Possiamo partire? Siamo giusto in tempo con lo slot…»
«Sì grazie, comandante.»
Si sedettero, si allacciarono la cintura. L’aereo cominciò subito a rullare, si portò verso il centro della pista, aumentò il giro dei motori, sempre più veloce, poi si staccò da terra. Poco dopo passarono alti proprio sull’Arena. Sofìa si affacciò dal finestrino.
«Poco fa eravamo proprio lì… È stato un bellissimo concerto. Grazie.»
«Ma figurati. È piaciuto molto anche a me. Mi stai facendo scoprire tante cose.»
«Tipo?»
«La musica classica, Ekaterina Zacharova, Norah Jones. Un nuovo mondo. Credo che ogni volta che una persona ne incontra un’altra si creino nuove direzioni…
Chissà cosa accadrà adesso.»
Sofia sorrise. «Chissà… Per adesso una cosa molto più semplice. Dovrei andare in bagno…»
«È lì in fondo.»
Si alzò dalla poltrona e si diresse verso la cabina che le aveva indicato, la aprì, attraversò una camera da letto matrimoniale molto elegante, in legno chiaro e alcanta-ra e andò in bagno. Si pettinò i capelli. Controllò il telefonino. Nessun messaggio. Andrea non l’aveva cercata.
Sapeva che stava con Lavinia e non la voleva disturbare.
Quando uscì dalla cabina vide che Tancredi era seduto a un tavolo. Era stato apparecchiato e c’era una candela al centro. Tancredi la stava accendendo.
«Mangiamo qualcosa, ti va? Avrei voluto portarti a cena in un bellissimo ristorante sulle colline veronesi che mi hanno consigliato, ma non saremmo arrivati in tempo a Roma… Magari un’altra volta.» Sofia lo guardò e fece di segno di no con la testa, poi si sedette di fronte a lui. «No, non vuoi mangiare o…»
«No, magari un’altra volta.»
«Ok, come desideri. Tieni, ho preparato il menu Sofia.» Glielo passò. Era stampato sul serio con il suo nome sopra. Lei sorrise e lo aprì. C’erano tutte cose che le piacevano, piatti tipici delle regioni più diverse.
Pasta alla Norma siciliana, trofie al pesto genovese, penne all’arrabbiata, cotoletta alla milanese e spigola alla,palermitana. E a seguire contorni, frutta e dolci.
«Non ho potuto metterne di più perché qui la cucina è piccola. Non ti dico che la prossima volta mi organizzerò meglio, perché già so che scuoteresti la testa…»
«Esatto.»
Arrivò la hostess e Sofia ordinò tutto siciliano.
«Hai voglia di scegliere un vino? Ne abbiamo diversi nella cantinetta o vuoi dello champagne?»
Sofia guardò la carta. «Sceglilo tu.»
«Ok. Mi porta un Cometa di Pianeta?»
La hostess scomparve.
«Hai scelto tutto cibo siciliano, a me piace di solito accompagnare ciò che mangio con il vino della stessa regione…»
Poco dopo cenarono volando, a lume di candela con un ottimo vino bianco freddo, ridendo, raccontandosi ognuno un po’ del proprio passato. Tancredi naturalmente conosceva ogni particolare ma fu abilissimo nel farle credere di sentire tutto per la prima volta.
«E così hai cominciato a suonare… Il tuo primo concerto a soli otto anni… Incredibile.»
E ascoltava attento ogni dettaglio ripercorrendo nella sua mente le foto di quel periodo, le frasi sul diario, un articolo, un filmato, qualcosa che in qualche modo arricchiva ancora di più quel semplice racconto.
Poco dopo atterrarono. «Ecco… Siamo arrivati.»
«Grazie…»
Salutò la hostess, il secondo pilota e poi il comandante.
«È stata veramente una serata magnifica…»
Tancredi la accompagnò alla sua auto al parcheggio.
«Eccoci qua.»
«Eccoci tornati alla realtà.»
«Sei stata bene?»
«Abbastanza.»
Tancredi rimase sorpreso di questa risposta. Non era abituato ad “abbastanza”. Sofia lo guardò negli occhi.
«Non so come hai fatto a sapere tutte quelle cose su di me. All’inizio mi ha dato fastidio, ora non me ne importa più niente. Però c’è stato un errore.»
«Quale?»
«Norah Jones. Mi hai detto che lo hai saputo da Lavinia, lei però non ha mai saputo che mi piacesse Norah Jones.» Poi sorrise. «Ti avevo detto di dirmi la verità.
Ora ti dico una cosa più importante. Io odio i bugiar-di.» Tancredi non trovò nulla che potesse dirle. Aveva sbagliato.
Sofia entrò nella sua auto. «Per un attimo ho pensato ehe tu fossi l’uomo perfetto…» Poi gli sorrise. «Ora sono molto più serena.»
Chiuse lo sportello e partì.
Tancredi rimase a guardarla. Poi prese il telefonino dalla tasca.
Sofia guidava veloce verso casa. Trovò subito posteg-gio, scese dalla macchina e guardò l’ora. Mezzanotte.
Tutto era credibile. Entrò nell’ascensore e spinse al suo piano. Si ricordò per un attimo la bellezza dell’ascensore dell’albergo di Verona, quella suite, il terrazzo, il concerto, l’aereo, la cena al ritorno… Era tutto fuori dalla sua portata, anche dalla sua immaginazione. Poi tirò fuori il telefonino dalla borsa. Due messaggi. Il primo era di Lavinia.
“Mi perdoni? È stato bello? Il mio concerto è stato fantastico! Ci sentiamo domani? Tvb.”
Lo cancellò. Era proprio una ragazzina. Poi il secondo messaggio. “Scusami, non volevo dirti una bugia. Il concerto degli U è stato perfetto, l’ultimo bis è stato Where the Streets Have No Name. Non ti disturberò più. Questo è il mio numero. Cercami tu se vuoi. Buonanotte. Tancredi. “
Rimase con il telefonino in mano davanti alla porta di casa indecisa se cancellarlo o no. Il pollice era fermo sul tasto. Guardava quel messaggio, poi prese la sua decisione ed entrò in casa.
La voce di Andrea arrivò dalla camera da letto.
«Amore, ti sei divertita?»
«Sì molto….» rispose dal salotto.
«Vieni qui?»
Sofia fece un lungo respiro, si sentiva in colpa. Poi pensò: “In realtà non ho fatto proprio niente, è stata tutta colpa sua e di Lavinia”. Così andò in camera.
Andrea leggeva un libro, Pastorale americana di Philip Roth. Lo poggiò sulle gambe e le sorrise.
«Sono sempre bravi, eh! Li ho visti una volta allo Stadio Flaminio nel, ancora non ci conosceva-mo…»
«Sì, bravissimi.» Gli diede un bacio sulle labbra.
«Vuoi bere qualcosa?»
«Sì, un po’ d’acqua. Ah, toglimi una curiosità.»
Sofia era di spalle, chiuse gli occhi. Non sarebbe stato facile. Allora si girò e gli sorrise.
«Certo, dimmi.»
«Hanno fatto un bis alla fine del concerto?»
«Sì…Where the Streets Have No Name.»
E solo in quel momento si sentì veramente colpevole.
I giorni seguenti furono particolari per Sofia. Era co-me se avesse sognato tutto, come se si fosse svegliata stranamente di malumore, c’era qualcosa che le piaceva molto e qualcosa che invece stonava. Era come quando ti svegliano di soprassalto, ti ricordi cosa stavi sognando ma ormai è troppo tardi. Nei sogni va tutto come vuoi tu, senza difficoltà, senza che nessuno si dispiaccia o abbia da ridire qualcosa. I sogni sono semplici.
Era tutto come prima: faceva colazione, usciva presto, faceva la spesa, tornava per pranzo e poi il pomeriggio lezione come al solito al conservatorio o alla scuola di musica. E non c’era una volta nell’arco della giornata che si ritrovasse a pensare a lui, a tutto quello che era accaduto, a quella fuga improvvisa dalla sua realtà. Se lo era imposto. E ci era riuscita.
«Come vi siete trovati con Ekaterina Zacharova?»
«Chi?»
«L’insegnante dell’altro giorno…»
«Oh bene, benissimo… Voleva vedere a che punto stavamo con te e poi ci ha fatto suonare qualcosa, minima fatica, massimo divertimento!» Così aveva commentato Jacopo, il più severo e anche il più simpatico dei suoi alunni maschi, quello che voleva trasportare tutta la musica classica nel mondo del computer e del virtuale.
«Sai cosa ho pensato che sarebbe un affare?»
«Che cosa?»
«Arrangiare delle musiche classiche per farne delle suonerie, è un mercato in continua espansione. Ci si guadagna moltissimo…»
«Sì, sì, va bene. Vediamo intanto come te la cavi con il reale!» E così dicendo gli piazzò sotto gli occhi lo spartito delle Invenzioni a tre voci di Bach. Jacopo sbuffò e cominciò a suonare lento, sicuro di sé, con una innata naturalezza. La N. in Do Minore. Sofia fu soddisfatta anche degli altri, compresa Alice, la più vitale delle sue alunne, che le parlava sempre delle sue cotte.
«Ce n’è uno che mi piace, solo che è più grande di me.»
«Quanti anni ha?»
«Sedici.»
«Ma Alice, è grandissimo, ha dieci anni più di te.»
«Sì, lo so. Però mi ha detto CBCR.»
«E che vuol dire?»
«Cresci bene che ripasso!»
«Ma scusa, te l’ha detto così, senza conoscerti?»
«Sta con una che abita nel mio palazzo e ha la sua età. Ci siamo incontrati un sacco di volte, ma quando lui viene a prenderla aspetta e aspetta, e aspetta… E così alla fine abbiamo parlato! Io il mio ragazzo non lo farò aspettare!»
«Voglio proprio vedere se quando avrai un ragazzo non lo farai aspettare… E poi anche se uno aspetta mica ci deve provare con un’altra? Se no vuol dire che comunque non è serio.»
«Quando parli così mi fa strano. Neanche la mia mamma mi parla così.»
Sofia capì che si stava per aprire il capitolo casa e famiglia, che poteva essere problematico. Decise di andare sul sicuro, anche a lei mise davanti uno spartito. Alice sistemò bene lo sgabello e attaccò la K di Mozart.
La suonò con incredibile facilità, come se l’avesse composta lei. Sofia rimase sorpresa. «Ehi, dovrei assentarmi più spesso!»
«Non dirlo neanche per scherzo… Mi sei mancata un sacco.»
«Ma se è stata solo una lezione!»
«Ma la mia maestra sei tu!»
«Ok, cercherò di non fare più assenze, ma anche tu devi continuare a suonare così.»
Si sorrisero, tra loro c’era una bellissima sintonia.
E così, quando alla fine di quella giornata Sofia uscì dal conservatorio, era felice e serena, non aveva nessun pensiero e nessuna aspettativa. Anche quando quell’au-to scura si fermò lì davanti, la guardò in maniera tranquilla. Lo sportello si aprì e scese una donna. Salutò il guidatore e si diresse verso il palazzo. Arrivata davanti al portone aprì la borsa, prese le chiavi ed entrò. Allora l’auto ripartì. Non era lui. Sofia si incamminò verso la sua macchina. E se fosse stato lui? Cosa avrebbe detto?
Come avrebbe reagito? Fece un sospiro. Non avrebbe voluto trovarsi in quella situazione. Erano stati chiari.
Non si sarebbero rivisti e lui non l’avrebbe più cercata.
E di questo Sofia era sicura. Se era un uomo intelligente, e lo doveva essere, aveva capito perfettamente come era fatta. Un altro incontro sarebbe stato sbagliato.
Salì in auto e posò la borsa sul sedile accanto. Quante cose sapeva di lei? Accese il motore. Aveva il suo numero di telefono, aveva scoperto dove insegnava, conosceva i suoi gusti, aveva conosciuto Lavinia, aveva trovato Ekaterina Zacharova, era riuscito a farla venire a Roma, sapeva degli U e di Norah Jones. Guidò silenziosa verso casa. Cos’altro sapeva quell’uomo della sua vita? Sofia posteggiò, spense il motore e rimase seduta in macchina, in silenzio. Ripensò a tutta quella storia.
Avrebbe voluto essere lei a spiarlo di nascosto. Avrebbe voluto seguirlo, entrare nella sua vita, nella sua casa, nel suo ufficio, aprire i suoi cassetti, scoprire cosa sapeva di lei, fino a che punto. Ma era impossibile. Solo in quel momento se ne rese conto: lui sapeva tutto di lei e lei fi
non sapeva assolutamente nulla di lui. La rabbia ebbe il sopravvento. Rimase in macchina per calmarsi. Più tardi salì a casa.
Non appena Andrea sentì il rumore della porta, subito la chiamò. «Amore?»
«Sì?»
«Vieni di qua… Ti voglio far vedere una cosa.»
«Arrivo.»
Quando lei entrò nella stanza Andrea sorrideva, aveva il computer poggiato sul tavolino del letto. «Guarda…»
Sofia prima lo baciò, poi guardò nello schermo. Una casa in d. Andrea fece partire il filmato. La soggettiva avanzò velocemente verso la porta che si aprì. «È la casa dei nostri sogni» le sorrise Andrea. Il filmato continuava, mostrava le diverse camere all’interno di quella casa.
«Questa è la cucina, grande, spaziosa, il salotto, la stanza da letto per noi, quelle per i nostri bambini… E questo è il tuo bagno, la doccia, la grande vasca con l’idromassaggio… Ti piace? È tutta per noi…»
Andrea aveva progettato una simulazione in d. Era una villetta su misura con grandi spazi e arredata ma-gnificamente, quadri, divani, tappeti, colori degli asciugamani, degli accappatoi, delle mura della cucina, della camera da letto. Sofia era entusiasta.
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