be. Si asciuga il naso con il maglione ormai sbrindellato e fa

un lungo respiro. Si rimette il cappello e accende la Vespa.

Un fumo bianco e denso esce con grande rumore dalla mar-

mitta. È ingolfata. Lo sportelletto laterale destro vibra più del

solito. È ammaccato. Poi mette la prima e mentre gli ultimi si-

gnori si allontanano lascia lentamente la frizione. Senza vol-

tarsi va giù per la discesa.

Ricordi.

Poco più tardi, a casa. Stefano apre piano la porta e prova

a raggiungere la sua camera senza farsi sentire, passando per

il salotto. Ma il parquet è traditore: scricchiola.

"Sei tu, Stefano?"

La sagoma di sua madre compare sulla porta dello studio.

"Sì mamma, vado a letto."

La madre avanza un poco. "Sei sicuro di sentirti bene?"

"Ma sì mamma, sto benissimo."

Stefano cerca di raggiungere il corridoio, ma la madre è

più veloce di lui. L'interruttore del salotto scatta, illuminan-

dolo. Stefano si ferma, come immortalato da una fotografia.

"Dio mio! Giorgio, presto, vieni qui!" Il padre accorre, men-

tre la mano della madre si avvicina timorosa all'occhio di Ste-

fano.

"Che ti è successo?"

"Ma niente, sono caduto dalla Vespa."

Stefano si ritrae. "Ahi, mamma, mi fai male."

Il padre guarda le altre ferite sulle braccia, i vestiti strap-

pati, il cappello sporco.

"Di' la verità, ti hanno picchiato?"

Suo padre è sempre stato un tipo attento ai particolari. Ste-

fano racconta più o meno come si sono svolti i fatti e natural-

mente la madre, senza capire che a sedici anni ci possono es-

sere già delle regole: "Ma perché non gli hai dato il cappello?

Te ne avrei fatto un altro...".

Mentre il padre abbandona i particolari per passare a qual-

cosa di più grosso: "Stefano, di' la verità, la politica non c'en-

tra, vero?".

È stato chiamato il medico di famiglia, il quale gli ha dato

la classica aspirina e lo ha mandato a dormire. Prima di ad-

dormentarsi, Stefano decide: nessuno gli metterà mai più le

mani addosso. Mai più senza uscirne malconcio.

Al bancone della segreteria c'è una donna con i capelli di

un rosso carico, il naso un po' lungo e gli occhi sporgenti. Non

è certo una bellezza.

"Ciao, ti devi iscrivere?"

"Sì."

"Be', sì, ti può far comodo" dice accennando al suo occhio

ancora un po' pesto e prende una scheda da sotto il tavolo. Non

è neanche simpatica.

"Nome?"

"Stefano Mancini."

"Età?"

"Diciassette, a luglio, il 21."

"Via?"

"Francesco Benziacci, 39." Poi aggiunge: "3.2.9.27.14", pre-

cedendo così la domanda successiva. La donna alza il viso.

"Il telefono, no? Solo per la scheda..."

"Non certo per andare a giocare a videopoker."

Gli occhi sporgenti lo fissano per un attimo, poi finiscono

di compilare la scheda.

"Sono centoquarantacinque euro, cento per l'iscrizione e

quarantacinque ogni mese."

Stefano mette i soldi sul bancone.

La donna li infila in una sacchetta con la zip che richiude

nel primo cassetto, poi, dopo aver poggiato un timbro su una

spugnetta imbevuta di inchiostro, da un colpo deciso alla tes-

sera. Budokan.

"Si paga all'inizio di ogni mese. Lo spogliatoio è al piano

di sotto. Chiudiamo la sera alle nove."

Stefano si rimette il portafoglio in tasca, con la nuova tes-

sera nello scomparto laterale e centoquarantacinque euro in

meno.

"Tocca, tocca qua, è ferro. Ma che dico, acciaio!" Lucone,

un tipo tozzo e basso dalla faccia simpatica, mostra un bicipi-

te grosso ma poco definito.

"Ancora parli? Roba che se ti buco con uno spillo ti faccio

sparire."

Pollo si batte sulla spalla, facendo rumore. "Questa è roba

vera: sudore, fatica, bistecche, quella che hai addosso tu è tut-

ta acqua."

"Ma se sei un bambino, sei minuscolo."

"Intanto di panca ho appena staccato con centoventi! Quan-

do cazzo li fai tu?"

"Subito. Ma che, stai scherzando? Ne faccio due come nien-

te, stai a guardare, eh?"

Lucone si infila sotto il bilanciere. Allarga le braccia, im-

pugna la lunga asta e la tira su, deciso. Scende lentamente e,

guardando il bilanciere a pochi centimetri dal mento, da una

grande spinta, sforzando i pettorali. "Uno!" Poi, sempre con-

trollandolo, scende con il bilanciere, lo poggia sul petto e spin-

ge di nuovo su. "Due! E se voglio lo posso fare anche con più

peso."

Pollo non se lo fa ripetere due volte: "Davvero? Allora pro-

va con questa".

Prima che Lucone possa posare il bilanciere sui cavalietti,

infila una piccola pizza laterale da due chili e mezzo. Il bilan-

ciere comincia a piegarsi verso destra. "Ehi, che cazzo fai? Sei

scemo...?"

Lucone cerca di trattenerlo, ma piano piano il bilanciere

comincia a scendere. I muscoli lo abbandonano. Il bilanciere

di botto gli cade sul petto, pesantemente.

"Cazzo, levamelo di dosso, sto soffocando."

Pollo ride come un pazzo: "Che ci vuole, posso farlo anche

con due pizze in più. Allora? Te n'ho messa una sola e già stai

così? Stai proprio a pezzi, eh? Spingi, dai, spingi..." gli urla

quasi in faccia... "E spingi!" E giù risate.

"Me lo vuoi togliere di dosso, dai!" Lucone è diventato com-

pletamente paonazzo, un po' per la rabbia, un po' perché sta

davvero soffocando.

Due ragazzi più piccoli, alle prese con una macchina lì vi-

cino, si guardano, indecisi sul da farsi. Vedendo che Lucone

comincia a tossire e che facendo sforzi bestiali non riesce a le-

varsi quel bilanciere di dosso, decidono di aiutarlo.

Pollo è disteso per terra, a pancia sotto. Ride come un paz-

zo, battendo le mani sul legno del pavimento. A un tratto si gi-

ra di nuovo verso Lucone, con le lacrime agli occhi, ma lo vede

lì, in piedi davanti a lui. I due ragazzi lo hanno liberato.

"Oh! Come cazzo hai fatto?"

Pollo si da subito alla fuga, ancora ridendo e inciampando

su un bilanciere. Lucone, tossendo, lo insegue.

"Fermo, ti sfondo, ti ammazzo. Ti do una pizza in testa e

ti faccio diventare ancora più nano di quello che sei."

Si inseguono furiosamente per tutta la palestra. Girando

intorno alle macchine, fermandosi dietro colonne, ripartendo

improvvisamente. Pollo, nel tentativo di fermare l'amico, gli ti-

ra addosso alcuni manubri. Delle pizze di gomma rimbalzano

pesantemente a terra, schivate da Lucone che non si ferma di

fronte a nulla. Pollo imbocca la scala che porta allo spoglia-

toio femminile. Passando di corsa urta una ragazza che fini-

sce contro la porta, aprendola. Tutte le altre, nude, che si stan-

no cambiando per la lezione di aerobica, iniziano a gridare co-

me pazze. Lucone si ferma sugli ultimi scalini, estasiato di fron-

te a quel panorama di morbide colline, umane e rosate. Subi-

to Pollo torna indietro.

"Cazzo, non ci credo, questo è il paradiso..."

"Andate all'inferno!"

Una ragazza leggermente più coperta delle altre corre ver-

so la porta sbattendogliela in faccia. I due amici rimangono

per un attimo in silenzio.

"Hai visto quella in fondo a destra, che tette che aveva?"

"Perché la prima a sinistra... Il culo di quella lo butti via?"

Pollo prende l'amico sottobraccio, scuotendo la testa. "Ro-

ba da non crederci, eh? No che non lo butto via... Mica sono

frocio come te!"

Così, dopo quella breve pausa erotica, riprendono a rin-

corrersi.

Stefano apre il foglio della sua scheda, gliel'ha data Fran-

co, l'istruttore della palestra.

"Comincia con quattro serie di aperture, su quella panca.

Prendi dei pesi da cinque chili, ti devi allargare e aprire un po'

ragazzo. Più metti delle basi grosse e più ci potrai costruire so-

pra." Stefano non se lo fa ripetere.

Si distende sulla panca arcuata e comincia. Le spalle gli

fanno male, quei pesi sembrano enormi; fa degli esercizi late-

rali, scende fino a toccare terra, e di nuovo su. Poi dietro la te-

sta. Di nuovo. Quattro serie da dieci, ogni giorno, ogni setti-

mana. Dopo le prime settimane, già sta meglio, le spalle non

gli fanno più male, le braccia si sono leggermente ingrossate.

Comincia a crescergli il petto, anche le gambe si sono rinfor-

zate. Cambia alimentazione. La mattina un frullato con pro-

teine in polvere, un uovo, latte, fegato di merluzzo. A pranzo

poca pasta, una bistecca al sangue, lievito di birra e germe di

grano. La sera in palestra. Sempre. Alternando gli esercizi, la-

vorando un giorno alla parte di sopra e un altro a quella di sot-

to. I muscoli sembrano impazziti. Riposano, da buoni cristia-

ni, solo la domenica. Il lunedì si riprende. Qualche chilo in

più, settimana dopo settimana, passo dopo passo, per questo

è stato soprannominato Step. È diventato amico di Pollo e Lu-

cone e di tutti gli altri della palestra.

Un giorno, sono passati due mesi, entra il Siciliano.

"Be', chi se le fa un po' di flessioni con me?"

Il Siciliano è uno dei primi soci del Budokan. È grosso e

potente, nessuno vuole gareggiare con lui.

"Cazzo, mica vi ho invitati a fare una rapina, ho detto so-

lo facciamo un po' di flessioni."

Pollo e Lucone hanno continuato ad allenarsi in silenzio.

Con il Siciliano finisci sempre per litigare. Se perdi ti sfotte al-

l'infinito, se vinci, be', non si sa cosa ti potrebbe succedere. A

nessuno è mai capitato di battere il Siciliano.

"Allora, non c'è nessuno in questa palestra di merda che

vuoi fare qualche flessione con me?"

Il Siciliano si guarda intorno.

"Ci sono io."

Si gira. Step è davanti a lui, il Siciliano lo guarda dalla te-

sta ai piedi.

"Okay, andiamo di là."

Entrano in una piccola stanza. Il Siciliano si toglie la fel-

pa sfoderando pettorali enormi e braccia ben proporzionate.

"Allora, sei pronto?"

"Quando vuoi."

Il Siciliano si mette giù. Step di fronte a lui. Cominciano a

fare flessioni. Step resiste quanto può. Alla fine, distrutto, crol-

la a terra. Il Siciliano ne fa altre cinque veloci, poi si tira su, da

una pacca a Step.

"Bravo, ragazzo, non vai male. Le ultime le hai fatte tutte

con questa" e gli da amichevolmente un frontino. Step sorri-

de, non l'ha sfottuto. Tutti tornano ai loro esercizi. Step si mas-

saggia i muscoli indolenziti delle braccia. Non c'è stata storia:

il Siciliano è molto più forte di lui, è ancora troppo presto.

5.

Quel giorno. Solo otto mesi dopo.

Poppy e i suoi amici sono davanti al Caffè Fleming, ridono

e scherzano bevendo birra. Qualcuno mangia della pizza rossa,

ancora fumante, leccandone gli angoli laterali per bloccare il

pomodoro che cola. Qualcun altro fuma una sigaretta. Alcune

ragazze ascoltano divertite il racconto di un tipo che gesticola

troppo, parlando della lite con il suo principale: è stato licen-

ziato, ma finalmente s'è tolto una soddisfazione. Gli ha rotto

tutte le bottiglie del locale, la prima poi in modo particolare.

"Sapete che ho fatto? Mi aveva talmente rotto i coglioni che

invece del preavviso gli ho dato una bottigliata in testa."

Anche Annalisa è lì. La sera della rissa non ha chiamato

Stefano, non l'ha più cercato. Ma non importa. Step non è ti-

po da soffrire di solitudine. Da allora non ha avuto più notizie

di nessuno di loro. Quindi, un po' preoccupato, quel giorno, è

andato lui a cercarli.

"Poppy, amico mio, come stai?"

Poppy guarda quel tipo sconosciuto che gli viene incontro.