Il veicolo si infilò di nuovo nella foresta e ne uscì qualche istante dopo. «Ecco, questa è la spiaggia, è la più riparata e laggiù, al largo, c’è la barriera corallina.»

Una lunga lingua bianca si estendeva per almeno tre chilometri, alcune palme leggermente curve arrivavano a sfiorare il mare. La macchina passò davanti a un piccolo gazebo elegantissimo. Sotto c’erano due grandi letti ricoperti da teli di iuta.

«Qui si può prendere il sole… Senza troppa gente intorno.»

Poco più lontano una tettoia di grosse canne di bambù riparava una grande cucina, c’erano diversi frigoriferi, un bancone e una serie di fuochi in ghisa. Un muro alto ricoperto da alcune piante rigogliose isolava la spiaggia dagli sguardi indiscreti di chi lavorava in cucina.

«Qui se uno ha fame o desidera qualcosa da bere…»

Sofia sorrise. «Mi ricorda tanto Laguna Blu.»

«Si, lì però loro ci arrivano da bambini e soprattutto per caso. Ecco la spiaggia finisce laggiù, ora giriamo…»

Cameron fece una morbida curva e si fermò poco do-po. Solo ora apparve. Era stata perfettamente costruita tra tutto quel verde e la roccia.


«Ecco, questa invece è la casa, è proprio sulla punta.

Qui l’isola si stringe, così si affaccia da tutte e due le parti. Non è molto grande. Vieni…»

Entrarono in un salone dal pavimento in legno chiaro. Grandi vetrate facevano entrare il caldo sole del tramonto che illuminava i divani color tortora. A terra un tappeto bianco, grande, sofficissimo. Dietro, un’unica vetrata dove si vedevano la punta dell’ultima spiaggia, il mare e quella sfera rossa che ci si stava tuffando.

A destra un muro alto, spatolato veneziano bianco e crema, alcuni quadri illuminati con una leggerissima luce fredda, nascosta negli stessi telai: un Gauguin e un Hockney, due capolavori dell’arte contemporanea.

«Vieni…» Entrarono nella cucina tutta in acciaio. Un cuoco dalla pelle nera e tre suoi assistenti, tutti vestiti di bianco, li salutarono semplicemente sorridendo.

«Qui invece c’è la sala da pranzo.»

Una stanza chiarissima, quasi sospesa nel vuoto. Do-ghe bianche per terra interrotte da un cristallo molto spesso. Lì sotto cominciava la scogliera e le correnti del mare, da quella parte dell’isola, erano più forti. Le onde si rompevano sotto la stanza e salivano su verso il cielo con grandi schizzi bianchi. Ma non si sentiva nulla, la casa era perfettamente insonorizzata.

Continuarono a camminare. «Qui c’è il mio studio…»

Aprì la porta ed entrarono in un’altra stanza. Sofia rimase colpita dal sofisticatissimo impianto stereo e dalla tv al plasma molto grande. «Ma in realtà io non amo fare nulla quando sono qui…»

Di lato c’erano dei divani in pelle chiara, sotto si vedevano la scogliera e il mare. Proseguì facendole strada.

«Qui stiamo tornando indietro e ci sono le camere da letto. Questa è la tua.»

Aprì un’altra porta. Per terra un legno molto chiaro, quasi bianco, un grande tappeto lilla, una portafinestra che dava sulla spiaggia, un grande armadio a sinistra, la sua valigia e il beauty sulla panca lì vicino. «Questo invece è il tuo bagno.» Sofia vide che una parte del tetto era aperta, entrava la luce del cielo con delle nuvole rosate. Una grande doccia, una vasca con tanto di idromassaggio, vicino un sedile lungo con sopra un morbido cuscino chiaro, rivestito di spugna. Nell’angolo, una poltrona di legno antico, intarsiata di perle e conchiglie.

Appesi alla parete vari asciugamani. Erano di tutte le tonalità del lilla, il muro invece era di un indaco chiarissimo, poi c’era un grande specchio, con intorno una cornice d’argento. Vicino al lavandino alcuni fiori lilla profumavano il grande bagno. Tutti gli asciugamani e lo stesso accappatoio portavano ricamata la lettera “S”.

Tancredi le sorrise.

«La mia stanza è identica, solo con dei colori forse un po’ più maschili, però se vuoi la cambiamo…»

«No, no, va benissimo questa.»

«Allora ti lascio. Vado a controllare alcune cose. Ri-posati, fatti una doccia, fai quello che vuoi, telefona…

Dovrebbero averti dato un telefonino.»

«Sì.»

«Perfetto, sono le. Tu ufficialmente sei in un posto con il fuso orario di Abu Dhabi. Così è tutto più facile. Se ti va, quando sei pronta ti offro un aperitivo.»

Sofia sorrise. «Non ci sarà troppa gente?»

«No. Non corri rischi. Al massimo incontri me…»


Sofia era rimasta da sola in camera. Andò verso la portafinestra, l’aprì e uscì in giardino. Le piante erano molto curate, un piccolo cancello di legno dava sulla spiaggia, appoggiata lì fuori una bicicletta su un cavalletto. Poco più avanti due lettini sotto una tettoia e, nel giardino accanto al suo, le stesse identiche cose. Era co-me se fossero due villini confinanti, in mezzo una passerella fatta tutta in teak, ideale per passeggiare o andare in bicicletta, si snodava a destra e sinistra procedendo poi nella vegetazione e dritta verso il mare.

Rientrò. Chiuse la portafinestra, poi tirò fuori il telefonino dalla borsa. Ci pensò un po’ su, poi si accorse che aveva un messaggio. Lo aprì.

“Controllare prima di ogni chiamata il computer vicino alla televisione. “

Si avvicinò alla tv e lo vide. Batté sulla barra, subito si illuminò. Segnava l’ora, la temperatura e uno schermo in alto mostrava il meteo del Paese dove si sarebbe dovuta trovare. Sotto c’era il suo nome, ci cliccò sopra e comparvero alcuni servizi televisivi, con tanto di foto che la vedevano scendere all’aereo e anticipavano i suoi concerti, anche alcuni articoli usciti sui giornali di quel Paese. Prese il telefonino e compose il numero che era stato già registrato.

Andrea rispose subito.

«Eccoti! Ciao, amore, tutto bene? Sei arrivata?»

«Sì, tutto benissimo. Il viaggio è stato perfetto.»


«Bene, già mi manchi sai?»

«Anche tu.» Rimasero un attimo in silenzio. Sofia decise che lo doveva dire. «Ma quando tornerò sarà incredibile. Vedrai che questi cinque giorni passeranno in fretta.»

«Sì…»

Poi parlarono del più e del meno. «Com’è il tempo?»

Sofia guardò il computer. «Si sta bene. Ci saranno al massimo venticinque gradi.»

«Allora ti abbronzerai senza scottarti.»

«Se sono libera nel pomeriggio un po’ andrò in spiaggia. Ma mi sa che qui il mare non è bello…»

«Però è comodo che posso sempre rintracciarti… So-no stati gentili a darti questo cellulare.»

«Sì, prende bene. Sulle linee fisse dicono che hanno molti problemi.»

«Che fate ora?»

«Andremo a fare le prove, poi una pausa per un po’

di riposo e alle il primo concerto. Non conosco questo maestro… sono un po’ nervosa.»

«Andrà benissimo. Se non finisci tardi chiamami do-po.»

«Ma le prove saranno lunghe e poi magari andremo a cena. Spero che siano contenti del loro investimento.»

«Saranno felicissimi, amore, vedrai… Anche se non suoni da tanto, sei sempre la migliore. Pensa solo alla musica. Se non ce la fai ci sentiamo domani.»

Sofia chiuse il telefono. Rimase un attimo a fissarlo.

Fece un lungo sospiro. Mentire. Per lei era sempre stata la cosa più difficile del mondo, eppure ora sembrava riuscirle particolarmente bene. Qualche immagine fugace di Andrea si affacciò nella sua mente, un suo sorriso, loro a cena, una serata tenera davanti alla tv. Le allontanò velocemente. Non era il momento. Si spogliò ed entrò nella doccia. Piano piano sotto l’acqua calda riuscì a rilassarsi, sciolse i muscoli delle spalle, portò la testa indietro, poi la mosse lentamente, prima a destra poi a sinistra. Il getto forte dell’acqua eliminò l’ultima tensione. Era pronta.

Uscì dalla doccia, si mise l’accappatoio e si asciugò i capelli. Poi nuda davanti allo specchio iniziò a truccarsi, in modo leggero, senza calcare troppo la mano, un po’ di mascara, un velo di cipria, una linea sottilissima sugli occhi…

Si fermò. Notò una piccola busta in un angolo. L’aprì.

Dentro c’erano tutte le analisi di Tancredi. Erano perfette. Sorrise, in qualche modo aveva voluto tranquillizzarla. Andò alla valigia, tirò fuori alcuni vestiti, non aveva ancora deciso cosa mettersi, poi aprì l’armadio per prendere le stampelle e rimase sorpresa. All’interno, c’erano venti spettacolari vestiti di Armani. Neri, bianchi, argento, blu scuro, uno rosso e poi le scarpe più diverse, di tante tonalità, da abbinare ai colori dei vari vestiti, con il tacco di diverse altezze. Nei cassetti trovò degli splendidi completi intimi, di seta e di tanti altri tessuti, bianchi, neri, blu, rossi. Naturalmente tutto era della sua misura.

Poco dopo uscì dalla stanza. Il sole non era ancora tramontato. Una ragazza la stava aspettando, le sorrise e la invitò a seguirla in fondo al corridoio. Una scala a chiocciola in legno chiaro e acciaio satinato portava sul terrazzo. La ragazza si fermò lì e le fece segno di andare.

Sofia salì la scala, una parte del muro era di cristallo e sotto si poteva vedere il mare, l’altra invece era di roccia. Poco dopo si trovò in cima a quella torre.

Tancredi era lì. Guardava lontano con le mani nelle tasche di uno splendido vestito blu molto scuro.

Si girò e le sorrise.

«Pensavo ti saresti messa uno dei tuoi.»

«Se preferisci mi vado a cambiare. Ma ho visto la bellezza di quei vestiti, era un peccato non indossarli.»

Tancredi le si avvicinò. Sempre di più. Arrivò a un millimetro da lei. Rimase in silenzio. Si sentiva solo il mare lontano, il profumo della natura che li avvolgeva, eppure lui la respirò. E poi le sussurrò all’orecchio: «Non è vero. Ho sperato che ti mettessi questo».

Lei sorrise. Lui incrociò il suo sguardo. I colori di quell’ultimo tramonto accarezzavano le sue guance, i suoi capelli sussurrati dal vento si muovevano lenti e delicati intorno al viso. Le sue labbra dischiuse, proprio come le ricordava, come le aveva viste danzare la prima volta sulle note di quella corale in chiesa. E Tancredi in quel momento avrebbe voluto baciarla, assaggiare quelle morbide labbra, come una pesca, quasi morder-la, succhiarla. Era lì che la fissava, avido. Allora lei lo guardò spavalda e curiosa, quasi in segno di sfida. Ma Tancredi rimase immobile. Si sorprese di quella titu-banza. Ma come, proprio lui, lui che non aveva mai avuto un’incertezza con donne anche molto più belle di lei, ora era indeciso? Rimase in silenzio. No. Non era vero.

Aveva mentito. Nessuna era mai stata più bella di lei, e lo sapevano i suoi occhi, la sua mente, il suo desiderio, il suo cuore… Allora la guardò a lungo, poi parlò.

«Qualunque cosa detta in un momento come questo rischia di rovinare tutto.»

«È vero, soprattutto se non c’è bisogno di parlare.»

«Sono felice di averti qui…»

«Anch’io, anche se credo per altre ragioni. Comunque è un’isola oltre ogni immaginazione, soprattutto per come è curata nei dettagli. È tua?»

«Sì, ma non da molto tempo. Saranno tre anni. Ed è la prima volta che ci vengo con una donna.»

Sofia lo guardò curiosa, poi cominciò a ridere.

«Che c’è? Cos’è che ti diverte?»

«Stavo pensando che è assurdo…» Mosse i capelli scuotendo la testa. «Non ci posso credere!»

«A cosa?»

«Che tu mi racconti delle bugie!»


«Non ti ho detto nessuna bugia.»

Sofia lo guardò con particolare intensità.

«Guarda, forse non ti è chiaro, ma tu mi hai comprato. Sono tua per cinque giorni per cinque milioni di euro. Te l’hanno detto, vero? No, perché magari non lo sai… ma mi hanno fatto un bonifico.»

Anche Tancredi si divertì. «Mi hai fatto ridere.»

Si avvicinò a una bottiglia di Cristal che era dentro un secchiello pieno di ghiaccio, la tirò fuori e con movimenti veloci la stappò.

Sofia gli si avvicinò, ora era più rilassata.

«Sono belle tutte queste cose romantiche, la rosa, lo champagne, l’esclusività dell’isola… ma per andare a letto con te non servono. Puoi essere venuto su quest’isola con chi ti pare.»

Lui le passò un calice pieno di champagne. Poi sorrise alzandolo verso di lei.

«Alle tue risate, che ti rendono ancora più bella… E a me che per la prima volta ho detto la verità e non sono stato creduto.»

Le sfiorò delicatamente il bicchiere, un tintinnio echeggiò nell’aria. Questa volta fu lui a guardarla intensamente negli occhi.

«È la prima volta che vengo con una donna su quest’isola, te lo giuro.»

Poi sorrise e bevve.

Rimasero a sorseggiarlo seduti su due grandi poltrone, uno vicino all’altra. Il sole era ormai scomparso lasciando una luce rosata sul mare. Chiacchierando, risero come due persone qualunque che stanno prendendo un aperitivo in una qualsiasi città.