Sofia si guardò in giro. C’era tutto quello che aveva fatto parte della sua adolescenza, i peluche, i manifesti, le foto. Sul tavolo, infilate sotto il vetro c’erano alcune cartoline, bellissime immagini di posti lontani spedite dai suoi amici durante le loro vacanze.
Sofia si spogliò, andò in bagno e fece una bella doccia. Si asciugò e si infilò una comoda tuta di ciniglia.
Quindi raggiunse sua madre in cucina che stava sfo-gliando una rivista. Quando la vide entrare, la chiuse e ci poggiò tutte e due le mani sopra.
«Come sono felice di vederti.»
«Anch’io, mamma.» Sofia si sedette di fronte a lei.
La madre la osservò con aria indagatrice.
«A cosa dobbiamo questa sorpresa? Va tutto bene?
Andrea?»
«Tutto bene, mamma. Avevo voglia di vedervi un po’.»
«È tanto che non stiamo insieme.»
«Sì, almeno un anno.»
«Due, figlia mia, sono passati due anni.»
«Sul serio? Come passa il tempo.»
Poi la madre guardò verso la porta. Si sentiva la televisione accesa in salotto. Decise che avevano bisogno di un po’ di tranquillità, così si alzò e chiuse la porta della cucina. Tornò a sedersi di fronte a lei sorridendo.
«Oh, così stiamo un po’ tranquille fra noi donne.»
Le stropicciò le mani tra le sue per manifestare la sua felicità. Poi ritornò seria. «Davvero non ci sono problemi, figlia mia?»
Sofia fece segno di no con la testa.
«Me lo diresti?»
«Penso di sì.»
Sapeva come era fatta sua figlia. Se diceva una cosa era quella. Si tranquillizzò, era ancora più contenta di averla lì.
«Allora sono proprio felice, sul serio.»
Sofia sorrise. «E tu, mamma, come stai?»
«Bene. Un po’ di dolori, ma quello è normale, tua mamma ha sessantacinque anni, te lo ricordi, vero?»
«E con papà litigate ancora tanto?»
«Abbastanza.» Poi rimase in silenzio. «Sai, una volta lo stavo per lasciare sul serio.»
Sofia rimase in silenzio. No, quello non se l’erano mai detto e non se l’aspettava.
Grazia continuò. «Non so neanche se è il caso di dirtelo.»
«Come vuoi tu, mamma.»
«Quando fai così mi innervosisci.»
«Sei tu che hai detto che forse non è il caso…»
«Ma è un modo di dire. Be’, io te lo racconto lo stesso.» Raccolse le idee, poi cominciò. «Era un uomo bello, alto, con degli occhi scuri, con un profumo magnetico…»
Sofia trasalì. Ma cosa le stava raccontando sua madre? Grazia si accorse del suo stupore.
«Magnetico, che ti piace molto, che ti attira. Sei una donna, puoi capirmi.»
Sofia continuava a non credere alle sue orecchie.
“Mia madre ha sessantacinque anni, mio padre settan-tasei e lei mi parla di un uomo dal profumo magnetico?
La vita riesce sempre a sorprenderti.”
Poi Grazia le sorrise. «E tu lo hai conosciuto.»
E questa cosa lasciò Sofia ancora più stupita. «Io l’ho conosciuto?»
«Sì, e sono sicura che ti è anche piaciuto.»
«Mamma, guarda che io non me lo ricordo. Ma sei sicura? Ma a Roma o qui?»
«Era qui in Sicilia, era d’estate. Avevi quattro anni!»
Sofia fece un sospiro. «Ah… Cioè più di vent’anni fa!
E chi se lo poteva ricordare.»
«Eravamo al parco e lui venne mentre ero con te e tuo fratello e ti prese in braccio. E tu, che di solito scalciavi, che non amavi essere presa da sconosciuti, quella volta invece sei stata tranquilla tra le sue braccia e ti sei messa a ridere, facevi la smorfiosa. Me lo ricordo come se fosse oggi.»
La madre sospirò e andò indietro nel tempo, ricordando qualche altro episodio, una telefonata, delle parole, forse un momento di segreta intimità. Poi ritornò da sua figlia. «Te lo ricordi? Si chiamava Alfredo, ti regalò una bambola con la maglietta rossa.»
Quella Sofia se la ricordava. L’aveva chiamata Fiore, come un’amichetta che aveva da piccola a scuola e che poi non aveva più visto, quella bambola invece ce l’aveva ancora lì, nella sua stanza.
«Ero pazza di lui» continuò Grazia. «Era la passione, il sogno, la fuga… Quando non lo sentivo per qualche giorno ero nervosa, arrabbiata e piangevo. Era tutto quello che vostro padre non mi aveva dato.»
Si fermò senza aggiungere altro, lasciandole il tempo di accettare quel segreto, quella confessione dopo così tanto tempo.
«Perché non hai lasciato papà?»
Grazia tacque. Avrebbe voluto dire: “Per te, per tuo fratello Maurizio, perché comunque ero sposata, perché era solo un’avventura”. Poi disse la verità.
«L’ho fatto. Una mattina voi eravate dalla zia, tuo padre era a Roma, allora ho preparato la valigia, avevo trentanove anni, mi serviva poco, avevo l’amore ed era tutto, così l’ho raggiunto al parco. C’eravamo dati appuntamento nel boschetto subito dietro la piazzola, lì, dove ci vedevamo molto spesso.» E fu come se Grazia fosse di nuovo lì, ad aspettarlo.
«Amore…» Gli corse incontro facendo cadere la valigia ai suoi piedi, lo strinse forte, abbracciandolo e cominciò a baciarlo sulla bocca senza freno, senza pudore e subito le loro passioni si accesero. Lei aveva una gonna leggera e le gambe abbronzate che sapevano di crema appena messa. Si sedettero sulla prima panchina che trovarono senza pensare a niente. Le sue mani avide scivolarono sotto la gonna, accarezzarono quelle gambe, le strinsero forte.
Lei cercava di aprire la sua cintura, dopo diversi tentativi ci riuscì e, come per magia, tutto divenne più facile. E furono come rapiti. Morsi di passione, di voglia, respiri rubati, sotto il verso di cicale lontane quei sospiri sempre più forti, perfino un grido e la sua mano a tap-parle la bocca. Poi quello sguardo alla fine. Scoppiarono a ridere per quel tempo perfetto. Rimasero fermi così, appagati e soddisfatti su quella panchina, leggermente sudati d’amore, uno sull’altra.
Solo allora lui sembrò accorgersi di quella valigia.
Lei vide il suo sguardo. «Vengo con te…»
Lui si staccò da lei, le sorrise e la tenne tra le braccia.
«Non si può.»
«Perché? Non mi va di aspettare che torni tra dieci giorni.»
Lui fece un sospiro e lasciò cadere le braccia liberan-dola, ma la guardò negli occhi. «Sono sposato.»
Lei rimase in silenzio. Perché non le aveva mai detto nulla? E ora? Ma poi pensò che non era così importante. Alla fine sorrise. «Anch’io. Ma che vuol dire?»
Quella volta Alfredo si scostò da lei, la fece sedere al suo fianco, poi si rimise a posto i pantaloni, si tirò su la zip e si chiuse la cintura. Solo allora la guardò di nuovo.
«Sì, ma io l’amo.»
Grazia si sentì morire. Le lacrime le salirono subito agli occhi, allora si alzò di scatto, cercò sulla panchina le sue mutandine ma non le trovò. Poi le vide. Erano cadute a terra, erano piene di polvere, le raccolse, le scrollò e le infilò nella borsa. Poi andò verso la valigia, la prese e cominciò a camminare. Le lacrime le scendevano sul viso e non riusciva a girarsi. Avrebbe però voluto sentirsi chiamare, a ogni suo passo era quella la sua speranza.
“Grazia!” avrebbe voluto sentire gridare. “Non è vero.
Amo te!” Oppure: “Grazia, amo anche te…”. Sarebbe stato peggio, ma pur sempre qualcosa. E invece Alfredo non disse nulla. E quando lei finalmente riuscì a girarsi, su quella panchina non c’era più nessuno.
«Perché me l’hai detto?»
Grazia fece un lungo sospiro e si sistemò una ciocca ribelle dietro le orecchie. «Non lo so.»
Ora però il suo sguardo sembrava più sereno, come se confessando il suo tradimento si fosse tolta un peso.
«Avevo bisogno di raccontarlo a qualcuno.»
Sofia si alzò e andò verso il frigorifero, si versò un bicchiere d’acqua. «Vuoi qualcosa, mamma?»
«No grazie. Non bere veloce che è fredda.»
Sofia non ascoltò il suo consiglio. Poi, quando stava per uscire, la madre la fermò. «Non l’ho mai più sentito né cercato.»
Lei le sorrise. «Hai fatto bene. Era sposato.»
E se ne andò in camera sua. Si mise a leggere cercando di distrarsi.
Poi più tardi sentì rientrare suo fratello. Allora usci dalla camera e gli corse incontro.
«Non ci posso credere. Sofia!» Si abbracciarono con affetto e si baciarono.
«Maurizio, sai che stai proprio bene?»
«Ma se mi son venuti gli occhi storti a furia di stare per ore di fronte a quei computer.»
Il padre si incuriosì. «È un problema di questo paese…»
«Che cosa?»
«Che nessuno sa come si usano!»
Grazia passò proprio in quel momento. «Ma è quella la tua fortuna! Forza, a tavola.»
Fu una cena molto buona con tutte le specialità si-ciliane. Pasta alla Norma, sarde a beccafico, panelle e una cassata fresca comprata alla pasticceria all’angolo.
«Ma voi mi fate ingrassare!»
Il padre era sorridente. «No, no, così ti ricordi quanto è buona la nostra cucina e torni più spesso!»
Anche il fratello era d’accordo. «Sì, torna presto…
che non si mangia mai così bene, te lo assicuro.»
Grazia non disse niente. Guardava sua figlia in silenzio. Poi lei se ne accorse. La madre le sorrise. Sofia abbassò lo sguardo e continuò a mangiare. Forse sua madre voleva farle digerire il suo racconto. Quando fi-nì la cena tutti aiutarono a sparecchiare. Poi Maurizio uscì perché aveva una sfida a biliardo. Grazia si mise al telefono con un’amica. Questa volta fu Sofia a chiudere la porta del salotto su indicazione del padre.
«Meglio, se no ci rimbambisce… Sai che può parlare un’ora di seguito senza dare modo a chi sta dall’altra parte di intervenire? Ha fatto così anche con te?»
«Quando?»
«Oggi, nel pomeriggio. Ho visto che vi siete chiuse in cucina.»
«Sì… Ma mi sono difesa!»
«Brava, figlia mia.»
«E a te come va, papà?»
«Sai…» fece un piccolo sospiro. «Un po’ mi manca il lavoro…» Cominciò a raccontare della sua vita da pensio-nato, degli incontri in piazza, di chi purtroppo non c’era più, di chi era diventato nonno. Sofia ascoltava le sue parole, cercava di sembrare attenta, ma in realtà pensava a tutt’altro. Riviveva il racconto di sua madre e soffriva nel vedere suo padre ignaro di quel tradimento, pensando a come la sua vita sarebbe potuta essere diversa se un altro uomo avesse detto a sua moglie: “Sì, vieni via con me”.
«Mi stai seguendo?»
«Certo, papà…» Allora Sofìa gli prestò più attenzione.
«Se non ci fosse tua madre… È lei alla fine che mi obbliga a partecipare alle feste della pro loco.»
“Qualche merito almeno ce l’ha” pensò Sofia.
«Lunedì prossimo per esempio c’è la cena in piazza, mi fa piacere andarci con tua madre, ci divertiamo, anche se si devono fare delle offerte e non si può mai dare troppo poco.»
«Be’, sì, certo…»
Continuò ad ascoltarlo ma finì per distrarsi di nuovo.
Pensò a Stefano, a come la sua vita fosse simile a quella di suo padre. Passano gli anni, arrivano nuove genera-zioni, ma alcune cose restano tristemente uguali.
«Vado a dormire, papà.»
Salutò anche sua madre, si chiuse in camera, fece una telefonata ad Andrea e poi si addormentò, senza pensare troppo. Non sognò, o almeno, se lo fece, non ricordò nulla.
I giorni seguenti furono di completo relax, qualche passeggiata fino al mare, un salto al mercato per gli im-mancabili “cazzilli” ai quali fin da piccola non aveva saputo rinunciare e per colpa dei quali si era dovuta spesso mettere a dieta.
Poi, il pomeriggio prima di partire, incontrò quel ragazzo. «Sofia Valentini!»
Si girò sorpresa da quell’urlo.
«Non ci posso credere! Che ci fai qui? Troppo bello per essere vero! E troppo bella per essere reale! Ma sei tu, vero?»
Sofia si mise a ridere. «Si, sì, sono io… Ma non ti offendere, non mi ricordo proprio.»
II ragazzo si mise le mani sulla testa. «Non ci credo, com’è possibile?» Ma non le diede il tempo di rispondere. «Sono Salvatore Catuzzo!»
«Dai, mi prendi in giro?! Salvatore!»
Sofia allora lo abbracciò e si scambiarono un bacio.
«Quanto tempo!»
«Una vita.»
Ora Sofia lo guardò meglio. Era stato il suo sogno da ragazzina, era follemente innamorata di lui ed era stato anche il suo primo bacio. Adesso si ricordava tutto perfettamente. Un giorno d’inverno durante le vacanze, verso le cinque del pomeriggio, Salvatore l’aveva portata sulla scogliera dell’elefante. Il mare quel giorno era in tempesta e faceva anche freddo. Tirava un maestrale teso e pungente. Ma lui si era ostinato. Erano arrivati fino a là in bicicletta.
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