«Andiamo a cena, ti va?»

«Volentieri. Ma non prenotiamo?»

Tancredi sorrise e la prese per mano.


La luna cominciava a salire nel cielo. Un grande tavolo era stato apparecchiato sulla spiaggia dove non batteva il vento. Intorno, lunghe fiaccole piantate nella sabbia facevano luce.

Sofia si tolse le scarpe e le lasciò sulla stradina che li aveva portati fin lì. Tancredi se ne accorse e fece lo stesso. Camminarono a piedi nudi sulla sabbia.

«E fredda…»

«Un po’.»

Poi lui spostò la sedia facendola accomodare e subito dopo si sedette di fronte a lei. I camerieri apparvero dal nulla, portando dei piatti che scoprirono davanti a loro.

«Sono gamberi molto freschi, li hanno pescati oggi pomeriggio per noi.»

Sofia li assaggiò. «Mi sembrano buonissimi.»

Servirono altri crudi conditi con arance e poi dei piatti caldi di mare, i più diversi. Ogni tanto alle loro spalle dal buio compariva un cameriere che riempiva i bicchieri, versando dell’ottimo Chardonnay Marcassin freddo. Alla tartare di spigola seguirono delle aragoste alla brace.

Sofia e Tancredi si divertirono a mangiarle cercando di rompere le chele, scavando negli angoli più difficili, dentro il guscio, per assaggiare quella tenerissima carne. Alla fine per il dessert ci fu l’imbarazzo della scelta.

«Vorrei questo soufflé al cioccolato ricoperto di cacao.»


Sofia lo gustò come una bambina. Era caldo, appena fatto, morbido, con un sapore impeccabile.

«Ma questo cuoco è meraviglioso!»

Le servirono del Muffato della Sala di Antinori e lasciarono lì vicino un grande carrello in legno antico con ogni tipo di grappa, rum e whisky invecchiati.

Poi il cuoco venne a salutarli. «Tutto bene, signori?»

«Ottimo, abbiamo mangiato veramente bene.»

«Vi possiamo portare un caffè? Volete qualcos’altro?» Tancredi guardò Sofia che sorrise e fece cenno di no con la testa.

«No grazie.»

«Benissimo, a domani allora.»

Il cuoco fu raggiunto da altri camerieri e si allontanò con loro lungo la spiaggia. Si persero nel buio della notte ma ricomparvero poco più in là vicino a un pontile illuminato. Li raggiunsero anche altri inservienti, si sentì il rumore di alcuni motori che si accendevano, e poco dopo quattro barche si staccarono dal pontile. Sofia li guardava incuriosita.

«Ma dove vanno, a pesca?»

«No, vanno a dormire.»

«E dove?»

«Nell’isola vicina.»

«Pensavo dormissero qui.»

«No. Non voglio nessuno sull’isola. Eccetto te, naturalmente.»

«Ah… Pensavo mandassi via anche me.»

«Sciocca.» Le prese la mano, la girò e la guardò.

«Sono state queste tue mani in quella chiesa… È colpa loro.»

«Per cosa?»

«Mi hanno fatto sognare.» E ne baciò il palmo.

Sofia chiuse gli occhi e, per la prima volta dopo molti anni, si emozionò.

Più tardi camminarono in silenzio lungo il bagnasciuga. Piccole onde andavano e venivano su e giù, dolce respiro di quello sconfinato mare.

Tancredi la prese per mano, lei si lasciò guidare, continuarono a camminare così, vicini, come una coppia comune, eppure fuori da ogni regola, da ogni tempo, priva della possibilità di tradirsi, di mentirsi, di delu-dersi, perfetti perché dichiaratamente imperfetti.

Sofia si lasciò andare e appoggiò la testa alla sua spalla, lui le cinse con un braccio il fianco. Poi si fermarono e nel silenzio di quella notte, sotto la luna ormai alta, i loro profili si disegnarono davanti a quel fondo blu, fatto di piccole stelle, di mare, forse anche di qualche terra lontana, ma così lontana da non poter essere un problema.

Tancredi e Sofia si guardarono, si sorrisero, senza nessuna timidezza, senza nessun pensiero. Come solo un uomo e una donna in alcuni momenti riescono a fare. Come se non esistesse nient’altro, come se quello che stava per accadere fosse la cosa più naturale del mondo. Un bacio. Un bacio dai diversi sapori. Da una parte cercato, sofferto, voluto, desiderato. Dall’altra combattuto, evitato e infine addirittura venduto. Così Sofia si abbandonò tra le sue braccia, lo strinse forte.

Le sue labbra all’inizio risposero quasi pudiche, timo-rose ma poi improvvisamente presero vita e divennero avide, e alla fine stordite, sorprese da quella passione. E

Tancredi continuò a baciarla, liberando il suo viso dai capelli, staccandosi a volte, guardandola negli occhi, cercando il suo sguardo che, timido, nascosto, tentava in tutti i modi di evitarlo. Fino a quando non si incon-trarono e subito si persero di nuovo, come se Sofia fosse di fronte a una disperata, innegabile verità.

Allora quasi lo sussurrò: «Cinque giorni. Cinque giorni e non sarò più tua».

Lui le sorrise. «Forse. Ma ora sei mia. E non è finito un giorno.»


Sofia provò a ribellarsi, ma lui la strinse a sé e la baciò di nuovo. Lei lo morse. Lui continuò come se niente fosse, poi la prese per mano, lei lo seguì in silenzio. Entrarono nella casa. Nei corridoi la luce era bassa. Tancredi la portò in quell’unica stanza dove non erano stati. Aprì la porta. All’interno della grande sala, scavata nella roccia, c’era una piscina. Era costruita in cristallo e come sospesa sul mare più profondo dell’isola.

«È riscaldata. Possiamo fare un bagno.»

Tancredi abbassò ancora di più le luci. Ora le grandi volte del soffitto erano appena illuminate, il pavimento di legno era riscaldato, in un angolo c’erano degli accappatoi bianchi e degli asciugamani. Lì vicino due lettini con sopra cuscini di spugna grandi come due materassi.

Tancredi girò un altro interruttore. Sotto la piscina trasparente si accese il fondale. Sulle pareti si vedeva il corallo, in mezzo nuotavano alcuni pesci colorati, ancora più giù c’erano dei polpi. Le rocce continuavano a scendere e nel blu più profondo si vedevano pesci, lenti barracuda, cernie che spuntavano da qualche tana, un branco di pesci balestra cambiò improvvisamente direzione, fuggirono veloci all’arrivo di un piccolo squalo.

Era come stare all’interno di un grande acquario, come essere stati calati all’interno di una gabbia trasparente nel fondo dell’oceano.

Tancredi spense le ultime luci. La luna attraverso le grandi vetrate illuminava a tratti la stanza.

«Ti va di fare un bagno?»

«Ma quello squalo?…»

Tancredi rise.

«È tutta scena, non c’è nessun pericolo. L’unico rischio sono io.»

«Allora non ho paura.»

Sofia lasciò cadere a terra il vestito, poi si sfilò il reggiseno, infine le mutandine. Tancredi rimase a fissarla.


Così, completamente nuda davanti a lui, perfetta. Era di profilo, controluce si disegnavano i riccioli del suo pube. Girò la testa e lo guardò. Nel buio vide i suoi denti bianchi, un sorriso.

«Non mi guardare.»

Sofia scese gli scalini della piscina, l’acqua era calda, poi si tuffò in avanti. Fece alcuni metri sott’acqua e rie-merse più in là. Era come sospesa sopra quel blu infinito. Sotto di lei, divisi da quel grande cristallo, passavano infinite varietà di pesci. Sofia guardò giù. Era una sensazione stranissima. Lei era immersa nel buio, come nascosta e lì sotto, illuminate dalle lampade, c’erano mante, pesci di ogni tipo, le grandi pareti di corallo rosso.

Tancredi si spogliò e si tuffò anche lui nella piscina, poco dopo era accanto a lei che gli sorrise.

«Se potessi raccontarlo a qualcuno comunque non mi crederebbe.»

«Ti piace?»

«È incredibile. Come ti è venuto in mente…»

«Non so, ci ho sempre pensato, ma ho sempre creduto che non si potesse fare, poi un ingegnere mi ha convinto del contrario.»

«E come?»

«Mi ha detto: “Se l’ha sognato allora è possibile”.»

«E una bella filosofia.»

«Sì, ma non vale per tutto.»

In quella frase c’era una strana tristezza, ma prima che Sofia potesse chiedere ancora qualcosa, Tancredi le si avvicinò. Erano in un angolo della piscina, vicino al mare aperto. Sotto di loro c’era un lungo sedile di cristallo. Tancredi la prese per i fianchi, la portò a sé e la baciò di nuovo. Le loro gambe si sfiorarono. Le accarezzò il seno. Sentì il suo capezzolo piccolo ma turgido, poi lentamente andò ancora più giù. Sofia aprì le gambe permettendogli di scendere ancora. Iniziò ad accarezzarla lentamente, la sentì tremare, si eccitava sempre di più al tocco delle sue dita. Allora anche Sofia lo accarezzò. Sentì i muscoli delle sue braccia, il petto asciutto, forte, la pancia piatta, gli addominali. Scese ancora più giù e lo trovò pronto, eccitato, duro. Cominciò ad accarezzarlo. In poco tempo i loro baci si trasformaro-no in sospiri sempre più forti, appassionati. Tancredi si spostò su di lei, le allargò le gambe e piano piano, dolcemente la penetrò. Lei gli strinse le gambe intorno alla vita, si aggrappò con le braccia ai bordi della piscina, mentre lui teneva le sue gambe e spingeva dentro di lei sempre più giù, con forza ma senza fretta. Per la prima volta da quando stava con Andrea, un altro uomo. E lo sentiva muoversi sopra di sé, dentro di lei, stringeva le sue gambe, affondava le sue dita nella schiena più giù, ancora più giù sui suoi glutei, su quei muscoli forti che si contraevano e spingevano dandole piacere.

Sofia abbandonò la testa indietro, il suo seno affio-rava fuori dall’acqua, illuminato dalla luce della luna, Tancredi le baciava i capezzoli mentre continuava a spingere, poi mise le mani sotto le cosce, le stringeva con forza continuando a baciarle il seno, il collo, la bocca. Sofia sospirava sempre di più, completamente abbandonata, travolta dalla passione, sentendolo dentro di lei, sempre più forte, con lo stesso ritmo, instancabi-le, alla fine non ce la fece più.

«Sto venendo.» E come sentì quelle parole, insieme a lei venne anche lui.

Rimasero così, come boccheggianti d’amore, bagnati di tutto, di mare, uno addosso all’altro, in silenzio, sentendo i loro respiri affannati. Intorno e sotto di lo-ro, l’oceano. In quell’angolo della grande piscina due corpi nudi uno sopra l’altro ancora caldi d’amore. Poi Sofia tirò su la testa e lo guardò. Lui le accarezzò il viso spostandole i capelli bagnati. La baciò, un bacio lento, morbido, fatto d’amore. Quando Sofia si staccò, non riuscì più a resistere. Quella domanda che aveva dentro da quel giorno, da quando aveva scoperto i suoi soldi, il suo potere, uniti alla sua bellezza.

«Perché proprio io? Per cinque milioni di euro avresti potuto avere chiunque, donne molto più belle di me.»

Tancredi sorrise. «Forse perché mi sono fatto in-fluenzare da quell’ingegnere. Perché l’ho sognato… Il guaio è che era un sogno a occhi aperti.»

Poco dopo fecero la doccia calda insieme, si asciuga-rono e si infilarono negli accappatoi, si misero su uno dei grandi lettini matrimoniali con il materasso in spugna. Tancredi aprì un Cristal gelato che tirò fuori da un frigorifero scuro, incassato nella roccia, riempì due flûte. Cominciarono a sorseggiarlo, ridendo, scherzando, parlando di ricordi della scuola e di qualche viaggio all’estero fatto da ragazzi. Nei racconti si trovarono vicini, non così distanti come sarebbe potuto essere.

Poi il seno di Sofia troppo scoperto. Un suo sguardo malizioso, quell’ultimo sorso di champagne, lo sfiorarsi delle gambe. Tancredi infilò la mano sotto il suo accappatoio.

«Sei di nuovo bagnata.»

«Anche tu non scherzi.»

E ora senza pudore, come se si conoscessero da sempre, cominciarono ad accarezzarsi guardandosi negli occhi, guardando il sesso dell’altro, curiosi, volutamen-te provocanti. Tancredi le allargò le gambe e cominciò a leccarla senza fermarsi, lei gli infilò le mani tra i capelli, spingendo la testa ancora più giù, cercando di fermarlo quando ormai stava per venire.

Poco dopo lui fu di fronte a lei, ancora eccitato, lei cominciò ad accarezzarglielo, guardandolo lo tirò a sé, lo prese in bocca, leccandoglielo lentamente poi più forte, fino in fondo, quasi ingoiandolo. Tancredi allora si staccò da lei e la prese di nuovo. Cominciò a scoparla lentamente, poi sempre più veloce, sentendo che si stava eccitando di nuovo. Poi scivolò di lato e la fece salire su di lui senza sfilarsi da sotto. Sofia continuò a muoversi sopra di lui, calda, eccitata, sempre di più, sempre più veloce fino a quando, con qualche grido, venne di nuovo insieme a lui. Si accasciò sopra Tancredi sudata, ancora calda, ancora eccitata e sorpresa dalla serata.

«Non ci posso credere. Ma era l’aragosta o hai messo qualcosa nello champagne?»

Tancredi le sorrise. «Cinque giorni. Solo cinque giorni. Non me ne chiedere uno di più.»