Era una vita che non lasciava Roma.

Si fermò davanti a un negozio di costumi e parei. In vetrina c’era la foto di una spiaggia bianchissima. “È

vero! Non ho portato un pareo. Tanto sarò da sola con lui. Al massimo mi faccio prestare una sua camicia.”

Poi si mise a ridere da sola. “Insomma questa del pareo mi sembra l’ultima delle preoccupazioni.” Ma per un attimo si sentì di nuovo una diciassettenne che si sta allontanando per la prima volta da casa, che ha mille paure, mille incertezze, che pensa di non aver messo tutto nella valigia e di aver sicuramente dimenticato qualcosa di fondamentale per la sua vacanza. “Vacanza?” Sofia finì davanti a un grande specchio. Si guardò. “Tu non sei in vacanza. Tu non stai partendo per una vacanza.

Tu vai da lui per fare quello che lui vuole, quello che lui desidera, tutto quello che un uomo può volere da te per cinque milioni di euro. Cinque giorni. Cinque giorni potrebbero durare tantissimo, potrebbero sembrare infiniti, potresti non sopportarlo, detestarlo. Sofia? Ma perché ti prendi in giro? È un uomo bellissimo, ti piace, ti affascina, ti eccita. E in questo modo tu sei giustificata, non solo, sei strapagata per scopare con lui. Ma credi che lui tutto questo non lo sappia? Uno che conosce ogni cosa di te, i tuoi segreti, il tuo conto, ha le tue foto del passato, di tutti i tuoi concerti, vuoi che non abbia capito anche questo?”

Proprio in quel momento sentì la chiamata del suo volo. Si diresse velocemente verso il gate, mostrò il biglietto e il suo passaporto alla hostess che la fece passare. Subito dopo, a bordo, raggiunse il suo posto, si accomodò nella grande poltrona riservata per lei in prima classe. Arrivò uno steward che le portò dei giornali e un bicchiere di champagne.

«Grazie.»

In qualche modo era iniziata questa vacanza “particolare”. L’aereo si staccò dal finger, si allontanò sulla pista, si mise in posizione per aspettare il suo slot, poi fece una piccola curva, parti lento. I motori cominciarono a rombare, prese velocità e un attimo dopo era in volo.

Sofia vide il mare, le onde si rompevano sulla spiaggia, alcune si increspavano più al largo, poi si ritrovò tra le nuvole. Così prese il libro dalla borsa, cominciò a leggere, si rilassò. Le parole scorrevano veloci e servivano a distrarla. Le piaceva quella scrittura classica.

Dopo un po’ infilò il biglietto in mezzo al libro, lo poggiò sul bracciolo della poltrona, chiuse gli occhi e si addormentò. Un rumore improvviso la svegliò. Strinse forte i braccioli. Poi si guardò intorno. Tutti erano sereni e tranquilli, fece un sospiro, niente, non succedeva nulla di strano, stavano semplicemente atterrando.

Scese dall’aereo, aspettò i bagagli e uscì.

“E ora? Come troverò chi mi sta aspettando? E soprattutto, ci sarà qualcuno? Magari mi ha fatto uno scherzo. Rimango cinque giorni qui all’aeroporto! Uno scherzo da cinque milioni di euro! “

«Signora Valentini?»

«Sì.»

Un uomo elegantissimo, con abito scuro e cravatta blu, le sorrise allungando la mano verso le valigie. «La stavamo aspettando, prego, lasci pure a me.»

«Sì grazie.»

L’uomo le indicò la strada. «Da questa parte. E andato bene il viaggio?»

«Sì, benissimo.»


«Vuole qualcosa, desidera un caffè?»

«Se ci fosse, un po’ d’acqua…»

«In macchina abbiamo tutto quello che desidera.»

Usciti dall’aeroporto un’auto accostò al marciapiede.

Il suo accompagnatore aprì lo sportello. «Prego.»

Sofia salì in macchina e lui lo richiuse. Sistemò i bagagli e prese il posto di guida lasciato dall’autista. Salito al volante, si mise la cintura e portò la marcia automa-tica sulla lettera D. La grossa Mercedes S partì silenziosa.

«Nel frigorifero davanti a lei trova tutto quello che desidera. Nell’armadio piccolo sotto invece ci sono delle bottiglie d’acqua a temperatura ambiente e i bicchieri.»

Sofia aprì il frigo e prese dell’acqua naturale. La Mercedes fece un’ultima curva e si fermò davanti a un cancello, dopo averlo superato continuò la sua corsa silenziosa fino a fermarsi davanti a degli hangar. Un jet di lusso G Gulfstream era al centro della pista. L’autista scese e aprì lo sportello.

«Prego. Siamo arrivati.»

Sofia uscì dall’auto e rimase colpita dal calore di quel posto. Alcuni riflessi lontani brillavano in fondo alla pista, sembravano orizzonti sfocati su quel grande deserto.

«È il caldo, signora.»

L’uomo le sorrise e la guidò portando i suoi bagagli.

Si fermò davanti alla piccola scala.

«Prego.»

Proprio in quel momento una hostess comparve sulla porta dell’aereo. «Buon pomeriggio.»

Sofia iniziò a salire gli scalini. La hostess le sorrise salutandola con un piccolo inchino.

«Dove vuole sedersi?»

«Oh, qui va benissimo.» Era un aereo più grande di quello per Verona, ma altrettanto elegante e curato nei minimi dettagli. L’equipaggio era diverso. Si presentò il comandante.


«Salve. Quando vuole partiamo.»

Sofia sorrise e allargò le braccia. «Per me possiamo andare anche adesso.»

«E allora partiamo. Lei è la nostra unica passeggera.»

Da terra l’autista della macchina la salutò. «Se deve prendere qualcosa dalle sue valigie, loro sanno dove so-no. Buon viaggio.»

Poi la scaletta fu tolta, il portellone si chiuse. Sofia si sedette su una grande poltrona a metà dell’aereo. Aveva il finestrino vicino e accanto un mobile basso dove poter poggiare la borsa. Si mise la cintura. L’aereo si mosse piano, lentamente accelerò e prese il volo. Non un rumore. Niente. Era silenziosissimo.

Sofia vide la Mercedes scura che usciva dal cancello, poi una lunga strada in mezzo al deserto, quelle palme sempre più piccole. Dopo poco erano già alti nel cielo.

L’aereo fece una curva verso sinistra e puntò verso il sole. Sofia sentì la potenza dei motori aumentare, poi più niente. Correva via attraversando brevissimi strati di nuvole e solo quelle riuscivano a dare l’idea di quanto stesse andando veloce.

La hostess si avvicinò. «Se vuole può togliersi la cintura. Non incontreremo turbolenze.»

«Tra quanto arriveremo secondo lei?»

«Mah… Abbiamo il vento a favore. Il viaggio sarà lungo ma faremo tutto il possibile perché non se ne accorga.»

Avrebbe voluto dire: “Sì, ma dove stiamo andando?”. Sapeva però che in risposta avrebbe trovato semplicemente un sorriso. Decise di domandare solo quello che la hostess poteva dirle.

«C’è un bagno?»

«Oh, certo. Ne abbiamo due. Può usare quello in fondo alle sue spalle.»

Sofia si alzò, la hostess la fece passare.

«Non si faccia problemi, se ha bisogno di qualcosa mi chiami.»


«Va bene, grazie.»

Sofia aprì la porta del bagno. Piastrelle di marmo nero intarsiate di venature leggermente più chiare, un grande specchio, una doccia, una vasca idromassaggio.

Un lavandino stile giapponese, dall’altra parte piccoli asciugamani di lino bianco. Chiuse la porta, andò davanti allo specchio, si lavò le mani, si pettinò. Alle sue spalle si accorse solo ora che c’era un grande accappatoio bianco, soffice, spugnoso. Si avvicinò. Aveva una lettera “S” stampata. Sotto c’erano delle pantofole dello stesso colore. Si tolse le scarpe, le provò, naturalmente erano della sua misura.

Poco dopo uscì dal bagno e tornò a sedersi. Sul suo tavolino era stata appoggiata una cartellina, sopra c’era scritto: “Sofia”.

La hostess le si avvicinò. «Mi hanno detto di darle questa e che lei ne era informata.»

«Sì…»

Veramente non sapeva di cosa si trattasse. La hostess si allontanò. Sofia aprì la zip. Trovò un telefonino e un foglio scritto al computer.

“Questo telefonino è per lei. Lo potrà usare in questi giorni per quando desidera telefonare. Il numero uscente risulterà proveniente da Abu Dhabi. I numeri registrati sulla scheda telefonica sono quelli che lei chiama più frequentemente.”

Sofia guardò la lista. C’era scritto “casa” e poi effettivamente il suo numero, “casa genitori”, “Andrea”, “Olja”, “Lavinia”, “Stefano”. Avevano tutti i suoi numeri, erano trascritti lì, sopra quel foglio. Non mancava nulla. Erano pericolosi, potevano arrivare in ogni angolo più nascosto della sua vita, potevano sapere tutto, comprare tutto, tranne una cosa. E questo la rassicurò.

Riprese a leggere il libro, più tardi le fu servita una cena leggera, meglio di qualsiasi altro cibo mai mangiato su un aereo: salmone al vapore, accompagnato da patate julienne, poi un’insalata freschissima e infine dei piccoli dolci francesi, il tutto accompagnato da un ottimo vino bianco, del Riesling Sommerberg Alsace Grand Cru. Stava prendendo un caffè quando l’aereo atterrò. Mise il cellulare nella borsa, salutò la hostess: «Arrivederci».

Ad attenderla c’era una limousine scura sulla quale vennero caricate le sue valigie. L’autista la salutò con un sorriso. Era un ragazzo dalla carnagione scura, doveva essere del posto. Aprì lo sportello, la fece salire, poi lo richiuse, si mise alla guida di quella bellissima Bentley Mulsanne.

I sedili erano in pelle e naturalmente non mancava il frigorifero al centro. Ma Sofia non prese nulla. Guardò il paesaggio dal finestrino. La vegetazione tutt’intorno era fitta, ai bordi della strada c’erano delle piante dalle foglie larghe. Ogni tanto tra tutto quel verde compari-vano dei grandi fiori colorati. Lungo la strada incontra-rono uomini e donne avvolti in drappi colorati, azzurri, beige, marroni, blu. Salutavano alzando lentamente la mano e continuavano così il loro cammino verso chissà quale meta.

L’auto fece un’ultima curva, poi prese un rettilineo, in fondo si vedeva il mare. Man mano che la macchina procedeva, lo scenario si allargava. Un mare blu, im-menso, senza confini, davanti a una spiaggia stretta e lunga, bianchissima. Quando l’auto arrivò alla fine di quel rettilineo girò a destra, fece alcune centinaia di metri e si fermò davanti a un pontile. Un grande motoscafo era l’unica imbarcazione attraccata. L’autista l’accompagnò. Il rumore delle tavole di legno echeggiava sotto i loro piedi, accompagnato solo dal lento sciabordare del mare.

Un uomo a bordo del motoscafo si affacciò dalla cabina. «Salve, signora. Venga. La passerella è sicura.» Le sorrise. Parlava un italiano stentato ma comprensibile.


Sofia salì tenendosi al corrimano.

«Prego, si accomodi dove preferisce. Il mare è un po’

mosso, ma non si preoccupi…»

Sofia si sedette su un grande divano in fondo alla poppa, da lì si poteva vedere tutto. In un attimo le cime furono mollate, il rumore dei motori salì, il motoscafo si staccò dalla banchina, planò quasi subito e raggiunse in pochissimo tempo le sessanta miglia orarie. Ora il mare era più piatto e il motoscafo volava su quella distesa blu. A volte assecondava qualche onda dondolando leggermente. Sofia aveva i capelli al vento e provava a tenerli ma loro, ribelli, le venivano avanti coprendole il viso. Poi a un certo punto la vide. L’isola. Grandi palme dalle lunghe foglie verdi spiccavano alte al centro di quella striscia di terra che si stava avvicinando, altre più piccole si dirigevano verso il mare e lì, sulla spiaggia bianca, si piegavano con un inchino, salutando così l’imminente arrivo degli ospiti. Ormai mancava poco.

Sul lato destro si vedevano alcune rocce, come se una parte dell’isola fosse stata tagliata. Lì sotto il mare era più scuro, sopra la vegetazione più fitta. Il motoscafo rallentò, fece un’ampia curva, si piegò fendendo l’acqua e si diresse verso l’unico pontile nascosto fino a quel momento da una duna di sabbia più alta. Lui era lì, in piedi e le sorrideva con in mano una rosa rossa dal gambo lunghissimo.

Appena il motoscafo attraccò, l’aiutò a scendere e subito le diede la rosa.

«Ben arrivata.»

«Grazie”…»

Lei stupidamente arrossì.

Lui intelligentemente sembrò non farci caso.

«Vieni, voglio farti vedere l’isola.»

Salirono su una macchina elettrica decappottabile, guidata da una ragazza mulatta.

«Buonasera…» si sedettero dietro vicini. Tancredi le sorrise. «Cameron, per favore, fai vedere l’isola alla nostra ospite.»

«Certo, signore.»

La macchina si mosse, percorse alcuni metri di una strada sterrata che fiancheggiava la spiaggia, poi entrò nella vegetazione. Avanzarono tra grandi cespugli verdi molto fitti, poi arrivarono in una radura e costeggiaro-no un laghetto.

«Questo è d’acqua dolce e ci si può fare il bagno, quella è una cascata naturale…»

Dall’altezza di circa tre metri, cadeva moltissima acqua. Rompendosi tra le rocce si polverizzava nell’aria dando vita a un arcobaleno.