Più tardi andarono in camera di Sofia. Fecero di nuovo l’amore e in modo ancora più spinto e selvaggio, senza limiti, senza vergogna, di nuovo stranamente af-famati, conoscendosi meglio, scoprendo novità. Lui la prese da dietro e lei glielo disse.

«Così, continua, ancora, più dentro, fammi godere anche così.»

Mentre si accarezzava da sola veniva insieme a lui.

Si addormentarono quasi all’alba. Quando Sofia si svegliò, era mezzogiorno ed era sola. Andò in bagno, sorrise allo specchio e alzò un sopracciglio ripensando a tutti i momenti della sera prima. Poi accese il computer.

Incredibile. Il suo sito era pieno di commenti. Tutti di complimenti per l’ottimo concerto e perfino qualche sua breve risposta. Lesse qualche commento che portava la sua firma e si sorprese per come avessero scelto le parole. Avevano scritto esattamente come avrebbe fatto lei. Ormai non si sorprendeva più. Guardò il meteo sul computer e capì che non poteva più aspettare.

Era arrivato il momento. Tolse il cellulare dalla borsa e compose il numero. Al secondo squillo Andrea rispose.

«Amore! Pensavo che non mi chiamassi più. Com’è andata ieri?»

«Benissimo.»

«Be’, brava perfetto! E pensare che dovevi anche essere stanca del viaggio! Sono andato in internet e ho letto un sacco di commenti. Sei anche riuscita a rispondere a qualcuno… prima di chiamarmi.»

«Lo so… Ma li ho scritti stando a letto mentre facevo colazione, ho pensato che magari ancora dormivi.»

«Sì! Fino a mezzogiorno?!?»

«Be’, non ci sono io, magari te ne approfitti.»

«Ma che dici! Piuttosto, ho visto che hai fatto anche un bis alla fine!»

Quello Sofia non l’aveva considerato. Corse verso il computer, trovò nell’angolo la scheda della serata, l’aprì e la lesse velocemente, e proprio in fondo trovò il racconto del bis: Bach, la Giga della Toccata in Mi Minore.

«Sì…» riprese fiato. «Ho fatto la Giga.»

«Bene, sono proprio contento per te, hai visto che non eri poi così arrugginita?»

Parlarono ancora per alcuni minuti, qualche notizia sulla casa, qualcuna sul lavoro di Andrea, poi Sofia decise di chiudere. «Be’, ora ti saluto che tra poco ho le prove del pomeriggio.»

«Ok. Ci sentiamo quando puoi.»

«Sì, amore, a dopo.»

Chiuse il cellulare e rimase a fissarlo. Incredibile, zero senso di colpa. “Come mai? È perché la sento una specie di missione? Be’” sorrise, “non è che ti sia costato poi così tanto come sacrificio!” Si sorprese di quella strana ironia proprio su se stessa e anche del fatto che avesse voluto chiudere presto con Andrea.

Di solito parlavano a lungo e lei gli raccontava sempre molte cose, lo rendeva partecipe di tutto quello che le capitava. Certo, questa volta non è che avrebbe potuto raccontargli proprio tutto. E si ritrovò di nuovo a prendersi in giro. No. La verità era un’altra. Aveva voglia di fare colazione. E soprattutto, dopo quella notte, di rivederlo.


«Buongiorno, dormito bene? Ti ho lasciato riposare…»

Sofia si sedette di fronte a lui e gli sorrise da dietro gli occhiali da sole. «Benissimo, grazie. Ho un po’ fame però…»

Tancredi le mostrò quello che c’era sulla tavola. «Ho fatto preparare per te degli ottimi croissant francesi, uova strapazzate, spremuta d’arancia, caffè scuro e latte fresco… Macedonia di frutta, ananas, pesca, mango, kiwi.»

«Mmm… Non resisto più.» Cominciò a mangiare.

«Sono buonissimi.» Lo disse con la bocca piena.

Tancredi si mise a ridere. «Te l’ho detto che non dico bugie.»

Poi le versò del caffè e ci aggiunse del latte. «Lo vuoi più chiaro?»

«No, no, va benissimo così. E niente zucchero, per favore.»

Tancredi sorrise. «Lo so. Solo zucchero di canna.»

«Ah, già, dimenticavo.» Continuò a mangiare, divorò l’ananas e il mango, assaggiò le uova e le accompagnò con dei piccoli triangoli di pane tostato che un cameriere aveva poggiato sul tavolo.

«Sono ancora caldi.»

«Grazie.»

Vicino c’era del burro francese leggermente salato.

Sofia lo spalmò su quel pane ancora caldo e poi diede un gran morso.


Tancredi la osservava divertito, ammirandola mentre mangiava.

«Mmm… Veramente buono. È un sogno qui…»

«Tu sei un sogno. Ed è uno spettacolo vedere una donna che mangia con così tanto gusto.»

«Mmm vero…» Si leccò addirittura le dita, metten-dosele in bocca, giocava apposta a fare la ragazzina vi-ziata e nello stesso tempo sensuale.

Tancredi si appoggiò alla sedia. «Si dice che da come una donna mangia si capisce anche come si comporta a letto…»

Sofia rise. «Dopo ieri sera c’è qualcosa che ancora non ti è chiaro?»

Tancredi la fissò intensamente. «Ci ho pensato tutta la mattina, alcune cose mi sono sembrate un po’ com-plicate, vorrei riprovare qualche passaggio. Mi viene il dubbio d’averle sognate…»

Sofia fece per prendere un altro po’ di caffè ma Tancredi fu più veloce, prese il bricco e glielo versò.

«Grazie… Be’ potrebbe essere, sei un grande sognatore.»

«Quando è possibile, perché no?»

«E se un sogno diventa un incubo?»

«Mi sveglio.»

«Riesci sempre a essere così controllato? A gestire i tuoi sentimenti?»

«Credo di sì. Forse non ho mai corso questo rischio.»

Rimasero in silenzio. Poi Sofia si tolse gli occhiali. «E

non mi stai mentendo.»

«Te l’ho detto.» I suoi occhi sembravano sereni co-me quel mare piatto e azzurro davanti a loro. «Non dico bugie.»

«Sì. È vero. Ti credo, anche perché non ne hai bisogno.»

Assaggiò un po’ di ananas. «Ecco, sei talmente indipendente in tutto, che sei uno dei pochi al mondo che può permettersi il lusso di non dire bugie.»

«Non capisco se mi stai prendendo in giro.»


«Assolutamente no. È quello che sto pensando e sai cosa mi viene in mente?»

«Cosa?»

«Che deve essere terribile stare con te.»

«Perché?» Lo chiese con tono divertito. «Non sei stata bene ieri? Ho sbagliato in qualcosa? Dimmelo!

Cercherò di migliorare nei prossimi giorni.»

«Che sono quattro…»

«Sì, nei prossimi quattro giorni.»

«Sei talmente ricco…»

«E allora? E questo il problema?»

Sofia alzò le spalle. «Non saprei cosa regalarti. Io amo fare i regali! Hai tutto.»

Tancredi l’abbracciò e le tolse gli occhiali. «Non è ve-ro. Mi hai fatto il regalo più bello. Sei qui.» Poi la baciò.

I quattro giorni seguenti furono pieni, divertenti, curiosi, inaspettati. Non litigarono mai. Fecero l’amore sempre. Parlarono spesso. Del più, del meno, di tante cose buffe che avevano vissuto, di amici, di viaggi, delle prime storie d’amore. Si conobbero un po’ di più. Andarono a pesca accompagnati da uno dei migliori pescatori dell’isola. Sofia fu così fortunata da prendere quasi subito un pesce con il bolentino.

«Ho paura, tira da morire…»

«Non lo perdere, non lo perdere!»

Riuscirono a tirarlo sulla in barca. Era un grosso raa-hi-mahi. «Attenta, stai lontana.» Se ne occupò subito il pescatore che lo mise nella cesta. La sera il cuoco fece preparare un gran pentolone sulla spiaggia, insieme al mahi-mahi e a qualche altro pesce, ci mise dentro gran-chiolini e cozze. Bollì il tutto e lo condì con olio, pepe e zafferano. Sofia quando l’assaggiò chiuse gli occhi.

«Non ci posso credere, è fantastica.»

«Il pesce che hai preso tu è quello che la rende così saporita.»

«Allora sono brava sul serio!»


Continuarono a mangiare bevendo un ottimo Mon-trachet di Romanee Conti, per secondo assaggia-rono dell’aragosta al vapore con delle salse delicatissime e un filetto di coda di rospo con salsa d’arancia. E alla fine, quando tutti avevano abbandonato l’isola, rimasero a chiacchierare sulla torre bevendo dello Château d’Yquem.

«Posso farti una domanda?»

«Certo.»

«Che sensazione si prova a poter avere tutto?»

«Come fai a dire che ho tutto? Magari io ti vorrei per sempre e invece per quello non ci sarebbe prezzo.»

«È una domanda?»

«No. Perché conosco già la risposta.»

Sofia lo guardò. «Cosa è accaduto?»

«In che senso?»

«Di solito le persone ricche come te uno le immagina al quarto matrimonio, sta già finendo anche quello, c’è un’altra donna pronta, molto più giovane delle precedenti e così via. Hanno ottant’anni e li ritrovi sui giornali, pronti a sposarsi una ventenne. Invece in te c’è qualcosa che stona, non sembri uno così.»

«Ho incrinato le tue certezze?»

«Acceso la mia curiosità.»

«Vuoi una favola?»

«No, la semplice verità. Se me la puoi raccontare.»

«Diciamo che sono arrivato a una conclusione, forse sto meglio da solo.»

«Non credo. Questa volta stai mentendo anche a te stesso. Pensa come sarebbe bello invece dividere tutto quello che hai con una donna… Divertirti con lei, magari avere dei figli e divertirti anche con loro. Fare le cose più semplici. Tu hai un sacco di gente intorno che fa tutto per te, ma pensa quanto deve essere bello invece saper fare qualcosa e un giorno spiegarla a un figlio.

Ecco, per esempio, insegnargli a pescare…»


«È una proposta?»

«Lo sai che sono sposata.»

Rimasero un po’ in silenzio. Poi lui le fece la domanda più difficile.

«E tu sei felice?»

E lei trovò l’unica risposta possibile.

«Per adesso non ci sto pensando.»

La mattina dopo fecero un po’ di snorkeling nell’acqua bassa, divertendosi a pescare qualche stella marina, delle grandi conchiglie, giocando con un cavalluccio marino. Sofia lo seguì incuriosita dal suo strano modo di nuotare, arricciava e stendeva la coda.

«Non l’avevo mai visto!»

Fecero sci d’acqua. Poi girarono in bicicletta, il pomeriggio presero il tè con degli ottimi biscotti al burro inglesi.

«Secondo me, sto mettendo su dei chili!»

«Sei comunque bellissima.»

«Come comunque?! Allora è vero! È drammatico.»

«Va bene, mi sacrifico. Ne vuoi perdere un po’ ora?»

Fecero l’amore al tramonto sulla torre, lì dove non potevano essere visti da nessuno e più tardi, di notte, dopo un bagno sotto la luna, lo fecero sulla spiaggia, quando non c’era più nessuno che potesse vederli.

Poi arrivò l’ultimo giorno.

Era andato tutto benissimo, i commenti sul sito, le foto degli altri concerti, le telefonate a casa. Andrea non sospettava nulla. Si erano sentiti poco, solo una telefonata verso le, ma era normale, era molto impegnata.

Uscirono in barca a vela e fecero il giro dell’isola. La casa vista dal mare era bellissima.

Poco dopo tornarono a terra, attraccarono la barca, scesero sul pontile e camminarono in silenzio fino a raggiungere un tavolo che Tancredi aveva fatto preparare all’interno della foresta, vicino al lago. Pranzarono lì mangiando degli ottimi tagliolini all’astice accompagnati da un buon Sancerre Edmond. Poi Sofia saltò il secondo e prese un dolce, un parfait. Il cuoco superò se stesso.

«È veramente da sogno. Non è possibile.»

Ne assaggiò un altro pezzo, poi rimase a occhi chiusi con il cucchiaino in bocca, girandolo come fosse un lecca lecca. «Secondo me ci mette dentro della droga particolare!»

Tancredi rise. «Prendine un altro.»

«Manon posso!»

«Ormai…»

«Ormai cosa?»

«Ormai quel che è fatto è fatto. Neanche le mie cure sono riuscite a limitare i danni!»

Sofia sbuffò, poi si mise le mani sui fianchi. «Ok! Hai ragione. Posso averne un altro?»

In poco tempo divorò anche il secondo. «È già finito, non vale! Ma io mi posso portare via il cuoco?»

«Sì. Potresti. Ma ti ricorderebbe sempre questi cinque giorni e tu non lo vorrai.»

Rimasero in silenzio.

Comparve il cuoco. «Bene, signori, posso servirvi qualcos’altro?»

Sofia si alzò. «No grazie. È stato tutto perfetto.»

Quella volta fu lei a prendere Tancredi per mano.

Si incamminarono verso la casa. Fecero l’amore in silenzio. Teneramente. Tancredi la guardava, lei teneva gli occhi chiusi, poi li aprì e quando lo guardò divennero avidi, selvaggi, come se ci fosse disperazione in quell’atto, come se tutto quel sesso comunque non bastasse. Si morsero. Come se quei segni potessero trattenere qualcosa che ormai piano piano si stava consumando.


Poco più tardi un elicottero passò sull’isola mentre loro sudati, sdraiati su quel letto, uno accanto all’altra, guardavano il mare. Tancredi le accarezzava il fondo della schiena, giocava con quelle due piccole fosset-te che segnavano l’ultimo confine. Poi fece un lungo respiro e glielo sussurrò piano all’orecchio, come una preghiera.