Guarneri continuò. «Dopodomani avrà sul suo conto i cinque milioni di euro. È tutto a posto? Ha qualche dubbio, qualche domanda?»

Sofia ci pensò su. «No, mi sembra tutto chiarissimo.»

«Una macchina la verrà a prendere sotto casa alle otto del febbraio. È questo il suo indirizzo?»

L’assistente le fece vedere un altro foglio.

«Sì. Abito lì. Preferisco venire per conto mio però, prenderò un taxi, è possibile?»

Guarneri sembrava preparato a quell’evenienza.

«Nessun problema. Lei ha un passaporto, si ricordi di portarlo…»

«Sì certo, devo solo vedere che…»

«È in regola, scade tra due anni. Mi dica se quello che è stato segnato su questo foglio è esatto…»

E glielo passò. Sofia lo lesse velocemente. C’erano le sue misure: scarpe, taglia, reggiseno, mutandine. Poi trovò una specie di cartella clinica: le possibili allergie, tutti gli esami fatti negli ultimi anni e qualunque altro dettaglio medico potesse riguardarla. C’era tutto.

«C’è qualcosa che ci siamo dimenticati? Qualcosa che ignoriamo, qualcosa che non sappiamo, che è stato nascosto o semplicemente non abbiamo considerato ma potrebbe essere importante? Se è così, sarebbe meglio che ce lo dicesse. Non vorremmo avere nessun tipo di problema…»

«Credo che voi sappiate assolutamente tutto di me.»

Guarneri non batté ciglio. Poi le passò una penna. Sofia senza leggere firmò tutti i contratti, poi li riconsegnò.


«Bene, ora posso andare?»

Guarneri controllò i fogli.

«Solo un’ultima cosa, dovrebbe seguire la mia assistente, abbiamo bisogno di alcune sue fotografie.»

Sofia non capì esattamente a cosa si riferisse, ma decise che non era proprio il caso di fare problemi. «Certo…»

Guarneri si alzò e le diede la mano, si inchinò sfiorandola.

«Arrivederci signora, non so se ci rivedremo, comunque è stato un piacere conoscerla e sarebbe stato un piacere ancora più grande poterla sentire suonare veramente.»

Sofia sorrise. «Grazie.» Avrebbe voluto risponder-gli: “Magari ci sarà modo e occasione”. Ma si accorse quanto fosse chiaro a tutti e due che non si sarebbero rivisti mai più.

Uscì seguendo la donna. Fecero un pezzo del corridoio, arrivarono davanti all’ascensore e lei lo chiamò.

Aspettarono in silenzio con un leggero imbarazzo. Quando arrivò l’ascensore, Marina Recordato la fece entrare per prima. «Prego.» Poi entrò e spinse il pulsante che portava al secondo piano. Sofia si chiese cosa sapesse di quella storia. Forse poco o nulla. Di solito le persone così potenti sanno come tenere nascosti i loro segreti.

L’ascensore si fermò e Marina Recordato uscì. «Prego, da questa parte.» Camminava veloce lungo il corridoio, girò in fondo a destra ed entrò in un grande locale.

Lì c’erano diverse persone che lavoravano al computer.

Alcuni molto giovani, indossavano una felpa e portavano dei capelli rasta, qualcun altro un po’ più grande aveva pochi capelli e occhiali dalla montatura colorata, qualche ragazza dal look alternativo, qualcun’altra elegante e moderna, stile newyorkese.

Un tipo, che sembrava essere il capo di quella specie di comune digitale, arrivò subito incontro a Marina Recordato. «Eccovi, vi stavo aspettando. Prego, di qua.»


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Marina e Sofia lo seguirono.

«Ah, comunque, io sono Steve.» Sorrise dando la mano a Sofia che si presentò.

«Piacere.»

«Mio… Ecco, di qua.» Aprì una porta e fece accomodare le due donne in una piccola sala. Di fronte c’era un vetro e dietro una consolle con un ragazzo di nemmeno vent’anni. Aveva tutti i capelli ricci, una felpa scura e due o tre piercing.

«Salve!» Alzò la mano con un saluto un po’ rapper, come per dire: “Io ci sono e sono pronto”.

«Ok! Prego.» Poi Steve si rivolse a Sofia. «Siediti qui.»

Era passato senza preamboli al tu. Il tipo dall’altra parte del vetro spinse il bottone di un interfono. La sua voce leggermente distorta arrivò nella sala. «Cerca di stare più ferma possibile. Ok, così. Sorridi…»

Sofia sorrise. Si sentirono una serie di rumori metal-lici.

«Ok, perfetta» continuò la voce dall’altra parte.

«Ruota un po’ alla tua sinistra…»

Solo ora Sofia si accorse che lo sgabello girava e seguì le indicazioni.

«Bene, così, sorridi… Perfetta. Ora fai finta di avere un pianoforte davanti a te e stai suonando…»

Sofia stese le mani e simulò alcuni accordi. «Ok, devi far finta, non devi suonare. Anche se immagino che tu lo faccia abbastanza bene.»

Sofia sorrise e si girò verso Marina. Anche lei sorrise.

Allora conosceva qualcosa di tutta la storia, almeno che sapeva suonare.

«Ok, perfetto. Guardate un po’ se vanno bene?»

Su dei grandi schermi all’interno della saletta furono proiettate diverse immagini. All’interno di alcuni teatri si vedevano donne che, sedute a un pianoforte, con centinaia di persone davanti, suonavano. Sui loro corpi era stato montato il viso di Sofia ed erano tutte perfettamente credibili, ingrandite, rimpicciolite, riprese lateralmen-te, tutte quelle donne erano sempre Sofia. Si avvicinò curiosa. La sua foto, appena scattata, era stata montata su quelle immagini e di seguito ogni cosa era stata scelta con estrema precisione: i vestiti, gli anelli, le collane, tutte quelle cose che lei aveva indossato nel tempo nelle sue diverse esibizioni, tutti elementi presi da vecchi filmati per quella nuova versione virtuale di Sofia.

Guardò meglio quell’ultima immagine.

«Purtroppo quel bracciale l’ho perso tre anni fa.

Non è credibile.»

Il ragazzo dall’altra parte del vetro fece cenno di sì con la testa. Intervenne su quell’immagine in diretta e piano piano sotto i suoi occhi fece sparire quel bracciale proprio com’era accaduto nella realtà. Sofia guardò le altre immagini. Era tutto materiale che riguardava lei in diversi momenti della sua vita, i suoi primi successi, i viaggi all’estero, gli ultimi anni in cui ancora suonava.

Si chiese quante altre cose avessero oltre quelle, ma non fece in tempo.

«Allora possiamo andare…»

«Sì, sì, certo. Arrivederci.»

Sofia salutò Steve e il ragazzo alla consolle del quale non sapeva il nome.

«Io sono Martino…» disse proprio in quel momento.

«Sofia, ciao.» E poi uscì dalla stanza.

Marina Recordato l’accompagnò all’uscita. «Ecco, qui c’è il suo contratto…» Le passò una busta rigida.

«Dentro troverà anche il mio numero di telefono personale, se avesse dei problemi, dei dubbi, delle paure o avesse bisogno di qualsiasi chiarimento, mi chiami a qualsiasi ora. Sarebbe molto utile se lei potesse portare i vestiti che indossava durante quei concerti, quelli che ha visto negli schermi. Renderebbe più credibili i filmati sui quali lavoreremo e che verranno messi in rete.


Se non dovesse averli ce lo faccia sapere. Troveremo il modo di farne altri identici in poco tempo.»

«Non si preoccupi. Li porterò.»

«Benissimo. Dopodomani faremo arrivare a casa sua con DHL i biglietti di andata e ritorno per la partenza, ha un orario che preferisce per la consegna?»

«Va benissimo tra le e le grazie.»

«Perfetto…» Poi si salutarono e Sofia uscì dall’edificio.

Fece alcuni passi poi un lungo respiro. Le sembrava di essere uscita da uno strano sogno, o meglio da una realtà virtuale. Invece no. Era tutto vero. C’era solo un piccolo dettaglio: avrebbe dovuto raccontare a casa tutto quello che non sarebbe mai accaduto.


Sofia girò per la città con quella cartellina in mano.

La stringeva forte, come se avesse paura di perderla e soprattutto chiedendosi come avrebbe fatto, cosa avrebbe detto mostrandola ad Andrea. Ma la domanda che la tormentava di più era: sarebbe stata credibile? La sentiva pesante. In tutti i sensi. Forse perché la costringeva per la prima volta a dire una bugia di quella portata. Certo, in quell’ultimo periodo erano successe tante cose che l’avevano cambiata, ma questa era diversa. Partire per un altro Paese, fingere di suonare in cinque concerti, essere pagata cinque milioni di euro ma soprattutto passare cinque giorni con un uomo sconosciuto per essere sua.

Arrossì e improvvisamente ebbe caldo. Sentì salire un’agitazione incredibile. Si fermò in un piccolo bar, come una turista straniera, si sedette al tavolino fuori, posò la cartellina con i contratti e rimase a occhi chiusi, immaginando. E così rivide Tancredi dopo tanto tempo, le sorrideva, le offriva da bere, chiacchierava, le raccontava qualcosa, alzava un sopracciglio di fronte a una sua indecisione…

Tancredi. Era un bellissimo uomo, ma freddo, cinico a volte, distaccato. Un uomo pieno di fascino e di mistero, un uomo imprendibile. Ecco, un uomo che non voleva amare. Sorrise quasi di questa improvvisa chiarezza. Cosa era successo nella sua vita? Perché era così?

Troppi soldi? Una delusione d’amore? Si mise a ridere.

“Sono troppo romantica.”


Doveva essere semplicemente un uomo annoiato.

«Posso portarle qualcosa?»

Sofia aprì gli occhi. Un giovane ragazzo era di fronte a lei con un vassoio in mano e dei bicchieri sporchi.

«Sì grazie, un tè.»

«Lo vuole con latte o limone?»

«Limone, grazie.»

Il ragazzo sparì dentro il bar e tornò poco dopo con una teiera calda e delle bustine a parte.

«Gliene ho portate due o tre, pesca, mirtilli e tè nero inglese, così può scegliere quella che le piace di più.»

«Grazie.» Sofia pagò lasciando anche una piccola mancia. Rimase tranquilla ad aspettare che quella bustina alla pesca piano piano colorasse l’acqua calda nella tazza. Poi ci mise una fettina di limone, lo zucchero e lentamente cominciò a sorseggiarlo. Aveva tempo prima della lezione di musica.

Inevitabilmente ritornò a quel pensiero. Perché quell’uomo era così? Dove avrebbero passato quei cinque giorni? Cosa le sarebbe successo? E se non fosse più tornata, se fosse sparita per sempre? Cominciò a pre-occuparsi. Nessuno sapeva di questa storia. Poi mentre sorseggiava il tè le venne un’idea. Doveva informare qualcuno.

Ma chi? La sua amica Lavinia? Inaffidabile. Olja?

Non era giusto che portasse un peso così grande e poi come l’avrebbe giudicata? Cosa avrebbe pensato? Il lo-ro rapporto era come quello tra una nipote e una nonna. Olja l’aveva vista crescere, aveva sempre avuto di lei un’ottima opinione, l’aveva capita perfino quando aveva smesso di suonare. Questa volta non avrebbe compreso. I suoi genitori? Meno che mai. Sarebbe stato difficile spiegarlo e sua madre avrebbe pensato che alla fine aveva ragione lei. Sorrise. Com’è difficile a volte entrare nella testa degli altri e far capire loro il tuo punto di vista. E così si accorse che in realtà non aveva nessuno di cui fidarsi. L’unica soluzione era scrivere tutta quella storia e spedirla a se stessa. Avrebbe preparato una busta e l’avrebbe data a Olja. Questo non sarebbe stato complicato. Avrebbe detto che era una sorpresa che voleva fare ad Andrea. Olja ci avrebbe creduto. Se non fosse tornata, due giorni dopo quella busta sarebbe dovuta arrivare a casa sua rivelando tutto quello che era successo, la fotocopia dei programmi, i biglietti del viaggio, l’indirizzo dello studio, i numeri di telefono che aveva e il racconto di come erano andate le cose, dall’incontro in quella chiesa fino a quei giorni. Ecco, ora era più tranquilla. Finì il tè. Poi tirò fuori dalla borsa la sua agenda e cominciò a scrivere. Un’ora dopo entrò in copisteria e fece alcune fotocopie, prese una busta e ci mise dentro tutto. La chiuse, scrisse dietro il suo nome e cognome, il suo indirizzo e raggiunse in fretta la scuola e cercò Olja.

«Mi dovresti spedire questa il giugno.»

«Certo!» Olja prese in mano la busta e lesse il nome.

«Ma è per te.»

«Sì, è uno scherzo che sto preparando per Andrea.»

«Ah» sorrise divertita. «Hai sempre voglia di scherzare tu… C’è Claudio Porrini giù nella sala.»

«E vero.» Guardò l’orologio. «Vado subito.» Scese al piano terra dove di solito teneva lezione e trovò quel bambino che la stava aspettando.

«Scusami.»

«Oh, non c’è problema. Stavo giocando al Nintendo DSL..»

Poi sollevò le spalle e lo spense.

«Andiamo.»

Quel giorno le lezioni le sembrarono più leggere del solito. Uno dopo l’altro si alternarono i suoi alunni.

Quando Elena, una delle più brave, attaccò il Valzer in La Bemolle Maggiore di Chopin, il famoso Grande Valzer Brillante, Sofia la interruppe subito. Si sedette al suo posto e iniziò il pezzo. «Guarda» disse. La maestra spesso correggeva l’allievo o rifaceva con una mano un passaggio per fare capire meglio come dovesse essere eseguito, ma nessuno l’aveva mai vista seduta al piano. Fece ancora più impressione il fatto che Sofia non girò le pagine dello spartito. Aveva memorizzato perfettamente tutti i valzer di Chopin. Ma ancora più stu-pefacenti furono il tocco, l’uso del pedale, il fraseggio, insomma tutto quello che rende complicatissimo anche il più facile dei pezzi di Chopin e che Sofia, con una classe innata, eseguì sulla tastiera come fosse un gioco da ragazzi. All’ottava di sol che chiude il brano seguì un silenzio stupito. Gli occhi le si inumidirono.