Sullo schermo comparve il primissimo piano di due ma-ni sui tasti di un pianoforte, poi su quelle prime note l’inquadratura televisiva si allargò.

«La donna che vorremmo aprisse il nostro festival…

è lei» disse l’avvocato Guarneri mentre al centro del televisore si vedeva il volto di Sofia.

Suonava sorridendo YOp di Beethoven, il finale delicatissimo con tutti quegli staccati, quei trilli che ormai ossessionavano il vecchio musicista e che avrebbero portato alle soluzioni estreme delle ultime due sonate.

Era una interpretazione eccellente, come se nella chiusa la pianista avesse già compreso i lavori che Beethoven avrebbe di lì a poco concepito.

Sofia guardava a bocca aperta quel filmato. Si ricordò perfettamente di quella serata, era a Parigi alla Salle Pleyel per l’apertura della stagione concertistica. Aveva vent’anni e il vestito che indossava le era stato regalato da Armani per quella grande serata. Dieci anni prima.

Dieci. Era fidanzata da poco con Andrea. Dieci anni prima, prima che accadesse, prima che avesse l’incidente, prima che finisse tutto… Non si era mai più guardata da allora. Non aveva mai più visto una sua foto al pianoforte o un filmato in cui suonasse. Fu travolta dall’emozione e a fatica trattenne il pianto. Sentiva gli occhi di tutti puntati su di lei. Fece un lungo sospiro, in qualche modo doveva pur uscirne. Allora ricacciò giù quelle lacrime, ruppe quel groppo che aveva in gola e alla fine riuscì a parlare.

«Mi avete fatto venire fin qui per vedere questo filmato? Potevate risparmiarvi tutta questa fatica. Ce l’ho anch’io.»

L’avvocato Guarneri le sorrise. «Non l’abbiamo chiamata solo per questo. Il dottor Voronov mi ha chiesto di cercarla e io l’ho fatto. Ha una proposta importante da tutti i punti di vista, soprattutto per i rapporti tra Italia e Russia.»

«Come mi avete trovato?»

L’avvocato Guarneri era preparato a questa domanda. «Tutti sanno che al conservatorio è stata allieva della signora Olga Vassilieva.» Guarneri si girò verso Olja e le sorrise. «E bastato chiedere a lei.»

Olja ricambiò il sorriso, poi guardò Sofia cercando la sua complicità ma la trovò fredda e silenziosa. Allora abbassò la testa dispiaciuta. Voleva tornare in Russia e tornarci con Sofia e sentirla di nuovo suonare sarebbe stato il migliore dei modi. Forse tutto questo poteva ancora accadere, in fondo non le era stata fatta ancora nessuna proposta. Il dottor Voronov prese finalmente la parola.

«Si tratta di un evento molto importante, destina-to a rinforzare i rapporti tra due grandi Paesi. Sarà un grande scambio di cultura e di musica tra molta gente.»

Rimase in silenzio a guardarla con un sorriso, sperando che quelle parole avessero fatto in qualche modo brec-cia in lei.

Sofia era immobile, muta. Ora aveva perso la sua durezza, era più serena. Aveva deciso di ascoltare fino in fondo ma non si sarebbe mai aspettata una proposta del genere. Il dottor Voronov si sedette più diritto sulla sua poltrona.

«Per lei ci sono duecentocinquantamila euro per aprire il festival e chiuderlo tre giorni dopo. Starà in uno dei migliori alberghi di San Pietroburgo, il Grand Hotel Europa, avrà una macchina con autista a disposizione e un voucher full credit per qualunque cosa lei abbia intenzione di fare…»

Poi si girò verso Olja. «Naturalmente sarà accompagnata dalla sua insegnante e da qualunque altra persona lei intenda portare con sé. Il governo e noi tutti le saremmo grati se accettasse questo nostro invito.»

Sofia rimase impassibile, poi sorrise al dottor Voronov. «Mi dispiace ma non posso accettare.»

Olja si sentì morire. Il dottor Voronov si lasciò cadere sullo schienale della poltrona.

L’avvocato Guarneri cercò subito di trovare una soluzione. «Non deve darci subito una risposta. È tra venti giorni, c’è tutto il tempo. Vada a casa, ci rifletta, si consigli con suo marito… Magari lui la lascerà andare senza problemi.»

E improvvisamente a quella frase lei non ebbe più dubbi. Si alzò di colpo.

«Mi dispiace. Ora devo andare.»

Guarneri e il dottor Voronov si alzarono insieme.

Olja stancamente fece lo stesso. Il dottor Voronov le salutò. «Peccato. Mi dispiace.»

L’avvocato le accompagnò alla porta, poi si avvicinò a Sofia e le disse a bassa voce per non farsi sentire: «Ci pensi su, la notte porta consiglio, le lascio il mio biglietto da visita».

Sofia lo prese e lo lasciò cadere nella borsa.

Guarneri poi le sorrise. «Se poi fosse solo un problema di prezzo, sono sicuro che troveremo la soluzione.

Sono qui apposta.»

Sofia allora cambiò completamente atteggiamento.

Diventò dura e tagliente come non era mai stata. Si avvicinò a Guarneri e glielo disse piano, quasi sussurran-dolo: «Dica al suo padrone che aveva giurato di lasciarmi stare. Non suonerò mai per lui».

Poi tornò di nuovo normale e sorridente.


«Vieni Olja, o rimani?»

«No, vengo con te.»

La donna sorrise ai presenti e uscì con Sofia.

Poco dopo erano in macchina. Era calato un silenzio pesante. Olja stringeva forte i manici della sua borsa, li stropicciava, li torturava cercando di spegnere così il suo nervosismo. Sofia guidava veloce, cambiava in continuazione le marce tentando anche lei di sfogarsi in questo modo. Era tutto troppo strano. Un viaggio lontano dall’Italia, l’avvocato sapeva che lei aveva un marito che non si poteva muovere, una macchina con l’autista per girare a San Pietroburgo e infine tutti quei soldi. Era lui. Ne era sicura.

«Mi dispiace, Sofia…»

Solo allora si ricordò di Olja e piano piano rallentò.

Dopo un po’ le sorrise tranquilla.

«Non è colpa tua, tu non c’entri niente.»

«È che io volevo tornare in Russia e saremmo andate insieme, ti sarebbe stata riconosciuta l’importanza che hai sempre meritato e non hai mai avuto. Saremmo ripartite da lì, avresti ricominciato a suonare e avresti conquistato il mondo, ne sono sicura.»

Sofia la guardava con tenerezza. Olja sembrava un’altra. Era piena di passione.

«Ti avrei seguito in questi venti giorni prima di partire, sono sicura che saresti riuscita a suonare perfino il Rach»

Sofia rise. «Tu hai troppa fiducia in me, sarebbe difficile ricominciare proprio da Rachmaninov!»

Olja insistette. «Non è questione di allenamento. E

un problema qui…» Si toccò la testa, «e qui» mettendo-si una mano sul cuore. «Ce l’avresti fatta.»

Sofia la guardò con amore.

Olja si girò di nuovo verso di lei. «E poi erano un sacco di soldi, è come fare cinquemila lezioni in tre giorni!»


Sofia questa volta rise. «Olja, era un uomo che mi voleva, non la Russia.»

Olja si girò turbata verso di lei. «Ma cosa dici?»

Sofia annuì. «E così, credimi.»

Olja scosse la testa. «Un uomo ti paga così tanto per avere la tua musica?»

«No, vuole la mia anima.»

«Allora non c’è prezzo. Dovrebbe saperlo.»

Sofia sorrise, poi allungò la mano e prese la sua, la strinse forte. «Un giorno torneremo in Russia… solo co-me turiste però.»

Olja la guardò annuendo. «Come vuoi tu.»

«Vedrai che ci divertiremo molto di più.»

«Quando tu suoni io mi diverto sempre. In quel momento per me è come fare il giro del mondo.»

Olja tornò con le mani sulla sua borsa e guardò fuori dal finestrino. Non si dissero più nulla fino alla chiesa.

Gregorio Savini entrò nella stanza dell’avvocato Guarneri. L’avvocato era alla sua poltrona dietro la scrivania, deluso dell’insuccesso.

«Non è andata, vero?»

«No.»

Il dottor Voronov allargò le braccia. «Sarebbe stato un bellissimo concerto. Non credevo suonasse così bene. E poi era una cifra folle quella che le avete offerto.»

Savini si mise le mani in tasca. «Doveva essere almeno il doppio.» Poi entrò Tancredi.

«Con lei non è una questione di soldi. È una questione di principio.»

Guarneri lo guardò dritto negli occhi. «Credo allora che la cosa sia più complicata del previsto. Aveva capito che c’era lei dietro tutto questo.»

Tancredi rimase sorpreso. «Cosa glielo fa pensare?»


«Mi ha detto: “Dica al suo padrone che aveva giurato di lasciarmi stare”.» Poi sorrise a Tancredi. «Siamo riusciti a concludere dei grandissimi affari con gente molto più complicata e sospettosa.»

Tancredi, divertito, si lasciò cadere sul divano. «Benissimo. La partita si fa più interessante. Dobbiamo solo trovare qualcosa alla quale non possa dire di no.»

Gregorio Savini lo guardò preoccupato.

«Ma c’è qualcosa?»

Tancredi si versò da bere dell’acqua.

«Se c’è lo troverete. Se non c’è, farete in modo che esista. Siete pagati per questo.»


«È più di due anni che non li vedo. Mi mancano.»

Sofia finì di fare la borsa.

Andrea la guardava sereno, con amore. «Certo. Sono felice che tu vada. Mi fa piacere che tu sia riuscita a trovare una sostituta.»

«Già.»

Ekaterina Zacharova aveva dato la sua disponibilità per tre giorni. Sofia ne fu sollevata. Sarebbe stata fuori anche il weekend e sarebbe tornata solo la domenica sera.

«Ciao, amore. Ti chiamo più tardi.»

Gli diede un bacio leggero sulle labbra.

Lui la fermò prima che si staccasse del tutto. «Un altro. Non mi bastano mai.»

Si baciarono di nuovo. Andrea trattenne le sue labbra, era come se non la volesse lasciare andare via, co-me se la tenesse a sé semplicemente respirandola. Poi si separarono.

«Ti chiamo quando arrivo.»

Il taxi era già sotto casa, non trovò traffico sulla strada per l’aeroporto e anche il volo era in orario. Non aveva detto niente ai suoi genitori, li aveva chiamati qualche giorno prima e fatto le solite domande.

«Come va? Tutto bene? Papà si sta riposando? Che fate mercoledì?»

«Siamo a casa.»

Già, cosa avrebbero dovuto fare? I suoi non uscivano quasi mai e, da quando erano tornati a vivere a Ispica, quelle che erano state le loro brevi ma frequenti visite a Roma erano andate sempre più diradandosi, fi-no a cessare del tutto.

Il volo era arrivato in perfetto orario. C’erano pochi taxi all’uscita dell’aeroporto di Catania. Sofia attese con pazienza. Finalmente ne arrivò uno. Mentre andava verso casa, rivide dal finestrino il panorama che le aveva fatto compagnia nelle sue vacanze da piccola. Quelle montagne, quel verde, quei cactus. Era una terra dai colori forti, la roccia delle montagne a contrasto con quel mare così vicino. Pagò il taxi e andò verso il portone, lo aprì con le sue chiavi ma, quando arrivò di fronte alla porta di casa, preferì suonare al campanello.

«Chi è?» si sentì da dietro la porta.

«Vince’, ma che, aspettavi qualcuno tu?»

«No… Perché?»

Sofia sorrise ascoltando le voci dei suoi genitori in quello strano e curioso dialogo. Poi sentì dietro la porta qualcuno che si muoveva, spostava piano il coprispion-cino per guardare chi fosse.

Sofia sorrise e salutò con la mano. «Sono io… Sofia.»

Le serrature della porta fecero un gran rumore aprendosi.

Era Grazia, sua madre. «Che bella sorpresa! Sofia, ma non mi avevi detto nulla! Che bello che sei qui!»

Si abbracciarono e subito dopo dal salotto comparve Vincenzo, suo padre.

«Questa è proprio bella!» Anche loro si abbracciarono, poi la fecero entrare e chiusero la porta.

«Ma non ci posso credere, più tardi ti avremmo chiamata, pensa se non ti avessimo trovata e Andrea ci avesse detto che eri qui! Addio sorpresa!»

«Ma Andrea non ve lo avrebbe detto…»

«Ah, sì? Eravate d’accordo?»

Sofia li guardò con tenerezza, erano invecchiati, ormai erano anziani e l’unica cosa che avrebbe potuto dar loro di nuovo un po’ di vita sarebbe stato un nipote.

«Dov’è Maurizio?»

«Ah, tuo fratello è sempre in giro, lui e i suoi computer… Ha avuto un bell’ordine dal comune di Noto e quelli devono essere tutti incapaci perché lo chiamano un giorno sì e l’altro pure, c’è sempre qualche problema!» Le sorrise.

Il padre le prese la borsa dalle mani. «Vieni, ti accompagno nella tua stanza.»

«Grazie, papà, ma ce la faccio.»

«Non sia mai che una donna porti la valigia.» Portò quel trolley non troppo pesante fino alla stanza di Sofia e lo posò sulla sedia. «Per qualunque cosa chiama.»

«Aspetta, aspetta…» Arrivò la madre prima che chiu-desse la porta. «Ti ho portato questi.» E mise alcuni asciugamani sul letto. «Sistema le tue cose. Noi ti aspet-tiamo di là.» Poi uscì dalla camera e chiuse la porta, lasciandola sola.