«Così non si scalda troppo» gli spiegò Esteban. Tancredi annuì, anche lui conosceva quei trucchi.
Chiuse gli occhi per evitare gli schizzi dell’acqua buttata sul mulinello. Faceva caldo e questo lo rinfrescò.
Poi infilò una mano nel secchio, si bagnò le spalle, il petto e infine la pancia. Era abbronzato e dimagrito.
Era ormai da una settimana al largo del Messico con il suo panfilo Ferri. Quello era il gran giorno. Guardò l’orologio. Sarebbe dovuto arrivare nel primo pomeriggio. Gli aveva detto di aspettarlo per le e così sarebbe stato, ne era sicuro.
«Ora!» Esteban vide che il mulinello si era fermato, il pesce doveva essersi stancato ed era quindi il momento di recuperare. «Tiri, tiri…»
Tancredi provò ma, sentendo troppa resistenza, allentò di nuovo la presa e lasciò andare il mulinello. Il filo di nuovo libero correva via, così che il pesce si stan-casse ancora per qualche minuto. Esteban osservava il rocchetto che si srotolava e poi guardava lontano in ma-re. «Bravo così…» Poi guardò Tancredi.
«Deve essere una bella bestia…»
«Già!»
Esteban era soddisfatto. Poi alzò il sopracciglio. Era preoccupato, il combattimento durava da più di un’ora.
Osservò Tancredi. Aveva un bel fisico, era asciutto, muscoloso, allenato, ma sarebbe stato capace di sostenere una fatica fisica come quella? Esteban aveva visto sfian-carsi uomini ben più grossi di lui.
«Ce la faccio.»
«Eh?»
Tancredi si girò verso Esteban. «Ti ho detto che ce la faccio, non ti preoccupare, non lo perdo, stai tranquillo, dovessi anche metterci qualche ora. Lo mangeremo per cena.»
«Sì, sì, certo, ne sono sicuro» mentì Esteban.
Ma Tancredi gli sorrise per tutta risposta. «No, che non ne sei sicuro.» Conosceva bene la psicologia delle persone che lo circondavano. «Se lo perdo, vorrà dire che stasera ti servirò io a cena una di quelle belle aragoste che abbiamo a bordo, se invece lo porto in barca, me lo cucini tu come sai fare…»
Esteban sorrise ammettendo di essere stato scoperto. Poi si preoccupò della scommessa. Lo avrebbe imbarazzato essere seduto a tavola e servito da Tancredi Ferri Mariani in persona. Il boss, come lo chiamava lui, non era certo tipo da non pagare una scommessa, anche se così particolare come quella. Ma ciò che lo preoccupava era il rapporto con il comandante e tutto l’equipaggio. Cosa avrebbero detto di lui? Esteban fece un sospiro. Ormai era fatta. Controllò la canna troppo piegata.
«Non così, non così, señor. Non sta tirando troppo?»
«Lasciami fare. Ci sto giocando. Lo stanco ancora un po’… e poi gli do di nuovo corda. Ecco, così.»
Tancredi liberò il mulinello. Il rocchetto cominciò a correre veloce. «Vedi…»
Infilò la canna nel passante della cintura. Aveva le braccia libere, così le allungò, stirandosi un po’ i muscoli. «Portami una birra, Esteban, por favor… Mi sa che ne avremo ancora per molto.»
«Subito, señor.» E infatti così fu. Ci vollero tre ore e mezza di continui tira e molla, recuperare parte del filo \
e poi lasciar andare di nuovo il mulinello, ma alla fine Tancredi tirò sulla barca un marlin da settanta chili.
«Fiuuu, che bestia!»
«Complimenti, señor.»
Esteban era veramente sorpreso e anche stupito di come ce l’avesse fatta con la schiena piegata in quel mo-do a resistere sotto il sole.
Tancredi era sfinito. Il potente Marlin sbatteva la grossa pinna sulle tavole della barca ed Esteban, prima che potesse fare un salto in acqua e mettere a repentaglio l’esito della loro scommessa, lo trafisse veloce con un machete da parte a parte.
«Veramente un diablo, señorl Complimenti sul serio.»
Tancredi si aprì un’altra birra. «Non credevi che ce l’avrei fatta, eh, Esteban?»
Esteban stavolta fu sincero. «No, señor. Era un pesce molto grande per la maggior parte degli uomini, possibile solo per grandi pescatori.»
Tancredi lo guardò felice di quel complimento e si scolò d’un fiato la birra. Poi prese il secchio con la corda, lo buttò in acqua, lo riempì e se lo rovesciò in testa.
Era a pezzi. Guardò l’orologio. Mezzogiorno, mancavano ancora tre ore. «Forza, torniamo sulla nave.»
I marinai issarono il Marlin con un piccolo argano sopra coperta.
«Bravo, Esteban!» Lo applaudirono facendogli i complimenti e battendogli le mani. «Che pesce!»
Ma Esteban fu ancora più fiero nel rispondere. «Ma che bravo Esteban… Bravo el señor\ Io mica lo tornavo un pesce come quello…»
E tutti risero di quella espressione e furono ancora più sorpresi ed entusiasti di quella pesca.
Poco più tardi Esteban servì il marlin a Tancredi, sul tavolo principale a poppa, sotto l’ombra del ponte.
«Ecco, señor. L’ho fatto alla brace come piace a lei, con un po’ di limone e vino bianco spruzzato mentre arrostiva.»
«Bravo, Esteban. Siediti con me. Mangiane un pezzo anche tu.»
«Non posso, señor. L’equipaggio…»
«E dai, fammi compagnia.»
«Un’altra volta, señor.»
Tancredi decise di non insistere. Si chiese cosa sarebbe successo se avesse perso la scommessa. I debiti di gioco si pagano, in quel caso non esistono padroni o servitori. Mangiò di gusto quel Marlin. Gli sembrava che avesse un sapore particolare, forse perché dentro c’era tutta la fatica di quelle tre ore e mezza che erano servite per tirarlo su. Tancredi inarcò la schiena, gli faceva davvero male. Aveva i muscoli gonfi e doloranti, era tanto tempo che non faceva uno sforzo di quella portata. Prese un bicchiere di Ruinart Blanc de Blancs del. Quello champagne era gelato e buonissimo, perfetto con il pesce. Assaggiò un po’ dell’insalata che gli avevano messo in un piatto lì vicino, pomodori e lattuga. Si chiese come facessero ad averla così fresca.
Erano lontani dalla costa. Per un attimo si domandò se non ci fosse anche un orto a bordo. Poi sorrise di quella stupidaggine. Però non sarebbe stato male. Ne avrebbe parlato con Ludovica, la sua personal stylist. Se fosse stato possibile, lei avrebbe trovato il modo.
Sentiva i muscoli troppo contratti. Ma a quello Ludovica aveva già pensato. Tancredi scese al secondo piano. Le ragazze della sua spa personale gli sorrisero e lo accompagnarono in una cabina. Gli chiesero di cosa avesse bisogno in particolare.
«Un massaggio completo, soprattutto alla schiena, ho i muscoli del trapezio molto duri.»
Poco dopo arrivò una massaggiatrice che lo fece stendere su un lettino. Tancredi la guardò solo per un attimo. Era molto bella, aveva i capelli castani e la I
carnagione scura. La donna gli sorrise con gentilezza ma Tancredi chiuse gli occhi. “Che mi succede? Sono diventato perfino indifferente alla bellezza… se non è quella di Sofia?” Sorrise tra sé. “Forse è colpa del pesce” si disse, “mi ha veramente stancato.” E mentre sentiva le mani della ragazza che iniziavano a sciogliere il suo trapezio, si addormentò. Quando si svegliò guardò subito l’orologio. Dieci minuti alle quindici. Stava per arrivare. Si alzò dal lettino e si accorse che la ragazza aveva fatto un ottimo lavoro. Si fece una doccia calda, togliendosi con il sapone tutto quell’olio. Poi indossò un accappatoio poggiato all’interno della cabina. Aveva le sue iniziali ricamate in acciaio e blu, esattamente come il colore della barca. La personal stylist aveva veramente gusto.
Salì sul ponte e chiese un caffè. Rimase a sorseggiarlo scrutando il cielo verso la costa. Guardò l’orologio. Le.. Niente, ancora niente. Che strano, era in ritardo.
Poggiò la tazzina su un tavolino e trascorse i successivi minuti seduto su una grande poltrona bianca di pelle.
Sfogliò alcuni quotidiani, erano di quel giorno ma non c’era niente che lui non sapesse già o che lo potesse sorprendere. Guardò di nuovo l’orologio. Le.. Il tempo sembrava non passare mai.
Decise di tenersi impegnato. Scese al ponte inferiore e cercò l’attrezzatura. C’era un po’ di vento e sembrava che stesse aumentando. Tancredi sorrise. “Be’, vorrà dire che dopo dovrò fare un altro massaggio. Magari questa volta non mi addormenterò…” Un attimo do-po era in mare. Tirò a sé le manopole, il kite si gonfiò subito, i cavi si tesero e in pochi secondi l’aquilone salì verso il cielo e lo strappò quasi dall’acqua. Tancredi vo-lò via, tenendo ben saldi i piedi dentro le staffe. Atterrò qualche metro più in là e subito, come toccò l’acqua, la tavola che teneva ben ferma sotto di lui cominciò a planare e in pochi secondi era già lontano dal panfilo.
Continuò a navigare in mare aperto. Il panfilo diventava sempre più piccolo, l’acqua più scura e profonda.
Pensò al Marlin che aveva preso, a tutti i pesci che nuotavano sotto di lui, a qualche possibile vendetta. Ma fu solo un attimo. Quella tavoletta volava che era una meraviglia. Forse sarebbe riuscita a seminare perfino uno squalo… Ma era meglio non dover tentare l’impre-sa. Eppure non aveva paura. Aveva sempre preso la vita come una continua sfida. Solo così in qualche modo aveva potuto affrontare e superare la storia di Claudine.
Ma l’aveva veramente superata? Tancredi continuò a correre su quelle onde, portato dal vento, perdendosi tra impossibili domande. Poi cambiò rotta, andò verso ovest e, quando ormai il sole stava per tramontare, prese la via del ritorno.
Il panfilo si avvicinava sempre di più. Mentre stava arrivando spedito con il kitesurf, da dietro la nave comparve l’elicottero. Finalmente. Guardò l’orologio.
Le.. Tancredi lasciò che il kite piano piano per-desse vento, si afflosciò cadendo in acqua poco più in là, mentre lui con la tavola arrivava sotto la scaletta. Diede tutto l’equipaggiamento a un marinaio che gli era venuto incontro, fece al volo una doccia calda esterna, si asciugò, si mise una felpa e corse sul ponte superiore dove l’elicottero stava atterrando. Le pale rallentarono, la porta della cabina si aprì e Gregorio Savini saltò giù. Tenne bassa la testa e stretto al corpo tutto quello che sarebbe potuto volare via. Poi corse verso Tancredi che lo aspettava a qualche metro di distanza.
«Ma cosa è successo? Come mai tutto questo ritardo?»
Savini si scusò. «Non è stato facile.»
Tancredi guardò l’incartamento che Gregorio Savini teneva sotto il braccio.
«È lì?»
«E anche qui» disse lui alzando una valigetta che aveva nell’altra mano.
«Questa ragazza ha avuto una vita particolare.»
«Sì» disse Tancredi. «Immagino di sì.»
Finalmente avrebbe potuto conoscere la vera storia di Sofia.
Tancredi andò nella sua cabina. Era stata ricavata interamente nella prua: un grande salotto, uno studio, un bagno e una camera da letto con due grandi finestre laterali. Erano di plexiglass, spesse oltre quarantacin-que centimetri, pescavano per circa quattro metri sotto la superficie dell’acqua. Avevano un sistema oscurante ma si potevano anche lasciare a vista, così da vedere il mare scorrere sotto la camera da letto. A volte, quando l’acqua era particolarmente trasparente, si riuscivano perfino a vedere i fondali.
Tancredi entrò nello studio. La luce del tramonto illuminava tutta la stanza rendendo quell’ambiente particolarmente caldo. Si sedette al tavolo, prese il fascicolo e lo aprì, poi tirò fuori dalla valigetta tutto il materiale, foto, fogli, e altri documenti. Questa volta Gregorio Savini aveva fatto un lavoro impeccabile, era andato indietro nel tempo, dai primi anni della vita di Sofia fino agli ultimi giorni, quando Tancredi l’aveva vista per la prima volta. Non aveva mai ricevuto una documentazione così dettagliata, neanche quando si era trattato di affrontare grandi affari dove erano in gioco cifre astronomiche. Tancredi non credeva ai suoi occhi.
Non era stato tralasciato niente, ventinove anni di vita passati al setaccio, un fascicolo di oltre cento pagine pieno di appunti.
Gregorio Savini aveva capito che questa volta la posta era diversa. Non sarebbe stata la solita partita e \
soprattutto l’esito non era per niente sicuro. Tancredi decise di non pensarci. Affondò con tutte le mani dentro la vita di quella donna. Sfogliò una dopo l’altra una serie di cartelle. Era emozionato, curioso, preoccupato.
Trovò subito l’atto di nascita, luglio. Sorrise pensando che mancava almeno un mese per poter decidere il regalo. Poi rimase senza parole. Vide le sue prime foto, ancora prima che nascesse, l’ecografia di un essere appena accennato, qualche tratto del viso, il nasino, una mano. Quella era la prima immagine di Sofia. Poi la vide in fasce, in una culla, in una carrozzina, che si teneva aggrappata all’inferriata di un terrazzo. Dietro si vedeva il mare. Chissà dov’erano? Controllò il numero della foto: nove. Cercò sugli appunti il riferimento.
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