"Potresti fare Legge o Economia, come tuo fratello. Una

volta laureato ti potrei aiutare a trovare un posto."

Step si immagina vestito come suo fratello, nel suo ufficio,

con tutte quelle pratiche. Con la sua segretaria. Quell'ultima

idea per un attimo gli piace. Poi ci pensa meglio. In fondo può

sempre invitarla a uscire e continuare a non fare un cazzo.

"Non lo so. Non mi sento portato."

"Ma perché dici così? A scuola andavi bene. Non dovresti

avere problemi. Alla maturità hai preso settanta, non è anda-

ta male."

Step beve la birra appena arrivata. Sarebbe anche andata

meglio, se non ci fossero stati tutti quei casini. Dopo quella sto-

ria non ha più aperto libro. Non ha più studiato.

"Papa, non è quello il problema. Non lo so, te l'ho già det-

to. Magari dopo quest'estate. Adesso non mi va proprio di pen-

sarci."

"Cosa ti va di fare adesso, eh? Vai in giro a fare macello. Stai

sempre per strada e torni sempre tardi. Paolo me l'ha detto."

"Ma che t'ha detto Paolo se non sa un cavolo!"

"No, però lo so io. Forse era meglio se ti facevi un anno di

militare, che almeno ti inquadrava un po'."

"Sì, ci mancava solo il militare."

"Be', se sono riuscito a farti esonerare per farti stare per stra-

da e continuare a fare a botte, allora era meglio se partivi."

"Ma chi ti dice che faccio a botte... A papa, ma sei fissato!"

"No, sono spaventato. Ti ricordi cosa ha detto l'avvocato

dopo il processo? Suo figlio deve stare attento. Da questo mo-

105

mento qualunque denuncia, qualunque altra cosa succeda,

scatta automaticamente la decisione del giudice."

"Certo che me lo ricordo, me l'hai ripetuto almeno venti

volte. A proposito, l'hai più visto l'avvocato?"

"L'ho visto l'altra settimana. Ho pagato l'ultima parte del-

la parcella."

Lo dice con un tono pesante come a sottolineare che è sta-

ta sicuramente molto costosa. In questo è proprio uguale a Pao-

lo. Stanno sempre a contare i soldi. Step decide di non farci

caso.

"Porta ancora quella cravatta tremenda?"

"No, è riuscito a mettersene una ancora più brutta."

Il padre sorride. Tanto vale fare il simpatico. Con Step non

serve a niente la linea dura.

"Ma dai, mi sembra impossibile. Con tutti i soldi che gli

abbiamo dato..." Step si corregge. "Scusa papa, che gli hai da-

to, si potrebbe comprare qualche bella cravatta."

"Se è per quello potrebbe rifarsi il guardaroba..."

La cameriera porta via i piatti e torna con il secondo. È una

bistecca al sangue. Per fortuna non è collegata a nessun ricor-

do. Guarda suo padre. È lì, piegato sul piatto a tagliare la car-

ne. Tranquillo. Non come quel giorno. Tanto tempo fa, quel

terribile giorno.

Stessa stanza. Il padre cammina su e giù, veloce, agitato.

"Come 'Perché sì! Perché mi andava'? Ma allora tu sei una

bestia, un animale, uno che non ragiona. Io ho per figlio un

violento, un pazzo, un criminale. Hai rovinato quel ragazzo.

Te ne rendi conto? Potevi ucciderlo. O non ti rendi conto nep-

pure di questo?"

Step sta seduto con lo sguardo basso senza rispondere. L'av-

vocato interviene:

"Signor Mancini, ormai quel che è successo è successo. È

inutile sgridare il ragazzo. Io credo che dei motivi, anche se

nascosti, ci siano stati".

"Va bene avvocato. Allora mi dica lei: cosa dobbiamo fa-

re?"

"Per organizzarci per la difesa, per poter rispondere in tri-

bunale, dovremmo scoprirli."

Step alza la testa. Ma cosa sta dicendo? Cosa sa? L'avvoca-

to guarda Step con comprensione. Poi gli si avvicina.

"Stefano, ci sarà stato qualcosa. Uno screzio passato. Un

litigio. Una frase che questo ragazzo ha detto, qualcosa che ti

ha fatto... sì insomma, che ha scatenato la tua rabbia?"

106

Step guarda l'avvocato. Ha una terribile cravatta a losan-

ghe grigie su fondo laminato. Poi si gira verso sua madre. È lì,

seduta su una sedia in un angolo del salotto. È elegante come

sempre. Fuma tranquilla una sigaretta. Step abbassa di nuovo

lo sguardo. L'avvocato lo guarda. Rimane un attimo a riflette-

re in silenzio. Poi si volta verso la madre di Step e le sorride in

maniera diplomatica.

"Signora, ha mai saputo se suo figlio ha avuto qualcosa a

che fare con questo ragazzo? Se hanno mai avuto qualche di-

scussione?"

"No avvocato, non credo. Non sapevo neanche che si co-

noscessero."

"Signora, Stefano andrà in tribunale. È stato denunciato.

Ci sarà un giudice, una sentenza. Con le lesioni che quel ra-

gazzo ha riportato, saranno severi. Se noi non avremo niente

da ribattere... una prova, qualcosa, una minima ragione, suo

figlio finirà nei guai. Guai seri."

Step sta con la testa bassa. Si guarda le ginocchia. I suoi

jeans. Poi socchiude gli occhi. Oh Dio, mamma, perché non par-

li? Perché non mi aiuti? Io ti voglio così bene. Ti prego, non mi

lasciare. Alle parole della madre Step ha una stretta al cuore.

"Mi spiace avvocato. Non ho niente da dirle. Non so nulla.

Le pare che, se avessi qualcosa da dire, se potessi aiutare mio

figlio, non lo farei? E ora scusatemi, devo andare." La madre

di Step si alza. L'avvocato la guarda uscire dalla stanza. Poi si

rivolge per l'ultima volta a Step.

"Stefano, sei sicuro che non hai nulla da dirci?"

Step neanche gli risponde. Senza guardarlo si alza e va al-

la finestra. Guarda fuori. Quell'ultimo piano proprio di fronte

al suo. Pensa a sua madre. E in quel momento la odia, così co-

me l'ha tanto amata. Poi chiude gli occhi. Una lacrima scende

lungo la guancia. Non riesce a fermarla e soffre come non mai,

per sua madre, per ciò che non sta facendo, per quello che ha

fatto.

"Stefano, tieni, lo vuoi il caffè?" Step smette di guardare

fuori dalla finestra e si gira. Di nuovo nella stessa stanza. Ora.

Suo padre è lì tranquillo, con la tazzina in mano.

"Grazie papa." Lo beve veloce. "Ora devo proprio andare.

Ci sentiamo la prossima settimana."

"Va bene. Ci pensi alla storia dell'università?"

Step nell'ingresso si infila il giubbotto.

"Ci penserò."

"Telefona ogni tanto a tua madre. Ha detto che non ti sen-

te da tanto!"

107

"Ma papa, non c'ho mai tempo."

"Ma che ci vuole, solo una telefonata."

"Va bene, la chiamerò." Step esce di fretta. Il padre rima-

sto solo in salotto, si avvicina alla finestra e guarda fuori. Al-

l'ultimo piano in quell'attico di fronte al suo, le finestre sono

chiuse. Giovanni Ambrosini ha cambiato casa, così, da un gior-

no all'altro, proprio come ha cambiato la loro vita. Come può

avercela con suo figlio?

Step in ascensore si accende l'ultima sigaretta di Martinelli.

Si guarda allo specchio. È andata. Quei pranzi lo distruggono.

Arriva al pianoterra. Quando le porte d'acciaio si aprono, Step

che è sovrappensiero si prende un colpo.

La signora Mentarini, un'inquilina del palazzo con i capelli

malamente mesciati e il naso adunco, è lì davanti a lui.

"Ciao Stefano, come stai? È tanto tempo che non ti vedo."

E per fortuna, pensa Step. Un mostro così vederlo troppo

spesso fa male. Poi si ricorda di Steven Tyler e della fica be-

stiale che entra nel suo ascensore. A lui invece tocca la signo-

ra Mentarini. Ingiustizie del mondo. Si allontana senza salu-

tare. Nel cortile butta via la sigaretta. Fa una corsa veloce, bat-

te i piedi e buttando le mani a terra si tuffa in avanti. Non c'è

paragone. Il salto mortale lo fa molto meglio lui. D'altronde

Tyler ha cinquantacinque anni e lui solo diciannove. Chissà

cosa farà fra trent'anni. Una cosa è sicura: non il commercia-

lista.

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Pallina, con una tuta Adidas felpata bluette proprio come

l'elastico che le stringe il ciuffo, corre quasi rimbalzando sul-

le Nike chiare.

"Allora, non mi chiedi com'è andata?"

Babi, con una tuta scura bassa in vita con la scritta Danza

e una fascia rosa che le tiene i capelli, guarda l'amica.

"Com'è andata?"

"No, se me lo chiedi così, non te lo racconto."

"Allora non me lo raccontare."

Continuano a correre in silenzio, sempre allo stesso ritmo.

Poi Pallina non ce la fa più.

"Va bene, visto che ci tieni tanto, te lo dico lo stesso. Mi so-

no divertita da morire. Non sai dove mi ha portato."

"No, non lo so."

"E dai, non fare l'antipatica!" &

"Non condivido certe amicizie e basta."

"Ehi, ma ci sono uscita solo una volta, che sarà?"

"Può essere come vuoi, basta che sia l'ultima!"

Pallina rimane un attimo in silenzio. Un ragazzo dalla tu-

ta impeccabile le supera. Le guarda tutt'e due. Poi, anche se

sfinito, controlla un cronometro che ha in mano e per darsi to-

no aumenta l'andatura, sparendo lungo una stradina.

"Be', insomma, mi ha portato a mangiare in un posto fi-

chissimo. È vicino a via Cola di Rienzo, credo che sia via Cre-

scenzio, una traversa di quelle. Si chiama La Piramide."

Babi non mostra un interesse particolare.

Pallina continua a raccontare, un po' più affannata. "La co-

sa divertentissima è questa: in ogni tavolo c'è un telefono."

"Fino a qui non mi sembra molto interessante."

"Oh msomma, che noia che sei! Questi telefoni hanno un

numero che va, fai conto, da O a 20,"

"E tu come lo sai?" **? .... . . v,*, ,,

109

"C'è scritto sul menù."

"Ah, perché si mangia pure! Pensavo ti avesse portato alla

Telecom!"

"Senti, se vuoi che te lo racconto chiudi quella bocca da

srigata acida."

"Cosa?" Babi la guarda fìngendo stupore. "Sfìgata acida a

me? Ma se sono la più corteggiata della Falconieri! Hai visto

quello che è passato prima come mi guardava? Cosa credi, che

avesse gli occhi di fuori per te?"

"Certo!"

"Ma se si è accorto che eravamo in due è grasso che cola."

"Qui a colare è solo il mio sudore e non mi dona affatto.

Non potremmo sederci su quella panchina e chiacchierare nor-

malmente?"

"Non se ne parla proprio. Io corro. Devo perdere almeno

due chili. Se ti va di venire con me, bene, se no mi metto il

Sony. Tra l'altro c'è dentro l'ultimo ed degli U2."

"Sony? E da quando ce l'hai?"

"Da ieri!"

Babi si alza la felpa mostrando il walkman MP3 della Sony,

legato in vita. Pallina non crede ai suoi occhi.

"Ma dai! Con ed e radio. Ma dove l'hai preso? Qui in Italia

non si trova."

"Me l'ha portato mia zia che è tornata ieri da Bangkok."

"Favoloso."

"Come vedi, ti ho pensato."

Babi mostra a Pallina due cuffie.

"Se mi pensavi veramente te ne facevi portare due."

"Parli sempre a sproposito! Io gliene avevo chiesti due. Ma

mia zia ha finito i soldi e ne ha preso uno soltanto. Che ti im-

porta! Tanto questo ha due cuffie e noi corriamo sempre in-

sieme."

Pallina sorride all'amica. "Hai ragione."

Babi la guarda seria. "Lo so! Ma vuoi finire o no questa sto-

ria del telefono che si mangia?"

Babi e Pallina si guardano, poi scoppiano a ridere. Due ra-

gazzi le incrociano. Vedendole così allegre le salutano speran-

zosi. Il loro coraggio però non è premiato. Pallina riprende il

racconto.

"Allora, ogni telefono corrisponde a un numero, ma nes-

suno sa a quale. Quindi tu componi un numero da O a 20 ti ri-

sponde un altro tavolo ma tu non sai qual è. Per esempio, tu

fai il 18 e ti risponde uno che magari sta nell'altra stanza. Puoi