in generale, non hanno avuto colpa.

"Ciao Babi!" Y

"Pallina! Come stai?" i

Pallina posa la borsa con i libri sul banco di Babi. >

"Bene, con un litro di sangue in meno!" v

"È vero. Come sono andate le analisi?" *

Pallina si arrotola la camicia azzurra della divisa mostrando

il suo pallido braccio. "Guarda qui!" Le indica un cerotto dal-

la punta leggermente colorata, arrossata di sangue.

"Questo non è niente. Non sai quel medico per trovarmi la

vena. Due ore. Mi ha punzecchiato tutto intorno e giù pizzicotti

sul braccio, dice lui per farmi uscire la vena. Secondo me solo

per farmi male, mi odia. Mi ha sempre odiato quel dottore. Poi

ha iniziato a parlare che non la smetteva più. Classico per non

farti pensare alla siringa. Mi dice che ho delle vene regali, il san-

gue blu, che devo essere una principessa! E poi tà! Mi infila a

tradimento tutto quell'ago nel braccio. Ma gliel'ho fatta vedere

io la principessa. Gli ho sparato un 'Porca puttana'..."

169

"Pallina!"

"Tu sei più gentile. Mia madre mi ha dato uno schiaffo sul-

la bocca... Non so se mi ha fatto più male lei o quel dottore.

Che poi io li odio, quando provi quella paura da dolore fisico

vuoi solo silenzio intorno a te, ma quelli mica lo capiscono.

Pensa che quando uscivamo ha fatto una battutaccia a mia ma-

dre." Pallina ne imita il tono. "'Una cosa è sicura signora, con

quelle vene sua figlia diffìcilmente riuscirà a drogarsi.' Pessi-

mo, roba da vomito. L'unica cosa positiva di tutto questo è sta-

to che dopo mia madre mi ha portato a fare colazione all'Eu-

clide. Mi sono fatta un maritozzo con la panna da favola! A

proposito, hai ricevuto il mio pacchetto?"

"Sì, grazie!"

"No, perché quel tuo portiere ha la faccia di uno che deve

sempre sapere che c'è nel pacchetto che lasci. È peggio di una

macchina a raggi x... Si vede che sono ancora sconvolta dalle

analisi, eh?"

"Abbastanza."

"Allora non se l'è mangiato lui il cornetto di Lazzareschi?"

"No" dice Babi sorridendo.

"Sono stata perdonata?"

I "Quasi."

"Come quasi? Che, te ne dovevo lasciare due?"

"No, devi ritrovarmi la Vespa entro le otto."

"La tua Vespa? E come faccio? Chissà dov'è finita. Chi ce

l'ha? Chi l'ha presa? Che ne posso sapere io?"

"Che ne so? Tu sai sempre tutto. Sei ben introdotta nel-

l'ambiente. Sei la 'donna' di Pollo. Una cosa è certa, quando

mio padre stasera torna alle otto la Vespa dev'essere in gara-

gè..."

"Lombardi!" La Giacci è sulla porta. "Vada al suo posto per

favore."

"Sì, mi scusi professoressa, sto facendomi dire che cosa

hanno fatto nell'ora di religione."

"Ne dubito... Comunque si vada a sedere lo stesso." La Giac-

ci va alla cattedra. Pallina prende la borsa dei libri.

Babi la ferma. "Ho un'idea. Non c'è più bisogno di trovare

la mia Vespa, almeno non subito."

Pallina sorride.

"Meno male. Era impossibile! Però come fai? Quando tuo

padre ritorna e non trova la Vespa in garage che gli dici?"

"Ma mio padre troverà la Vespa in garage."

"E come?"

"Facile, ci mettiamo la tua." << »Wi»w «.--t/v -vxj >i -

170

"La mia Vespa?" ,,- ' $ , C

"Ma certo, per mio padre sono identiche, aoa se ne accor-

gerà mai." - j , *

"Sì ma io come..." , <

"Lombardi!"

Pallina non fa in tempo a ribattere.

"Questa lezione di religione dev'essere stata interessantis-

sima. Venga intanto qui e mi faccia vedere la sua giustifica-

zione." Pallina si mette la borsa sulle spalle e lancia un'ultima

occhiata a Babi.

"Ne parliamo dopo."

Pallina va alla cattedra. Tira fuori il diario e lo apre alla pa-

gina delle giustificazioni. La Giacci glielo toglie dalle mani. Lo

legge e lo controfirma.

"Ah, bene, ha fatto delle analisi, eh? A lei dovrebbero fare

una trasfusione di cultura. Altro che prelievi del sangue."

La Catinelli da brava secchiona leccaculo ride a quella bat-

tuta. Ma è talmente scadente che perfino la Giacci rimane in-

fastidita da quel fìnto divertimento.

"Oh, c'è qualcun altro che deve farmi vedere il suo diario

firmato." La Giacci guarda ironica verso Babi. "Vero Gervasi?"

Babi le porta il diario già aperto alla nota firmata. La Giac-

ci lo controlla.

"Be', cos'ha detto sua madre?"

"Mi ha messo in punizione." Non è vero, ma tanto vale dar-

gliela vinta del tutto.

Infatti la Giacci abbocca in pieno.

"Ha fatto bene." Poi si rivolge alla classe: "È importante

che i vostri genitori sappiano apprezzare il lavoro svolto da noi

professori e lo appoggino in pieno". Su per giù tutte annui-

scono. "Sua madre, Gervasi, è una donna molto comprensiva.

Sa benissimo che quello che faccio, lo faccio solo per il suo be-

ne. Tenga." Le riconsegna il diario. Babi torna al suo posto.

Strano modo di volermi bene, un due in latino e una nota. E

se mi odiava che faceva? La Giacci tira fuori dalla sua vecchia

borsa in pelle scamosciata i compiti di greco piegati a metà.

Si aprono spavaldi e fruscianti sulla cattedra spandendo

nella classe il magico dubbio di aver almeno raggiunto la suf-

ficienza.

"Vi annuncio che è stata una carneficina. Dovete solo spe-

rare che non esca greco alla maturità." Tutte sono tranquille.

Sanno già la materia: latino. Tutte fanno finta di non saperlo.

In realtà quella sarebbe potuta essere benissimo una classe di

attrici. Ruoli drammatici, a giudicare dal momento. tv

171

"Bartoli, tre. Simoni, tre. Mareschi, quattro." Una dopo l'al-

tra le ragazze vanno alla cattedra a ritirare il loro compito in

silenziosa rassegnazione.

"Alessandri, quattro. Bandini, quattro più." C'è una specie

di processione funebre. Tutte tornano a posto e riaprono su-

bito il compito cercando di capire la ragione di tutti quei se-

gni rossi. È un lavoro per lo più inutile, proprio come il loro

tentativo di traduzione andato male.

"Sbardelli, quattro e mezzo." Una ragazza si alza facendo

un segno di vittoria. In effetti per lei lo è. Era abbonata al quat-

tro. Quel mezzo voto in più è un vero e proprio traguardo.

"Carli, cinque." Una ragazza pallida, con gli occhiali spes-

si e i capelli unti, da sempre abituata al sette, sbianca. Si alza

dal banco e procede con passo lento verso la cattedra chie-

dendosi cosa possa aver sbagliato. Un brivido di gioia percor-

re i banchi. È una delle secchione della classe, e non passa mai

un compito.

"E vai!" le sussurra Pallina quando la poveraccia le sfila ac-

canto. La Giacci consegna il compito a Carli. Sembra sincera-

mente dispiaciuta.

"Che ti è successo? Forse stavi poco bene? Oppure questa

classe di analfabete è riuscita a contagiare anche te?"

La ragazza abbozza un sorriso. E con un debole "Sì, non

mi sentivo granché" torna al posto. Una cosa è sicura. Ora sta

veramente male. Lei, la Carli. Quella delle versioni impossi-

bili, prendere cinque. Apre il compito. Lo rilegge rapidamen-

te, trova subito il tragico errore. Sbatte il pugno sul banco.

Come ha fatto a confondersi? Si porta le mani tra i capelli sin-

ceramente disperata. La felicità della classe tocca vertici in-

credibili.

"Benucci, cinque e mezzo. Salvetti, sei." È andata. Quelle

della classe che ancora non hanno ritirato il compito fanno un

sospiro. Ormai è la sufficienza assicurata. La Giacci consegna

i compiti in ordine crescente, prima i voti peggiori poi lenta-

mente sale fino alla sufficienza e ai vari sette e otto. Lì si fer-

ma. Non ha mai messo di più. E anche l'otto è un evento nien-

te male.

"Marini, sei. Ricci, sei e mezzo." Alcune ragazze aspet-

tano tranquille il loro voto, abituate e trovarsi nella zona al-

ta della classifica. Ma per Pallina questo è un vero e proprio

miracolo. Non crede alle sue orecchie. Ricci sei e mezzo?

Quindi ha preso almeno quel voto, se non di più. Si imma-

gina tornare da sua madre a pranzo e dirle "Mamma ho pre-

so sette in greco". Sarebbe svenuta. L'ultima volta che ha pre-

172

so un sette è stato in storia, su Colombo. Cristoforo le piace

un casino, fin da quando ha visto una foto su un libro che lo

ritraeva con una bandana rossa al collo. Un vero capo. Viag-

giatore, deciso, uomo di poche parole. E poi, bene o male, il

primo ad andare in America. È lui che ha lanciato la moda

degli States. A pensarci bene c'è anche una vaga somiglian-

zà fra lui e Pollo.

"Gervasi, sette." Pallina sorride felice per l'amica.

"Vai Babi." Babi si gira verso di lei e la saluta. Una volta

tanto non deve essere dispiaciuta di aver preso più di Pallina.

"Lombardi." Pallina salta fuori dal banco e si dirige veloce

verso la cattedra. È euforica. Ormai è almeno un sette.

"Lombardi, quattro." Pallina rimane senza parole.

"Il tuo compito deve essermi finito per sbaglio fra questi"

si scusa la Giacci sorridendo. Pallina prende il suo compito e

torna affranta al banco. Per un attimo ci ha creduto. Come sa-

rebbe stato bello prendere sette. Si siede. La Giacci la guarda

sorridendo, poi riprende a leggere i voti degli ultimi compiti.

L'ha fatto apposta quella stronza. Pallina ne è sicura. Per la rab-

bia gli occhi le si riempiono di lacrime. Cavoli, come ha fatto

a cascarci? Sette in una versione di greco, è impossibile. Do-

veva capirlo subito che c'era sotto qualcosa. Sente un bisbiglio

a destra. Si gira. È Babi. Pallina cerca di sorridere con scarso

risultato. Poi tira su col naso. Babi le mostra un fazzoletto. Pal-

lina annuisce. Babi lo annoda e glielo lancia. Pallina lo pren-

de al volo. Babi si sporge verso di lei.

"Piagnona! Dovresti fare la camomilla. Dopo, tutto il resto

ti sembra una cretinata."

Pallina scoppia a ridere di gusto. La Giacci la guarda infa-

stidita. Pallina alza la mano per scusarsi, poi si soffia il naso e

approfittando del fazzoletto davanti al viso alza il medio. Qual-

che ragazza intorno a lei se ne accorge e ride divertita.

La Giacci sbatte il pugno sulla cattedra.

"Silenzio! Ora interrogo."

Apre il registro.

"Salvetti e Ricci."

Le due ragazze vanno alla cattedra, consegnano i quader-

ni e aspettano al muro pronte a essere fucilate di domande. La

Giacci guarda di nuovo il registro. "Servanti." Francesca Ser-

vanti si alza dal banco sbalordita. Quel giorno non toccava pro-

prio a lei. Doveva interrogare Salvetti, Ricci e Festa. Lo sape-

vano tutte. Va in silenzio alla cattedra e consegna il quaderno

cercando di nascondere la sua disperazione. In realtà è abba-

stanza evidente. È del tutto impreparata. La Giacci raccoglie i

173

quaderni, li mette uno sull'altro pareggiandone i bordi con tut-

te e due le mani.

"Bene, con voi finisco il giro di interrogazioni, poi spero di

mettere da parte greco. Studieremo di più latino. Be', ve lo vo-

glio dire. Quasi sicuramente sarà questa la materia che uscirà... "

Bella scoperta, pensa la maggior parte della classe dentro

di sé. Solo una ragazza ha un altro pensiero. Silvia Festa. Co-

me mai la Giacci non l'ha chiamata? Perché non è stata inter-

rogata lei, al posto della Servanti, come sarebbe stato giusto?

Forse la Giacci sta progettando qualcosa per lei? Eppure la sua

situazione non è delle migliori. Ha già due cinque e non è pro-

prio il caso di peggiorarla. D'altronde la professoressa non può