Stefano si era offerto di accompagnare ogni pomeriggio Andrea a fisioterapia. Stefano il buono o Stefano che in qualche modo si sentiva in debito? Era forse merito della storia finita tra Lavinia e Fabio? Lavinia e Stefano di quel tradimento non avevano mai parlato, era come se non fosse mai esistito, avevano fatto finta di niente. La coppia %

era tornata unita come prima, più di prima, felici come sempre. Sofia si guardò intorno nel salotto, vide alcune foto delle loro vacanze, quella del suo matrimonio, poi il girello. “È così che voglio la mia vita? Questa seconda occasione per Andrea vuol dire qualcosa di diverso anche per me?”

Ripensò a sua madre, a quando era andata nel parco con quella valigia, illusa d’amore, pronta a partire.

E perché non l’aveva fatto? Perché lui era sposato e amava sua moglie. Ma è necessario essere sempre così sicuri, bisogna avere per forza delle certezze per abbandonare ciò che non ci piace della nostra vita, per averne una semplicemente bella? Ecco, una vita bella. Ma è lei che improvvisamente sceglie di farsi bella per te o te la puoi costruire? E senza volerlo si ricordò le ultime parole di Andrea, uscite così per caso. Le tornarono in mente, come un’eco, rimbombarono nella sua testa, improvvisamente stonate rispetto a tutta quella storia. “E

poi quando mi è arrivata quella newsletter e ho saputo di questo professore…” Ma come? Aveva sempre detto di aver trovato tutto lui, di esserne venuto a conoscenza navigando su internet. Allora Sofia prese il computer.

Cos’era quella novità della newsletter? C’era solo una persona che avrebbe potuto aiutarla.

«Cioè? Non facciamo lezione ma ti devo risolvere questo?»

Jacopo Betti, il dodicenne fissato con la tecnologia guardò sorpreso Sofia.

«Sì, entro stasera però. Lo devo riportare a casa.»

«Ok… Ci sto. Tra due ore massimo sarò qui.»

Sofia continuò la lezione con la giovane Alessandra, una piccola promessa a modo suo, se non altro nel saper fare della musica classica una vera e propria moda.

«Vorrei essere un po’ come Giovanni Allevi.»


«Cioè?»

«Lui è un genio, fa finta di non capire nulla, così può dare le risposte più sconclusionate e nello stesso tempo guadagna un sacco di soldi facendo ciò che più gli piace! Come dice mio fratello, il vantaggio di essere intelligenti è che si può sempre fare gli stupidi!»

Sofia rise.

«Ma non credi che la sua possa essere semplicemente una grande passione?»

Alessandra alzò le spalle.

«Mah, non so. Ormai è proprio poca la gente che fa qualcosa in maniera sincera.»

Sofia la guardò meglio. Undici anni ed era già così disincantata. Com’era lei a undici anni? Amava la musica e basta, ascoltava i dischi di classica, li suonava al pianoforte, cercava disperatamente di ripetere a orecchio concerti impossibili. Si divertiva, a undici anni. A undici anni era sincera.

Poi anche quella lezione finì.

Sofia rimase da sola nella stanza, quando sentì bussare. Aprì la porta curiosa.

«Ciao, ti volevo salutare.» Era Olja.

«Vai a casa?»

«Sì, ma a casa mia. Torno in Russia.»

A Sofia si strinse il cuore. Per lei era stata molto più di un’insegnante. Si accorse che stava per piangere, accadeva troppo spesso in quell’ultimo periodo.

Olja le prese la mano e la strinse.

«Non fare così. La Russia è vicina. Hanno inaugu-rato da poco un nuovo treno, per adesso si chiama il ” “. È come il vecchio Orient Express. Io parto con quello e tu potrai raggiungermi quando vuoi. Se poi insisti e vuoi per forza ricominciare a suonare, be’, non sarò certo io a impedirtelo, anzi, sarò molto felice di farti…»

«Da maestra.»


«Sì, da maestra.»

E si sorrisero così, come due amiche e quella differenza d’età non si notò, si vedeva solo un grande amore.

Sofia, rimasta da sola, fece alcuni accordi al pianoforte, tanto per ingannare il tempo, poi si accorse che era tardi e uscì per strada. Iniziò a scendere le scale quando lo vide arrivare di corsa.

«Ehi, prof, scusa ma non è stato facile.»

Jacopo Betti era tutto sudato con il suo computer sottobraccio. «Ecco qua! È tutto qui.»

Le passò un foglio. Jacopo la guardava soddisfatto.

«Martin Jay è il miglior hacker di tutta Europa, secondo me anche del mondo! Se è stato difficile per lui, vuol dire che era impossibile per chiunque altro. Ha trovato chi ha mandato quella newsletter, c’è segnato il nome su quel foglio. Se hai bisogno di altro, io ci sono sempre.»

Le sorrise e se ne andò così, con i pantaloni un po’

calati, uno strano mix di ragazzo, tra il rapper e l’hacker, obbligato dai genitori a cimentarsi con Chopin.

Sofia aprì il foglio e quando vide il nome vacillò: “Nautilus”. La società all’interno del palazzo dell’avvocato Guarneri.

Allora erano stati loro a suggerire l’operazione, loro avevano spedito la mail all’indirizzo di Andrea, e forse erano stati proprio loro a fare quel prezzo. Cinque milioni di euro sarebbe stato impossibile per tutti ma quello sarebbe stato anche il suo punto debole, solo così lei avrebbe ceduto e sarebbe stato possibile comprarla.

Ma perché Andrea aveva detto di aver trovato la notizia di quell’operazione navigando su internet? Perché non le aveva detto che aveva ricevuto una newsletter? Una distrazione o una bugia? Quindi anche Andrea sapeva?

E cosa sapeva? Aveva capito tutto e lo aveva accettato?

Ma se Sofia lo aveva fatto per amore di Andrea, lui aveva finto solo per se stesso e le sue gambe. Lei era stata comprata ma era stato lui ad averla venduta.


T

Si sentì come travolta, verità nascoste, apparenti, tutto e il contrario di tutto. E in quel momento nulla le fu più chiaro, ma le rimase un’unica certezza: voleva una vita bella.

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Era dall’altra parte della strada. Erano passati diversi mesi da quei cinque giorni. Non l’aveva più sentita.

Non l’aveva più cercata. Ma dal suo cuore, dalla sua mente non si era allontanata un attimo.

Aveva guardato e riguardato quelle foto, consumato quelle immagini, visto e rivisto quei filmini. Era affa-mato di lei e, quando la vide sbucare dall’angolo in fondo alla strada, gli mancò il respiro. Il cuore cominciò a battergli forte, sempre più forte, così forte che quasi soffocò.

Sofia camminava veloce, un cappotto lungo, spinato grigio, con delle grandi tasche dove aveva infilato le ma-ni. Una borsa a tracolla sulla spalla sinistra. Sotto portava dei pantaloni grigi, gessati larghi, con degli stivali ‘neri, una dolcevita color panna. I capelli erano in parte raccolti. Bella. Sfacciatamente bella e disinvolta. Allora compose il numero e si rintanò in quel portone lì vicino, nella penombra. Dall’altra parte della strada Sofia si fermò. Aprì la borsa e frugò in mezzo alle sue cose fino a trovarlo. Poi vide quel numero. Non l’aveva mai cancellato. Anzi l’aveva registrato dandogli semplicemente un punto interrogativo al posto del nome. Allora rimase ferma, immobile. Chiuse gli occhi, poi fece un sospiro.

Aspettava da tanto quella telefonata. Avrebbe voluto non riceverla ma sapeva che sarebbe arrivata. Poi aprì il telefono. Rimase in silenzio. Sentiva il suo respiro.

Tancredi in fondo alla strada, lontano da lei, nella penombra di quel portone, la stava guardando. Lui sorrise e poi le parlò.

«Stavo… Stavo pensando a te.»

Sofia continuò a rimanere in silenzio.

«Stavo pensando a quanto mi sei mancata. Ma non in questo ultimo tempo. Sempre. Stavo pensando a come potremmo essere felici, a come sarebbe bello essere una coppia qualunque, perfino annoiarci su un divano, ma-no nella mano, davanti alla tv. Stavo pensando a come sarebbe bello discutere, decidere dove andare in vacanza, non essere d’accordo magari e come sarebbe bello dartela vinta… Oppure no.»

Sofia sorrise. Tancredi la vide da lontano e continuò.

«Stavo pensando che avevi ragione. Ho scoperto che Claudine non si è uccisa per colpa mia e, per quanto questo sia possibile, sono più sereno. Ho perso tanto tempo. E per me è stato tutto sempre molto difficile ma alla fine capisco di essere stato fortunato… Ti ho sentito suonare.»

Sofia abbassò la testa. Mosse i piedi imbarazzata. Poi continuò ad ascoltare. «Ma la cosa più importante è che ho voglia di amare e ho voglia di amare te.» Sofia continuò a restare in silenzio. «Ti aspetterò al bar sotto la chiesa, dove ci siamo conosciuti, lì dove non sei voluta venire a prendere un aperitivo la prima volta che ci siamo visti. Ti aspetterò questa sera… sarò lì dalle. Per tutta la notte invece ci sarà un aereo che ci porterà dove vuoi tu.»

Sofia fece un lungo sospiro. E lui capì che era come se gli avesse detto: “Non vuoi dirmi nient’altro?”.

Allora semplicemente aggiunse: «Ti amo».

E chiuse la telefonata.

Sofia girò su se stessa e tornò a casa.

Andrea fu sorpreso nel rivederla. «Ciao! Ma sei di ritorno così presto?»

«Sì, avevo dimenticato una cosa.» Andò in camera sua e aprì un cassetto, prese il passaporto e se lo mise in tasca.

Quando tornò in salotto Andrea era lì, felice come non mai. «Guarda…» Alzò le mani staccandole dal girello, portò il peso in avanti e fece un passo, poi un altro e infine un terzo, piegando le gambe e distendendole di nuovo. «Ce la faccio! Ce la faccio!»

All’improvviso però stava per cadere, allora afferrò il girello appena in tempo con tutte e due le mani, scivolò in avanti, ma si tenne forte e riuscì a recuperare le gambe e a ritrovare di nuovo l’equilibrio.

Sofia sorrise. «Bravo, stai facendo dei grandi miglioramenti, stai accelerando i tempi.»

«Sì, è incredibile, sono così felice, anche a fisioterapia me lo dicono…»

Solo allora si accorse che Sofia lo guardava quasi senza ascoltarlo, che il suo viso aveva una velata tristezza ma anche una nuova luce e in quell’attimo capì.

«Stai uscendo di nuovo?»

Sofia fece segno di sì con la testa, poi lo guardò, gli sorrise, si avvicinò, gli diede un bacio sulla guancia e uscì dal salotto. Avrebbe voluto chiederle: “Ma torni, vero?”.

Non fece in tempo, sentì la porta di casa chiudersi.

Lei, che di solito chiamava l’ascensore, scese giù veloce per le scale, come se avesse voluto scappar via da quella casa il più presto possibile, come se potesse ancora una volta ripensarci e magari tornare indietro. No. Non più.

Sofia uscì di corsa per strada, fece un respiro lungo, guardò in alto, verso il cielo, i suoi occhi erano pieni di lacrime ma felici, mise le mani in tasca e cominciò a camminare veloce. Doveva fare in fretta.


Tancredi era in quel bar, seduto a un tavolo.

Aveva preso il secondo cappuccino. Raschiò sul fondo quel poco di schiuma rimasta, se lo portò in bocca.

Era amaro, il sapore di quel caffè, nascosto tra quella schiuma ormai fredda.

Guardò l’orologio. Erano le.. Era in ritardo.

Una donna è quasi sempre in ritardo. In quel momento il telefono squillò. Lo prese dalla tasca della giacca e lo aprì di corsa, senza neanche guardare chi ci fosse dall’altra parte.

«Pronto?»

«Ciao…» Era suo fratello Gianfilippo. «Ti volevo di-re che ho preso una decisione importante.»

Ma era come se Tancredi non lo sentisse, era come se fosse distratto, come se non riuscisse a capire il signifi-cato di quelle parole. Non era certo quella la telefonata che stava aspettando.

«Ma hai capito cosa ti ho detto? Ti ricordi Benedetta, quella ragazza che ti ho presentato? Ecco, aspetta un bambino. Non sai come sono felice, forse perché inizia-vo a pensare che non sarebbe potuto accadere, che non mi aspettava una vita del genere, una famiglia e tutto il resto…»

Gianfilippo sentì uno strano silenzio.

«Tancredi? Ma ci sei? Mi stai ascoltando?»


Allora finalmente rispose.

«Sì. Ho sentito. E sono contento per te.»

Si scambiarono altre due chiacchiere, Gianfilippo gli raccontò che avevano deciso di sposarsi, della chiesa che avevano scelto e gli domandò perfino se voleva fargli da testimone. Ma Tancredi era lontano.

Gianfilippo se ne accorse. «Dai, ti sento distratto. Ci sentiamo presto però…»

«Sì, certo. E bello, ti sento molto felice.»

Allora chiusero la telefonata. Poi Tancredi guardò di nuovo l’orologio. Le.. È vero. Le donne sono sempre in ritardo. Ma lei non è una donna qualunque.

Allora senza chiedere il conto, lasciò dei soldi sul tavolino e fece per uscire.

Due ragazze in fondo al bancone lo guardarono, colpite dalla sua bellezza. Una delle due disse qualcosa all’altra che rise. Tancredi non ci fece caso, si tirò su il bavero del cappotto e uscì. Il vento muoveva gli alberi. Alcune foglie rosse per terra, come se si fossero messe improvvisamente d’accordo tra loro, si alzarono in un debole ballo, un breve girotondo, fecero un’in-