un foglio dal suo moleskine e scrive, il suo profilo, Le sue labbra, i suoi tratti decisi. È un ragazzo? È un uomo? Il suo fisico forte tranquillo, solo con un maglione leggero nel vento della notte. La sua vita stretta. Le sue gambe lunghe. E poi quel sorriso.

"Ecco, io l'ho scritta. Te la leggo. "Tu che mi hai trovata… Ti grido amore, che tu possa amare di follia ribelle, di insana passione, che queste parole siano per te l'inizio di spericolata felicità…""

Niki rimane in silenzio, colpita dalla bellezza di quelle parole, dalla loro importanza, dall'incredibile sintonia con tutto quello che sta provando. C'è qualcosa di nuovo. Come un ostacolo superato, un velo caduto, una scoperta dietro l'angolo della strada. Quella canzone che irrompe improvvisa, che squarcia il silenzio, ti scuote. E lui è lì. Guido. Quello del primo giorno, della continua sfida, della battuta facile, della risposta sempre pronta. Un po'"fastidioso, un po'"no. Ora di colpo vicino, in perfetta armonia. È come se suonassero insieme una melodia che ad altri non è dato sentire. E nessuno ci avrebbe scommesso. Soprattutto Niki.

"Sono bellissime."

"Sono felice che ti siano piaciute. Tieni, prendi questo foglio e la penna: scrivine una anche tu."

"No… Non mi va."

"Dai. È un gioco, magari potrà essere utile a chi troverà questa bottiglia, magari farà una riflessione sul suo momento, su quello che sta vivendo…"

Niki ci pensa un po'"su. Guido rimane a guardarla. Si fissano per un po'. Poi lui piega la testa di lato. "Allora?"

E alla fine lei accetta, conquistata da quello strano gioco. "Dammi questo foglio."

Lui glielo passa sorridendo. "Bene. Sono contento…" E rimane a osservarla mentre lei cerca nel cielo la sua ispirazione. Ma Niki se ne accorge. "E dai, non mi fissare, sennò non mi viene niente."

"Ok. Allora intanto io varo la mia bottiglia." Trova un piccolo pezzo di ramo del diametro giusto, poi piega il foglio, l'arrotola, lo mette dentro la bottiglia vuota di Corona e ce lo infila. Con il palmo della mano dà qualche colpetto per farlo arrivare ancora più in fondo e quando ormai è incastrato lo spezza a metà. Prende la bottiglia con quel suo nuovo tappo di legno improvvisato e la poggia dolcemente sul fiume. L'acqua la rapisce, quasi la strappa dalle sue mani e la porta via così, veloce, diretta verso chissà quale destinazione. Niki intanto ha finito di scrivere. "Ecco fatto…"

Arrotola il foglietto e lo infila dentro la sua bottiglia. "Ma non me lo leggi?"

"No. Mi vergogno."

"Ma dai…" Guido le sorride, si finge dispiaciuto. "Sono sicuro che sarà bellissimo."

"Non so. Ho scritto la prima cosa che mi passava per la testa. Chi troverà questa bottiglia la leggerà."

Guido allora capisce che non è il caso di insistere, che lei ha bisogno della sua indipendenza, della sua possibilità di scelta, e che già il fatto che abbia deciso di giocare con lui è un bellissimo risultato. Così la aiuta a mettere un pezzo di un altro ramo per tappo e poi insieme a lei scende sul bordo del fiume per varare anche questa seconda bottiglia. E rimangono così a guardarla andare su e giù nell'acqua, con il collo che scompare ogni tanto per riapparire più in là, fino a perdersi nel buio.

"Fortunato chi leggerà le tue parole. Chissà se sarà in grado di immaginare la bellezza di chi le ha scritte…"

Niki si gira e lo trova vicino. Molto vicino. Troppo vicino. Ora sono avvolti nella penombra di quell'anfratto, sotto la chioma verde di un grande albero. I lunghi rami si abbassano su di loro come un grande ombrello naturale. Li proteggono anche dal più semplice raggio di luna. Sono lì, sospesi da tutto. Un vento leggero, ora più caldo, muove qualche foglia, poi i capelli di Niki. Quel ciuffo ribelle scivola giù così, sul suo viso, e quasi le disegna un ricamo indeciso, un punto interrogativo, un boccolo curioso che finisce la sua corsa lungo il bordo della guancia. Un silenzio fatto di mille parole. I loro sguardi e quegli occhi che sorridono sereni, consapevoli della bellezza del momento. Quell'attimo che sembra durare un'eternità.

Guido muove la mano, la alza delicatamente verso il suo viso, sposta quel ricciolo ribelle e si trova ad accarezzarle tutti i capelli. Lentamente continuano a fissarsi. Occhi negli occhi, mentre le loro labbra avanzano e piano piano si avvicinano con un movimento millimetricamente magico e nello stesso tempo si schiudono come fiori sbocciati sul letto di quel fiume. E quelle labbra rosse, morbidi petali di due giovani sorrisi, sono sempre più vicine. Niki? Niki? Ma cosa stai facendo? Lo stai per baciare? E allora, come destata da un dolce sogno, come richiamata da un'improvvisa ipnosi, Niki torna in sé e quasi si vergogna di quel suo lento cedere, della debolezza di quel momento, della folle, sciocca, semplice, umana attrazione. E mortificata si ritira e abbassa gli occhi. "Scusa ma non posso."

No, non voglio, pensa Guido. No, non mi piaci. No, non ti desidero.

Solo non posso. Come se in realtà volesse, come se il desiderio ci fosse, come se potesse accadere ma non adesso. Un giorno. E allora senza fretta, senza fastidio, con un sorriso pieno di semplicità e leggerezza. "Non ti preoccupare. Ti accompagno a casa."

E in un attimo Niki si ritrova dietro la sua moto, intontita, confusa, disorientata, e non basta il vento fresco del lungotevere a far chiarezza nella sua mente e soprattutto nel suo cuore. La moto procede lenta e a un certo punto Niki sente la mano sinistra di Guido che ha abbandonato il manubrio e si ritrova sopra la sua, la stringe quasi a darle sicurezza, a non farla sentire perduta. "Tutto bene?" Guido incrocia nello specchietto i suoi occhi, che spiano sorridendo, e vorrebbe darle tranquillità e fiducia. Continua e insiste. "Tutto ok?"

"Sì, tutto bene."

Allora sorride e annuisce. Calma e tranquillità. E fanno ancora un po'"di strada mano nella mano, definitivamente messo da parte ogni litigio, ogni sciocca battuta o presa in giro. È come se fossero entrati in una nuova dimensione. Complici. E Niki guarda in basso, sulla sua gamba. La sua mano stretta in quella di Guido, così a lungo, immobile, quasi arresa. Complici. E non si sente colpevole. In fondo cosa ho fatto? Si chiede. Eppure sa perfettamente di respirare aria nuova. Un sospiro lungo, profondo, pieno. Complici. Mai avrebbe pensato di poter stare così con un altro. Un altro. Un altro. Le viene quasi da gridare questo termine, talmente le appare rumoroso e stridente e strano e assurdo e alieno e impossibile. Un altro. Un altro. Mai avrebbe potuto pensarlo. Guarda di nuovo la sua mano, è lì, nella sua e non le sembra possibile. Eppure è così. E allora chiude gli occhi e si appoggia alla sua schiena e si lascia portare completamente arresa per le strade di questa strana notte. Silenzio. Neanche il traffico fa più rumore. Silenzio. E come se tutta la città fosse rimasta a bocca aperta. E una lacrima ribelle le riga il viso. Sì, è così. Sono complice. E, quasi senza accorgersene, si trova davanti all'università.

"Ecco, siamo arrivati…" Niki scende veloce dalla moto e poi quasi nascosta dai capelli, sfuggente anche con se stessa, lo saluta. "Ciao…" E fugge via, senza dargli neanche un bacio. Corre verso la sua auto, la apre e non si gira. Accende il motore e via, non si accorge quasi di guidare fino a casa. Si infila dentro il portone chiudendoselo alle spalle. Poi chiama l'ascensore. E rimane così, respirando affannata, cercando disperatamente di nuovo il suo equilibrio. Entra nell'ascensore e si ritrova davanti allo specchio e stenta a riconoscersi. I capelli mossi dopo la corsa in moto, selvaggi, ribelli

malgrado il casco, e poi il suo viso, così diverso, gli occhi divertiti, turbi, folli, mossi da sana, eccessiva pazzia. Quella voglia di libertà, di incredibile ribellione a tutto e a tutti, di non avere più confini, né limiti, né doveri, di appartenere al mondo e a se stessa. Sì, solo a se stessa. Entra in casa. Tutti dormono per fortuna. Allora in punta di piedi raggiunge la sua camera e chiude piano la porta. Un sospiro. Poi tira fuori dalla borsa il telefonino. Lo poggia sul tavolo e lo fissa. È spento. Mi avrà cercata? Chissà. Ma non ho voglia di accenderlo ora. Non voglio sapere. Non voglio dipendere da nulla e da nessuno. Dov'eri? Cosa hai fatto? Non lo so. Ma sì, ero con le mie amiche. E improvvisamente si ribella anche a questo. Dover dire una bugia. Mentire. Ma come? E la mia vita? Perché devo mentire? Perché non ho più la libertà di essere me stessa? In base a cosa devo controllarmi, limitarmi, far finta di non provare qualcosa solo perché "non si addice" a una che sta per sposarsi? Ma cosa sto diventando? Niki cammina nervosamente per la stanza. Sente come un grido soffocato che la riempie, pretende spazio, attenzione. Ma che sto dicendo? Io amo Alex, sto con lui, ho lottato per lui. Io, che ho sempre criticato tutto questo quando lo vedevo negli altri, ora che faccio? Sono peggio di loro? Erica, Olly, le altre mie compagne di scuola, gli amici del liceo. Ogni volta che ho sentito una storia di questo genere ho sempre sparato a zero su tutto e tutti senza possibilità di trattativa. E ora? Ora non sono altro che una di loro. Anzi peggio, perché ho perfino avuto il coraggio di parlare, di criticare, di giudicare, di riderne, pensando: a me non potrà mai capitare una cosa del genere. Che schifo, dicevo, non potrei mai. E invece ora sono proprio io a essere in una situazione come quella. Indecisa, insicura, non felice, spedita e raggiante verso un unico lui ma, cosa terribile, con un piede in due staffe. E sentendo quest'ultima frase rimbombare nella sua mente come una cannonata, come un boato improvviso, come un possibile attacco a tutto ciò che di bello fino a ieri aveva costruito, Niki non ha più dubbi. Non ha scelta. Non più. E così si avvicina a quel tavolo, lì dove ha studiato per la maturità, dove ha pianto e sofferto e guardato mille volte il telefonino sperando invano in un suo messaggio. Quanti pugni su quel tavolo quando si era lasciata con Alex, desiderando che lui tornasse, che le dicesse ho sbagliato, torniamo insieme, perdonami. Sposta la sedia. Quanti giorni, quante lacrime. Quanta disperazione. E ora? Silenziosamente, si siede. Ora tutto è di nuovo cambiato. E così si passa la mano tra i capelli, li toglie dal viso e si trova costretta a fare quello che non avrebbe mai immaginato.


Centoquattordici


L'appartamento di Mattia è abbastanza grande ma non particolarmente curato. L'arredamento è un misto di mobili anni Settanta e qualcosa preso all'Ikea. Sembra quasi che sua nonna abbia abitato lì fino a poco tempo prima. Su un paio di mobili ci sono addirittura dei centrini all'uncinetto e in corridoio un cassettone con specchio occupa quasi tutto lo spazio. Il salotto è diventato una specie di palestra. Ci sono vari attrezzi e un tapis roulant.

"Qui è dove mi rilasso… l'attività fisica è la miglior cura contro stress e mal di testa. Vieni…"

Entrano in una piccola cucina. Mattia accende il lampadario al neon e apre il frigo. Prende un piatto di vetro con sopra una torta alla crema. Poi da un cassetto tira fuori un coltello e da un altro sportello un piattino e un bicchiere. Sistema sulla tavola il portatovaglioli e una bottiglia di Malvasia a metà.

"Prego, accomodati. Non possiamo lasciare una principessa senza dolce."

Cristina sorride. Si siede. Anche Mattia. Lui le taglia una bella fetta e gliela mette davanti. Cristina inizia a mangiare con gusto. Mattia la guarda. "Ma sei proprio una buona forchetta… insaziabile…"

Mattia prende una punta di crema con un dito e, mentre lei non se ne accorge, le sporca un po'"il naso. Cristina ride. Scherzano. Poi un pezzettino di torta finisce in bocca a Mattia. Giocano. Mattia si avvicina.

"Fatti assaggiare…" e comincia a baciarla piano, quasi a simulare un morso. Cristina prima è un po'"rigida, poi si lascia andare. E un bacio morbido, lungo, intenso. E una carezza. Due. E poi in piedi, una maglietta che vola, un vestito che scivola giù, lui che la solleva e la porta di là. Il corridoio, una porta scura che si apre, una camera da letto, un'abat- jour che si accende. E ancora baci, carezze, passione. Cristina sente sotto le dita quel corpo perfetto, i muscoli definiti, la pelle liscia e calda. Poi si guarda intorno come

può. E nota che quella stanza è l'unica a essere arredata in modo moderno, con molti specchi alle pareti e pochi mobili tutti bianchi. Nota anche un'altra cosa, che Mattia ogni tanto girandosi si guarda riflesso in uno di quegli specchi. Compiaciuto. Forse dei suoi muscoli, di se stesso protagonista di quella scena. Cristina non l'ha mai fatto con tanti specchi intorno e un po'"si sente imbarazzata. Ma Mattia è dolce e alla fine la coinvolge e lei non ci pensa. E ancora baci, e lui sopra di lei. Poi Cristina nota qualcos'altro. Su una mensola vicina alla finestra c'è una piccola sfera di vetro, di quelle con la neve. Dentro c'è un pupazzetto che porta un cartello con su scritto "Ti amo". Cristina di colpo si rattrista. E simile a quella che avevo regalato a Flavio per fargli una piccola sorpresa… e lui aveva riso. E mi aveva abbracciata. E poi aveva girato quella palla di vetro con dentro il pupazzetto una volta e poi di nuovo e aveva guardato la neve cadere. Quella che ora è in camera sul suo comodino. Mi è sempre piaciuta tanto. Magari anche a lui l'ha regalata qualcuno di speciale. E ci tiene, E allora gli sta un po'"più simpatico. E si lascia toccare. Ma mille ricordi riaffiorano mentre Mattia continua a baciarla senza sapere a cosa sta pensando.