Luca sorride. "E dove ci sono le donne di quelle tribù che vanno a farsi il bagno al tramonto. Ancora conservo quelle foto che mi hai mandato."
"Sei sporco nell'animo, quello era un servizio fotografico di candidi tramonti, della magica armonia tra uomini e animali."
"Boh, sarà… Io mi ricordo solo delle donne bellissime… e soprattutto molto nude."
"Perché hai voluto notare solo quelle…"
Barbara dà una spinta a Luca. "Scusa, eh… ma dove sarebbero queste foto? Io non le ho mai viste."
Lui la stringe sorridendo. "Buttate due anni fa… Poco prima di conoscerti…" E prova a baciarla. Ma Barbara gli si sfila da sotto. "Sì sì, appena vengo a casa tua cerco nei cassetti…"
Luca allarga le braccia, poi si poggia una mano al petto e l'altra alta verso il cielo. "Te lo giuro, tesoro… Le ho buttate! E comunque era lui che mi portava sulla strada della perdizione…"
Barbara gli dà un'altra spinta. "Hai capito, Niki, guardati da questo Guido, ama la poesia, il surf… Ma soprattutto le belle ragazze."
Guido allarga le braccia. "Non capisco perché mi dipingono così… Io mi sono iscritto a Lettere solo perché ho voglia di studiare. Sì… È vero, amo il surf, mi piacciono le onde perché, come diceva Eugene O'Neill, solo sul mare si è davvero liberi. E per quanto riguarda le belle ragazze… bè, certo…" si avvicina a Niki e le sorride, "uno le guarda…" riprende a girarle intorno squadrandola, "si accorge di come son vestite, si diverte apprezzando le loro scelte… Immagina… Ma una donna bella e basta a cosa può servire? A fare una bella figura con gli altri. Gli altri chi, poi… Non viviamo solo di apparenza. E la bellezza del suo animo invece? Quella riservata ai veri amici, ecco, di quella vorrei vivere…"
Guido allunga la mano verso Niki. "Diventiamo amici?"
Niki lo guarda, poi osserva la sua mano, poi di nuovo i suoi occhi. Però, pensa, sono belli. Ma opta per una soluzione diversa. "Mi dispiace… Ma per quest'anno ho conosciuto già troppa gente." Niki alza le spalle e si allontana.
Giulia scende dal muretto. "Aspetta, Niki, vengo con te…"
Guido si gira sbalordito verso Luca e Marco che ridono di lui.
"È andata male!"
"Grazie alla vostra pubblicità…"
"È una nostra amica…"
"Volevo che diventasse anche mia…"
"Sì certo, come no, una tua… preda!"
Guido scuote la testa.
"Non c'è niente da fare… Voi mi giudicate troppo male… Comunque questa Niki è stata chiara."
"Cioè?"
"Bè… a dirlo è quasi banale. Ma chi disprezza compra."
"Eh, ma questo non è Keats!" Barbara scende sorpresa dal muretto.
"No… ma lei ha lanciato una sfida! E come dice Tucidide: "Sicuramente i più coraggiosi sono coloro che hanno la visione più chiara di ciò che li aspetta, così della gloria come del pericolo, e tuttavia l'affrontano"."
Marco ride. "Sì sì, a spericolato!"
Luca scuote la testa. "Se Niki fosse stata una cozza avrei voluto proprio vedere se affrontavi tutti questi pericoli…"
Cinque
Erica alza gli occhi dal libro per l'esame di Etnologia e Antropologia culturale. Cerca di ripetere mentalmente un passaggio secondo lei importante. A metà si arrende e guarda la pagina. Solleva di nuovo gli occhi e ci riprova. Niente. Non entra. Quand'è così è inutile insistere. Allora se ne va in cucina, mette l'acqua nel bollitore e aspetta che si scaldi. Prende la tisaniera, lo zucchero di canna e un cucchiaio e li mette sul tavolo. Poi cerca in dispensa la scatolona di latta dove tiene le tisane in filtro. La trova. La apre. Comincia a scegliere. Ne ha tantissime. Questa no. Questa l'ho bevuta ieri. Questa non sa di nulla. Ecco. Questa va bene. Ribes, vaniglia e ginseng. La toglie dalla carta e aspetta. Appena l'acqua bolle spegne il fornello, la versa nella tisaniera, infila la bustina e copre la tazza con il coperchio. Dopo i tre minuti di rito toglie il coperchio, aggiunge lo zucchero e si siede. Soffia un po'"per raffreddarla e beve un sorso. Buona. Si sente tanto il ribes. Dà un altro sorso gustando il miscuglio di aromi. Poi guarda la tazza. Bianca con sopra disegnata una piccola fantasia di fiori arancioni. Marca Thun. Ricorda ancora bene la sera in cui Giò gliela regalò. Era prima di Natale, tre anni fa. Lui sapeva bene quanto Erica adorasse le tisane e tutti gli accessori per prepararle. E arrivò con quella grande scatola di cartone con dentro tisaniera, filtro e coperchio, più una miscela di tè bianco, malva e karkadè. Si sentiva il profumo anche se era ancora chiusa. A Erica piacque molto quel regalo. Semplice ma pensato, scelto appositamente, ricercato. Come dovrebbe essere ogni sorpresa fatta col cuore. Da allora l'ha sempre usata. E per miracolo non l'ha mai rotta, come invece le succede di solito con le tazze. Giò. Il suo Giò. Che strano. L'ho lasciato, sì, ma in fondo non riesco a staccarmene. Le Onde mi prendono in giro per questo. Dicono che lo sto solo usando perché non so tagliare i cordoni ombelicali. Che me lo trascino dietro come uno zerbino. Ma non è vero. Io voglio bene a Giò. È una persona stupenda. Avrò diritto di tenermelo come amico, no? E
poi se a lui va bene così… Potrebbe dirmi basta e invece non lo fa. E in fondo che c'è di strano? Ci sentiamo, ci beviamo qualche birra la sera, ci mandiamo sms, e- mail, chattiamo su Facebook, facciamo dei giri, andiamo al cinema, ai concerti. Basta. Non facciamo certo sesso. Siamo solo amici. Anzi, più che amici, proprio perché abbiamo già sperimentato cosa vuol dire stare insieme, con tutte le complicazioni del caso e ora ci prendiamo solo il meglio. Che c'è di strano? Solo perché non tutti sono così maturi da saper trasformare un rapporto d'amore in amicizia? Io sono contenta di non aver perso Giò. Erica dà un altro sorso alla tisana. Poi che c'entra, lo so che magari ci rimane male se sa che esco con questo o con quell'altro. Ma io mica mi ci fidanzo. E poi non gli racconto certo tutto. E nemmeno alle Onde. T'immagini ad esempio se Diletta sapesse con quanti ragazzi sono uscita da quando non sto più con Giò? Mi direbbe che sono solo una superficiale. Che mi sto giocando la reputazione. La reputazione poi. Tutto dipende sempre da come si fanno le cose. Non è vero. Facile parlare per loro. Niki sta con Alex. Olly si è innamorata di Giampi. Diletta ha Filippo. Si sono legate. Fermate. Hanno deciso che basta così, che non hanno bisogno di conoscere nessun altro. Ma come fanno a sapere che è giusto? Io invece voglio capire. Sperimentare. Voglio conoscere persone. Fare confronti. Solo così un giorno potrò sapere se ho incontrato l'uomo che fa per me. Lo riconoscerò proprio per questo. Grazie a tutti quelli che ho incontrato. E poi sono storielle così. Non faccio mica male a nessuno. Mi comporto come gli uomini, no? Loro non vengono criticati se flirtano con tante ragazze. È la solita vecchia storia. Le donne sono delle poco di buono, gli uomini dei miti. E poi non faceva così anche Olly? E restava simpatica a tutti per questo. Bene. Ora tocca a me. È la mia vita. La vivo come mi pare. E poi le uniche ragazze con cui vado davvero d'accordo sono le Onde. Le altre sono solo conoscenze. Con gli uomini invece è tutto più semplice. Sono diretti, sinceri, simpatici. Con loro non ci sono problemi di competizione, non mi devo preoccupare di gelosie per conquistare qualcuno. Siamo alla pari. Io e loro. E tante volte sono migliori di noi donne. Davvero. Anche con Francesco ad esempio è così. Mi piace, è simpatico, gentile, ci sto bene, ma mica è il mio ragazzo. E penso che lui l'abbia capito. E gli sta bene. E poi penso che se mi comporto sinceramente e spontaneamente non può essere sbagliato. Il cuore ha sempre ragione. Lo dicono le canzoni, i libri, i film. Lo dice anche il mio libro di etnologia, in fondo.
Erica beve l'ultimo sorso di tisana. Poi prende la tazza, la sciacqua, la mette a sgocciolare e fa lo stesso col cucchiaino. Lascia il bollitore lì, con ancora un po'"d'acqua ormai solo tiepida. Sistema la zuccheriera al suo posto. Tutto fatto. Sta per tornare in camera sua a ripetere, quando suonano al citofono. E ora chi è? Erica guarda l'orologio. Sono le cinque. Non aspetto nessuno. Passa accanto alla sua stanza. Guarda dentro. Meno male. Non se n'è accorto. Francesco sta ancora dormendo sul letto. Non ha sentito. Erica arriva fino al portoncino. Prende in mano il citofono.
"Chi è?" cercando di non urlare troppo.
"Ciao, stellina, che combini?"
Erica si ritrae un attimo. Non è possibile. E che ci fa qui?
"Antonio, sei tu?"
"E certo, chi vuoi che sia. Ma perché parli piano, non capisco niente col traffico qui dietro… Senti, ti va di venire al Baretto a Trastevere? Stasera c'è il dj- set durante l'aperitivo."
Erica rimane un attimo in silenzio. Poi risponde. "Guarda, non posso, non sto molto bene, preferisco rimanere a casa. Facciamo un'altra volta. Ok?"
"Ah… va bè. Peccato. Allora mi fai salire che ti saluto?"
Erica sbuffa un po'. "No, guarda, mi sono già messa il pigiama, davvero. Ci vediamo domattina in facoltà, dai!"
Antonio rimane un attimo in silenzio. Poi fa una piccola smorfia. "Ok, come vuoi."
E si allontana un po'"scocciato, sistemandosi meglio i pantaloni a vita bassa da cui sbuca un elastico Richmond. Ci teneva davvero a prendersi un aperitivo con lei. Da quando la conosce c'è uscito solo qualche volta ma vorrebbe approfondire. Solo che lei sembra sempre così sfuggente…
Erica si allontana dal citofono e torna in camera. Francesco sta ancora dormendo. Lei salta sul letto. "Oh, ma allora… dormi sempre!" e lo scuote un po'.
Francesco apre un occhio e la guarda di sottecchi. Poi si gira su un fianco. "Oh, ma ti svegli? Come fai a dormire con una donna così bella accanto?!"
Francesco si solleva leggermente. "Ora… insomma… una bella donna…"
Erica gli tira un colpo sulla spalla.
"Ahia! è vero…" Francesco sembra essersi svegliato. "Ora che ti guardo meglio, sì, scusa, sei bellissima… anzi di più. Ti ho forse incontrato in sogno?"
"Sì sì, bravo… te la sei cavata… La prossima volta ti scaravento fuori dalla porta nudo come sei…"
Erica scende dal letto e si rimette davanti al libro. "Mi risenti questo capitolo per vedere se lo so?"
Francesco sbuffa. "No, dai, non mi va… dammi l'iPod che mi ascolto un po'"di musica… e sogno ancora di te…"
Erica sorride. Bè, almeno sa come districarsi con i complimenti. Si allunga sulla scrivania, afferra il lettore e lo lancia a Francesco. Poi guarda il libro. Va bè, ripeterò da sola. Voglio fare una bella figura col prof Giannotti all'esame della prossima settimana. Deve rimanere a bocca aperta. Non che a quell'esame ci tenga particolarmente… è che è proprio troppo fico quel prof! Mi piace un casino. E fare un bell'esame è di sicuro il miglior modo per colpirlo.
Sei
Cristina sta rimettendo a posto alcuni cassetti del mobile della camera da letto. Trova alcune magliette di Flavio piegate. Le prende. Le guarda. Prova tenerezza e rabbia nei confronti di suo marito. Le stringe, le annusa. Ricorda quando le ha comprate, quando gliele ha viste addosso. Ogni momento. Da quanti anni sono sposati ormai? Otto. Hanno superato quella che chiamano la crisi del settimo anno. Ma quelle sono solo dicerie. Leggende metropolitane. Dare un numero all'amore, un'età alla crisi. A che serve? Sciocchi cinismi umani. E improvvisamente ripensa al giorno in cui ha comprato quella particolare maglietta, a quando lui se l'è messa per la prima volta. Poi, nel riporla di nuovo nel cassetto, nota, un po'"nascosta più sotto, una busta. Si stranisce. È di color avorio, stile pergamena. Lì per lì non le rammenta nulla. Poi la apre. Un tuffo al cuore. Riconosce la grafia. Precisa. Asciutta. Appena inclinata sulla destra. Legge la data scritta sulla destra. 2000. Il primo anno del nuovo millennio. 14 febbraio. San Valentino. E comincia a leggerla.
Amore. La parola di San Valentino. La parola di questo giorno appena iniziato. Amore. Il tuo secondo nome. Sono seduto al tavolo in cucina. Tu starai certamente dormendo. È notte. Domattina ti lascerò questa lettera sotto la porta. T'immagino mentre stai per uscire di casa ancora assonnata e la vedi. I tuoi bellissimi occhi che s'illuminano. Tu che ti accucci, la prendi, la apri. E cominci a leggere. E, spero, a sorridere. Una lettera, una piccola lettera che cerca di contenere una grande storia, la nostra. Il mio grazie a te per come mi fai sentire. Sarà impossibile farcela in due fogli ma io ci provo. Perché non posso farne a meno.
Dicono che non si possa parlare d'amore ma solo viverlo. È vero. Ci credo. Se io conosco l'amore è solo perché tu me l'hai fatto vivere e respirare. L'ho imparato con te. E poi ho capito che in realtà non s'impara niente. Si vive e basta, insieme, vicini, complici. L'amore sei tu. L'amore sono io quando sono con te. Felice. Sereno. Migliore. Ricordo ancora la prima volta che ti ho vista. Bellissima. In mezzo alla pista in quella piccola discoteca in Trastevere. Ballavi ridendo, ti muovevi morbida accanto alla tua amica. Avevi un vestitino azzurro con le spalline sottili che dondolava con te. I capelli scuri ricci sciolti sulle spalle, tenevi gli occhi chiusi e seguivi il ritmo. Io ti notai e di colpo non riuscii più a smettere di guardarti. I miei amici volevano continuare il giro e li lasciai perdere. Corsi al bancone del bar, presi da bere per due e scivolando in mezzo alla gente tenendo i bicchieri in alto, sopra la testa perché nessuno li urtasse, mi avvicinai a te, alle spalle, mentre continuavi a ballare. La tua amica se ne accorse, ti fece un cenno col mento e tu ti girasti. E da vicino eri ancora più bella. Ti sorrisi e ti porsi uno dei bicchieri. Tu all'inizio facesti la faccia seria, poi una specie di smorfia e poi un sorriso. Prendesti il bicchiere e brindammo così, due sconosciuti in mezzo a una pista da ballo. E poi parlammo. Non eri solo bella ma anche simpatica. E conoscendoti ho scoperto altre tue mille qualità. Sono fortunato. Molto. E se ripenso a tutto quello che abbiamo fatto insieme sorrido di felicità. La nostra minivacanza a Londra, quando prendemmo l'aereo il venerdì sera e rientrammo la domenica. I giri pazzi per Soho, la cena, fare l'amore in quel parco col rischio di essere scoperti. E ridere. E cercare di parlare bene inglese. E fare gaffe. E poi ancora quella volta che andammo a Stromboli, tenersi per mano camminando per quelle stradine strette, accanto a case bianche e basse, bellissime, piene di piante e fiori. E la scalata al vulcano. E le cene di pesce sulle terrazze dei ristorantini. E ridere di te a cavalcioni su quell'asinello che non ti ascoltava quando volevi che andasse a sinistra, e tu con la faccia buffa, un po'"disperata, di chi si arrende. E poi ancora le nostre serate romane, passeggiare fino a notte fonda senza annoiarsi mai, avere mille cose da dire, raccontare. E poi baciarsi all'improvviso e sentire le tue labbra così morbide appena coperte di lucidalabbra al sapore di frutta, come piace a te. Ogni serata, anche la più semplice, con te diventa speciale. Basta un niente. Non importa dove, a me sembra sempre una festa. E anche quando bisticciamo, poche volte in verità, in fondo mi diverti. Perché dura poco e poi facciamo sempre pace.
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