvertito in lui una certa insoddisfazione. «C’è una novità.» E non sapeva se quello che ora avrebbe letto gli sarebbe piaciuto. «Da qualche settimana tradisce il marito.»

Tancredi aprì gli occhi, rimase fermo, senza reazioni. Fissò l’azzurro del mare di fronte a lui. Ludovica Biamonti aveva svolto un lavoro magnifico. Quella finestra sull’oceano era uno spettacolo. Aveva fatto di-pingere i muri della stanza di un leggero indaco mentre le rifiniture intorno al cristallo formavano come una cornice bianca, così da far sembrare quella vetrata un quadro e nello stesso tempo far risaltare ancora di più la vista. Ora il mare era piatto. Non c’era più nulla, neanche quelle petroliere, solo il suo azzurro. Sembrava un quadro dipinto, tanta era la profondità di quel colore.

Si ricordò la determinazione dello sguardo di quella donna, era tutta d’un pezzo, senza mezze misure, pronta a litigare per la sua migliore amica anche se avesse avuto torto, a non dare spiegazioni in pubblico, ad avere solo un uomo e magari per tutta la vita. E si ritrovò così a darle un soprannome: l’ultima romantica. Allora sorrise e pensò alla sua vita, sempre in giro per il mondo, non fermarsi, vendere, comprare, investire, giocare il tutto per tutto. Era un azzardo continuo. Aveva sempre avuto ragione perché si era fatto guidare dall’istinto. Possibile che proprio questa volta il suo istinto sbagliasse?

Decise di rischiare.

Girò la poltrona verso Gregorio Savini e lo guardò negli occhi divertito.

«Hai sbagliato persona.»

Gregorio Savini smise di leggere, quelle parole erano state come una doccia fredda. Da oltre dieci anni portava a Tancredi registrazioni telefoniche, vere e proprie intercettazioni, documenti, fotografie, rapporti su immobili, su persone comuni, politici, direttori, proprietari di aziende, imprenditori, addirittura su alcuni boss della malavita e fino a quel giorno non aveva mai sbagliato. Sapeva però che c’era sempre una prima volta e poteva essere proprio quella. Così, gelido, chiuse l’incartamento.

«Può essere.»

Avrebbe voluto aggiungere: “Anzi, deve essere, perché questa persona non ha assolutamente nulla che ti possa interessare, per come ti conosco”, ma decise che questo commento faceva parte del suo report personale ed era del tutto inutile.

Così allungò l’incartamento verso Tancredi che lo aprì curioso come un ragazzino. Sfogliò i documenti.

Guardò alcune foto e alla fine sorrise. Aveva seguito il suo istinto e aveva indovinato. La ragazza nella foto era bruna, non era lei. L’ultima romantica, come l’aveva battezzata, gli aveva fatto vincere quella partita con Savini.

«Eccola…» Girò l’incartamento verso Gregorio e gliela indicò. «E quest’altra donna, in questa foto, quella dai capelli castano chiaro. Devono essere amiche.»

Gregorio Savini la guardò attentamente. Aveva sbagliato. Era anche vero che aveva avuto pochi indizi. Solo i numeri di una targa. Tancredi allargò le braccia. «Può succedere, Gregorio. Anzi, dopo trent’anni questa cosa finalmente ti rende umano.»

Savini rise della battuta. «Lo sono fin troppo.» Ne approfittò subito. «Anzi, la mia parte più umana vorrebbe andare un po’ in vacanza.»

«Ci andrai dopo che l’avremo trovata.»

Savini riprese l’incartamento. «Per sapere tutto di lei ci vorrà più tempo.»

«Ho io un’idea. So come trovarla, sarà facilissimo.»


La vide attraverso la vetrata. Non credeva ai suoi occhi.

«Ehi, che succede?» Sofia entrò nel piccolo locale al Pantheon. Il Caffè della Pace lo aveva scelto Lavinia, era un posto dove facevano ogni tipo di tè.

Lavinia la guardò sorpresa. «Perché? Che vuoi dire?»

Sofia si sedette di fronte a lei e poggiò la borsa sulla sedia tra loro. «Di solito non sei mai puntuale e questa volta arrivi addirittura prima di me!»

«Si cambia…» Sorrise come se oltre a quella puntua-lità volesse intendere qualcos’altro. Sofia però non ci fece caso e aprì il menu. «Cosa prendi?»

Lavinia guardò quello aperto sul tavolo vicino a lei.

«Oh, io prenderò un tè verde…»

Sofia si affacciò sorpresa dal suo menu. «E basta?»

«Sì.»

Scrollò la testa. «Non ci siamo… Non ci siamo proprio.»

Lavinia si mise a ridere. «Ma sono semplicemente a dieta, come la maggior parte della gente del nostro Paese, anzi del nostro pianeta, che ha compiuto trent’anni.»

Sofia gliela concesse. «Ok, hai ragione e visto che io li farò tra più di tre mesi mi prendo una bella crêpe ai frutti di bosco.»