"Tenerone lui..."
"Ahia! Lasciatemi..."
E tutti gli altri addosso, ridendo come matti, soffocandolo
quasi con i loro muscoli anabolizzati. Poi Bunny, mostrando i
due grossi denti davanti che gli hanno regalato quel sopran-
nome, grida senza smentirsi: "Prendiamo Gloria".
Le Ali Star celesti, con la piccola stella rossa che centra il
rotondo di gomma sulla caviglia, scendono dalla Vespa e toc-
cano agilmente terra. Gloria fa solo due passi di corsa, ma vie-
ne subito sollevata dalla presa del Siciliano. I capelli biondi di
lei fanno uno strano contrasto con l'occhio scuro del Sicilia-
no, con il suo sopracciglio cucito malamente, con quel naso
schiacciato e morbido, privato del fragile osso da un bel di*
retto, qualche mese prima, nella cantina della Fiermonti.
"Lasciami, dai, smettila."
Subito Schello, Pollo e Bunny gli sono intorno e fingono
di aiutarlo a lanciare in aria quei cinquantacinque chili ben di-
stribuiti, stando attenti a mettere le mani nei posti giusti.
"Smettetela, dai."
Anche le altre ragazze si avvicinano al gruppo.
"Lasciatela stare."
"Hanno fatto gli infamoni, invece di festeggiare con noi?
Be', li festeggiamo adesso, a modo nostro."
Lanciano Gloria di nuovo in alto, ridendo e scherzando.
Dario, anche se è un po' più piccolo degli altri e regala ro-
se, si fa largo a spintoni. Prende per mano Gloria proprio men-
tre ridiscende, portandosela dietro le spalle.
"Adesso basta, piantatela."
"Perché sennò?"
Il Siciliano sorride e si piazza davanti a lui allargando le
gambe. I jeans leggermente più chiari sui grossi quadricipiti si
tendono. Gloria, appoggiata alla spalla di Dario, spunta per
metà. Fino a quel momento ha trattenuto le lacrime, ora trat-
tiene anche il fiato.
"Sennò che fai?"
Dario guarda il Siciliano negli occhi.
"Levati, che cazzo vuoi, stai sempre a fare il coglione."
Dalle labbra del Siciliano scompare il sorriso.
"Che hai detto?"
La rabbia gli fa muovere i pettorali. Dario stringe i pugni.
Un dito nascosto fra gli altri scrocchia con un rumore sordo.
Gloria socchiude gli occhi, Schello rimane con la sigaretta pen-
zolante nella bocca aperta. Silenzio. Improvvisamente un rug-
gito rompe l'aria. La moto di Step arriva rumorosa. Piega in
fondo alla curva e si tira su veloce, frenando poco dopo in mez-
zo al gruppo.
"Be', che si fa di bello?"
Gloria finalmente sospira. Il Siciliano guarda Dario.
Un leggero sorriso sposta ad altro tempo la questione.
"Niente, Step, si chiacchiera troppo e non si fa mai un po'
di movimento."
"Hai voglia di sgranchirti un po'?"
II cavalletto scatta come un coltello a serramanico e si pian-
ta in terra. Step salta giù e si sfila il giubbotto.
"Si accettano concorrenti."
Passa vicino a Schello e, abbracciandolo, gli toglie di ma-
no la Heineken che ha appena aperto.
"Ciao, Sche'."
"Ciao."
Schello sorride, felice di essere suo amico, un po' meno di
non avere più la birra.
Quando il viso di Step torna giù da un lungo sorso, i suoi
occhi incontrano Maddalena.
"Ciao."
Le morbide labbra di lei, leggermente rosate e pallide, si
muovono appena, pronunciando quel saluto a bassa voce. I
piccoli denti bianchi, tutti pari, si illuminano, mentre gli oc-
chi verdi, bellissimi, cercano di trasmettere tutto il suo amo-
re, inutilmente. È troppo. Step le si avvicina, guardandola
negli occhi. Maddalena lo fissa, incapace di abbassare lo
sguardo, di muoversi, di fare qualunque cosa, di fermare quel
piccolo cuore, che, come impazzito, suona un "a solo" alla
Clapton.
"Tienimi questo."
Si sfila il Daytona con il cinturino d'acciaio e lo lascia nel-
le sue mani. Maddalena lo guarda allontanarsi, poi stringe l'o-
rologio portandoselo vicino all'orecchio. Sente quel leggero
ronzio, lo stesso che ha ascoltato qualche giorno prima sotto
il suo cuscino, mentre lui dormiva e lei ha vissuto, passando
minuti in silenzio, a fissarlo. Allora però, il tempo era sembrato
fermarsi.
Step si arrampica agilmente sulla tettoia sopra Lazzareschi
passando sul cancello del cinema Odeon.
"Allora, chi viene? Che, vi ci vogliono gli inviti scritti?"
Il Siciliano, Lucone e Pollo non si fanno pregare. Uno do-
po l'altro, come scimmie con al posto del pelo giubbotti Avi-
rex, scalano con facilità il cancello. Arrivano tutti sulla tettoia,
per ultimo Schello, già piegato in due per riprendere fiato.
"Oh, io sono già distrutto, faccio l'arbitro" e da un sorso al-
la Heineken che è miracolosamente riuscito a non rovesciare
nella faticosa salita, per gli altri un gioco da ragazzi, per lui
un'impresa alla Messner.
Le sagome si stagliano nella penembra della notte.
"Pronti?" Schello urla alzando la mano veloce. Uno schiz-
zo di birra raggiunge lì sotto Valentina, una bella brunetta con
la coda alta, che si è messa da poco con Gianlu, un tipo basso
figlio di un ricco cravattaio.
"Cazzo!" le esce, creando un buffo controsenso con il suo
viso elegante. "Stai attento,no?"
Le altre ridono, asciugandosi gli spruzzi che le hanno rag-
giunte.
Quasi tutti insieme, una decina di corpi muscolosi e alle-
nati si preparano sulla tettoia. Le mani avanti e parallele, le
facce tese, i petti gonfi.
"Via! Uno!" urla Schello, e tutte le braccia si piegano, sen-
za fatica. Silenziosi e ancora freschi, raggiungono il freddo
marmo, non fanno in tempo a tornare su. "Due!" Giù di nuo-
vo, più veloci e decisi. "Tre!"
Ancora, come prima, più forte di prima. "Quattro!" Le lo-
ro facce, smorfie quasi surreali, i loro nasi, con delle piccole
grinze, vanno giù contemporaneamente. Scendono veloci, con
facilità, raggiungono quasi terra e poi di nuovo su. "Cinque!"
urla Schello dando un ultimo sorso alla lattina e lanciandola
in aria. "Sei!" Con una sforbiciata precisa la colpisce. "Sette!"
La lattina vola in alto. Poi, come lenta palomba, prende in pie-
no la Vespa di Valentina.
"Cazzo, ma allora sei proprio stronzo, io me ne vado." Le
amiche scoppiano a ridere.
Gianluca, il suo ragazzo, smette di fare le flessioni e salta
giù dalla tettoia.
"No, dai Vale, non fare così."
La prende fra le braccia e cerca di fermarla, riuscendoci
con un bacio morbido che interrompe le sue parole.
"Va bene, però digli qualcosa a quello."
"Otto!" Schello balla sulla tettoia muovendo allegro le mani.
"Ragazzi, già uno, con la scusa che la donna s'è incazzata,
ha mollato. Ma la gara continua."
"Nove!" Tutti ridono e, leggermente più accaldati, scendo-
no. Gianluca guarda Valentina.
"Che vuoi dirgli a uno così?" Le prende la faccia fra le ma-
ni. "Tesoruccio, perdonalo, non sa quello che fa." Mostrando
una discreta conoscenza religiosa ma una pessima pratica, vi-
sto che appoggiato alla Vespa di Valentina comincia a pacca-
re con lei, davanti alle altre ragazze.
La voce grossa del Siciliano con quell'accento particolare
del suo paese che gli ha dato, oltre alla pelle olivastra, anche il
soprannome, echeggia nella piazza.
"A Sche', aumenta un po', mi sto addormentando."
"Dieci!"
Step scende facilmente. La corta maglietta azzurra gli sco-
pre le braccia. I muscoli sono gonfi. Nelle vene il cuore pulsa
potente, ma ancora lento e tranquillo. Non come allora. Quel
giorno il suo giovane cuore aveva cominciato a battere veloce,
come impazzito.
4.
Due anni prima. Zona Fleming.
Un pomeriggio qualsiasi, se non per la sua Vespa nuova di
zecca, in rodaggio, non ancora truccata. Step la sta provando,
passa davanti al Caffè Fleming quando si sente chiamare:
"Stefano, ciao!".
Annalisa, una bella biondina che ha conosciuto al Piper, gli
viene incontro. Stefano si ferma.
"Che fai da queste parti?"
"Niente, sono andato a studiare da un mio amico e ora sto
tornando a casa."
È un attimo. Qualcuno alle sue spalle gli sfila il cappello.
"Ti do dieci secondi per andartene di qui."
Un certo Poppy, un tipo grosso più grande di lui, gli sta da-
vanti. Ha il suo cappello fra le mani. È di moda quel cappello.
A Villa Flaminia ce l'hanno tutti. Colorato, fatto a mano, dai
ferri di qualche ragazza. Quello lì gliel'ha regalato sua madre,
prendendo il posto di quella ragazza che ancora non ha.
"Hai sentito? Vattene."
Annalisa si guarda intorno e, capendo, si allontana. Stefa-
no scende dalla Vespa. Il gruppo di amici gli si avvicina. Si pas-
sano il cappello ridendo, fino a quando finisce in mano a Poppy.
"Ridammelo!"
"Avete sentito? È un duro. Ridammelo!" lo imita facendo
ridere tutti. "Sennò che fai eh? Mi dai una stecca? Dai, dam-
mela eh? Su dai."
Poppy si avvicina con le mani basse, portando la testa al-
l'indietro. Con la mano senza cappello gli indica il suo mento.
"Dai, colpiscimi qui."
Stefano lo guarda. Per la rabbia non vede più niente. Fa
per colpirlo, ma appena muove il braccio viene bloccato da die-
tro. Poppy passa al volo il cappello a uno lì vicino e gli sferra
un pugno sull'occhio destro aprendogli il sopracciglio. Poi quel
bastardo che lo ha bloccato da dietro lo spinge avanti, verso la
saracinesca del Caffè Fleming che, visto l'andazzo, ha chiuso
prima del previsto. Stefano sbatte con il petto contro la ser-
randa, facendo un gran botto. Gli arriva subito una scarica di
pugni sulla schiena, poi qualcuno lo gira. Si ritrova intontito
contro la serranda. Prova a coprirsi, ma non ci riesce. Poppy
gli mette le mani dietro al collo e reggendosi ai tubi di ferro
della saracinesca lo tiene fermo. Comincia a dargli delle ca-
pocciate. Stefano cerca di ripararsi come può, ma quelle ma-
ni lo bloccano, non riesce a levarselo di dosso. Sente il sangue
scendere dal naso e una voce femminile che grida:
"Basta, basta, smettetela, così l'ammazzate!".
Dev'essere Annalisa, pensa. Stefano prova a scalciare, ma
le gambe non riescono a muoversi. Sente solo il rumore dei
colpi. Non fanno quasi più male. Poi arrivano degli adulti, al-
cuni passanti, la proprietaria del bar. "Via, andate via." Allon-
tanano quei ragazzi strattonandoli, tirandoli per le magliette,
per i giubbotti, levandoglieli di dosso. Stefano si accascia len-
tamente, poggia la schiena contro la serranda, finisce seduto
sul gradino. La sua Vespa è lì davanti, a terra come lui. Forse
il cofanetto laterale si è ammaccato. Peccato! Ci stava sempre
attento, quando usciva dal portone.
"Stai male, ragazzo?" Una bella signora si avvicina al suo
viso. Stefano fa segno di no con la testa. Il cappello di sua ma-
dre è lì per terra. Annalisa è andata via con gli altri. Mamma,
però il tuo cappelletto ce l'ho ancora.
"Tieni, bevi." Qualcuno arriva con un bicchiere d'acqua,
"Mandalo giù lentamente. Che disgraziati, gentaccia di strada,
ma io lo so chi è stato, sono sempre gli stessi. Quei perditem-
po che stanno ogni giorno qui al bar."
Stefano beve l'ultimo sorso, ringrazia sorridendo un signore
lì vicino che si riprende il bicchiere vuoto. Sconosciuti. Prova
ad alzarsi, ma le gambe per un attimo sembrano cedergli. Qual-
cuno se ne accorge e si butta subito in avanti per sorreggerlo.
"Ragazzo, sei sicuro di sentirti bene?"
"Sto bene, grazie. Veramente."
Stefano si batte sui calzoni. Della polvere vola via dalle gam-
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