"Pronto? No, Andrea. Oggi non passo in ufficio." "Pronto, mamma? Ti volevo dire una cosa." Silenzio e la paura delle domande, della curiosità umana, del perché e per come qualcosa finisce. "No no, è solo rimandato. Fermate tutto." Spostato a un domani, chissà. Ma loro insistono, vogliono sapere.

"Ma perché, c'è forse un'altra persona? Per te? Per lei? Avete litigato? Posso fare qualcosa, mi sembra brutto non chiamarla, e i

suoi genitori poi? Non è carino sparire così… Alex, dicci la verità! Possiamo fare qualcosa per te? La nostra casa è sempre aperta… Passa, raccontaci qualcosa, ti prego."

E dall'altra parte senti una curiosità avida, come se le vicende umane comunque fossero sempre ragione di sorpresa, di frugare, cercare, aprire cassetti, leggere lettere, di sapere notizie, sorprendenti verità, drammatiche scoperte! Affamati di vita altrui. Ma cosa volete sapere mai! Cosa c'è da sapere più del fatto che finisce un amore! È finito allora. Finito? Ed è quasi un urlo straziante, quella parola, è come se il cuore, sentendola pronunciare dalla mente, si attorcigliasse, si stendesse come un elastico dalle assurde capacità, teso come un arco violento pronto a scoccare la dolorosa freccia, ancora di più, più teso, fino all'inverosimile, fino a spaccarsi, come cinque corde musicali portate all'esasperazione, ultimo straziante assolo di un vecchio cantante rock al suo ultimo bis, come antico cigno, ormai rauco, in quel suo amato canto finale. Ecco, così si sente Alex, inginocchiato, stremato, sconfitto, graffiato, di fronte alla bellezza e alla grandiosità del suo amore per Niki. Solo ora capisce quanto l'ha amata, solo ora si vergogna di averla fatta soffrire, di avere tolto anche solo per un attimo quel sorriso dal suo viso, e vorrebbe punirsi per aver causato qualche lacrima, vorrebbe sdoppiarsi, clonarsi, creare un altro Alex, innocente, al quale dare una frusta per farsi punire, sentire sulla sua schiena quei colpi taglienti e quegli stessi segni dipingersi immediatamente dello stesso meraviglioso rosso delle labbra di Niki, e ancora altri segni, nuovi, sottili ma feroci e profondi, graffianti, con uncini che portano via la sua pelle, perfetti come il sorriso di lei… quel sorriso che terribilmente gli manca. Tutto questo vorrebbe sentire e altro ancora. E nemmeno il peggiore dolore fisico è paragonabile a quello che sta provando nel suo cuore. L'assurdo di quel vuoto pneumatico, l'assenza totale di tutto, come un respiro fatto in un mondo senz'aria, come aver mandato giù un bicchiere vuoto, un tuffo in una piscina senz'acqua, il silenzio delle profondità marine, l'assenza di qualsiasi suono, parola, colore, gioia, felicità, sentimenti cristallizzati, come un mondo spaccato a metà, e improvvisamente quel sorriso rubato, stampato, crocifisso, impagliato, privo di anima. Così si sente Alex, con un vuoto lancinante. Chi è stato a rubarmi l'emozione, il sentimento, la felicità? Ladro, maledetto ladro dell'amore, l'hai preso e poi nascosto, imbottigliato, e spedito nelle profondità più fredde di questa terra che oggi mi ospita. Avanzo giorno dopo giorno senza avvertire più

il calore del sole, e tutto mi annoia e dolorosamente mi tortura, destinato a soffrire in eterno, come un condannato all'ergastolo che però non ha mai visto un tribunale o dei giudici o qualcuno che potesse dirgli qualcosa, il perché delle sue colpe, qualunque esse siano. No. Starà per sempre in quella stanza, solo, con i suoi pensieri e i suoi ricordi, cercando di immaginare chi lo ha rinchiuso e quale potrà mai essere stata la sua colpa… Se mai c'è stata colpa. Come quel film che mi aveva spiazzato, violento, drammatico, straziante nella sua strana assurdità. Old Boy. Un film coreano. Una vicenda incredibile che pescava nella parte più profonda della mente, nel nero più scuro. Come se un enorme octopus, uno di quei polpi giganteschi, arrivasse dagli abissi, avvolgesse con i suoi enormi tentacoli la zattera di un povero naufrago che sta dormendo e se lo portasse giù, nell'oscurità del mare senza che lui se ne possa accorgere, sparendo così, pluff, d'incanto. Quando soffri in questo modo stenti a credere che ci sia un Dio, che ci sia veramente qualcuno lassù tra quelle stelle che non abbia pietà della tua disperazione. E per un attimo ti ricordi della felicità dell'amore e il solo scorgere la bellezza di quel paradiso ti fa capire ancor di più le atrocità dell'inferno che stai vivendo. Poi Alex guarda la tv. Un conduttore straordinario, che ha conquistato tutto e tutti, annaspa sudato su un palcoscenico, si butta per terra, salta, prova a dirigere un'orchestra, poi di colpo si ferma e parla di qualcosa. Ma Alex ha tolto il volume. E così non sa quello che dice, ma vede le sue labbra, sente i suoi occhi. È affaticato e quello sguardo è triste e i suoi occhi si dipingono di sofferenza e allora Alex capisce che non servono parole, né soldi, né successo o potere per riacquistare quella luce, quella piccola enorme fiamma il cui nome è felicità. E non esiste negozio, né documento o carta o raccomandazione che te la possa restituire. Ma allora non è vero nulla. Alla fine degli arcobaleni non c'è quella pentola piena di monete d'oro. Dopo il "The end" dei film romantici, dopo quella bellissima scena d'amore, dopo quell'ultimo bacio appassionato prima di andare a nero con quella musica bellissima, non c'è più nulla. Nulla. Anzi, magari quei due attori si odiano! Dopo lo "stop!" del regista non si salutano, non si parlano, si chiudono nei loro rispettivi camerini e telefonano a qualcun altro per sparlare l'uno dell'altra.

"Sai che ha fatto? Ha allungato le mani, è un porco, sembra uno fichissimo sullo schermo e invece fa schifo."

Oppure è lui che si sfoga. "Non sai, bacia malissimo! E in più

ha un alito terribile, un corpo flaccido… Mi dovrebbero dare il doppio dei soldi solo per girare quella scena con lei…"

E Alex continua così, come ubriaco dentro il suo dolore senza però aver bevuto un goccio. Cerca di dare un senso a questa vita, ma in certi casi è proprio come dice Vasco, quando si soffre così, la vita un senso non ce l'ha. Non ce l'ha senza l'amore. Senza te, Niki. E continua quel frullato. "Tanti giorni in tasca tutti lì da spendere. Ma perché adesso senza te mi sento come un sacco vuoto, come un coso abbandonato?" E continua a mettere le canzoni di Battisti come se in qualche modo solo lui e Mogol sapessero veramente di cosa Alex stia parlando, come se solo loro due al mondo sapessero veramente quale dolore infinito è perdere l'amore. E resiste e soffre in silenzio, e porta avanti la sua vita come se fosse tutta aggrappata a delle grosse funi, e se le aggancia alle spalle, quale giogo di bue, e trascina soffrendo il peso della vita, giorno dopo giorno, al lavoro, in ufficio, scherzando e ridendo con tutti come se nulla fosse successo, tra la gente, per strada, nei negozi, dall'alimentari e ancora tra i suoi amici, la sera, in quell'unico silenzio che ogni tanto gli è permesso. Eppure resiste, passano le settimane e resiste. E gli sembra impossibile. E ogni sera gli sembra ancora più dolorosa, come se mettesse spazio oltre che tempo tra tutto ciò che aveva e quella improvvisa partenza per un viaggio non previsto, magari senza ritorno. Tutto è finito? Sul serio è tutto finito? No. Non può essere. E vivere in questa incertezza fa ancora più male. È come se Alex volesse rimanere nel dubbio, non sapere bene fino in fondo cosa sarà di loro, quella stessa frase che si erano detti sempre allegramente, quasi prendendosi in giro… lo scopriremo solo vivendo. E ora? Cosa rimane ora da scoprire? Forse il nulla del loro silenzio. Freddo, cinico, perfido, cattivo, divertito. Ah, terribile. E allora solo quella canzone. Orgoglio e dignità. All'infinito. Resistere. "Lontano dal telefono. Sennò… si sa."


Centoventiquattro


Il parco di Villa Pamphili è illuminato da un bel sole. Molte persone si godono una breve passeggiata prima del pranzo domenicale. Enrico spinge il passeggino mentre Ingrid ride indicando dei bambini che corrono più in là.

"Che fai?" chiede voltandosi indietro. Anna si è fermata a guardare una quercia molto grande. La osserva con attenzione.

"Hai visto quant'è bello quest'albero? È sanissimo. Mi piace."

"Sei un'ecologista, eh?"

"Sì, e gli alberi sono importantissimi… Sai, no, che fissano il carbonio…"

"Io so che fanno fresco d'estate… Ingrid, che c'è? Non ti sporgere così." La bambina sta cercando di prendere un sonaglio che le è caduto per terra. Anna fa una piccola corsa, li raggiunge e si inginocchia a raccoglierlo. Lo porge a Ingrid che ride. Anna si alza e ricominciano a camminare, ora vicini.

"Come mai così appassionata di natura?"

"È stato mio padre… mi ha insegnato molto facendomi capire l'importanza di amare, capire e proteggere l'ambiente. Mi portava con sé in lunghe passeggiate in campagna e collina, andavamo al mare, in bicicletta, insomma sempre in giro e senza automobile. Mi divertivo tanto. Sapeva spiegarmi ogni cosa, il nome di ogni animale, perché si comportava così, come mai quell'albero aveva le foglie di quella forma e tante altre cose… Mio padre era forte. Si era trasferito a Roma quando aveva solo vent'anni per lavorare come grafico e ce l'ha fatta."

"E dove abitava prima?" chiede Enrico sistemando un po'"meglio il giubbottino di Ingrid.

"In Olanda. Mio padre era olandese. Ecco perché sono così bella e bionda!" Anna scuote un po'"i capelli con aria provocatoria. Ma poi non resiste e si mette subito a ridere. Enrico la guarda. In effetti è proprio bella. Ma Anna è già oltre. Parla velocemente guardando avanti a sé. "See! Scherzavo… bella, proprio no. Ma

bionda sì! Comunque era un grande uomo… è morto tre anni fa… e mi manca tantissimo…"

Un velo di tristezza si posa improvviso sugli occhi di Anna. Si ferma e si avvicina al passeggino di Ingrid per giocarci un po', un modo per allontanare quella nostalgia che difficilmente passa. Enrico la guarda di nuovo. E sente una dolcezza improvvisa che lo avvolge. Vorrebbe quasi abbracciarla per consolarla da quei pensieri! Riprendono la passeggiata.

"La cosa più bella che mi ha insegnato, comunque, è l'amore. Ha amato tantissimo mia madre, che è romana. Sono stati una coppia fantastica, uniti, complici. Per questo ho le mie idee sul matrimonio. Non mi voglio accontentare di una storia così, tanto per fare… per me dev'essere qualcosa di unico, intenso, un progetto vero di due persone che si adorano e si aiutano a vicenda, che si piacciono molto e anche dopo tanti anni hanno voglia di baciarsi… come succedeva ai miei genitori che si cercavano sempre anche fisicamente…" continua Anna.

Un vento leggero le scuote i capelli, mandando un ciuffo sugli occhi. Lei lo scosta delicatamente e continua a camminare.

"E quindi il tuo sogno è sposarti?" chiede Enrico.

"Il mio sogno è una famiglia, come formalizzarla poi uno lo vede lì per lì. Ma una famiglia solida, allegra, vera, che non si rompe alle prime difficoltà… una famiglia composta da un uomo e una donna che si rispettano davvero, che vogliono il bene dell'altro e non si arrendono… ma vedo che troppo spesso non è così. Oggi le coppie si rompono al primo problema, sembra che stiano insieme solo perché è di moda essere coppia, non perché ci credono davvero… Hai visto quanti matrimoni finiscono dopo pochissimo tempo?" Poi Anna si blocca. Certo che l'ha visto… È successo anche a lui. "Scusami, Enrico… non volevo dire…"

Enrico sorride un po'"amaramente. "Non ti preoccupare… hai ragione… anch'io la penso come te. Solo che poi mi guardo intorno e vedo anche i miei amici, Flavio, Pietro, lo stesso Alex, nemmeno le loro storie vanno bene… La nostra società si modifica e alla fine uno si deve accontentare non di realizzare il suo sogno ma quello comune… che è meno bello e romantico… "i castelli in aria che si costruiscono con poca spesa sono costosi da demolire…""

Anna lo guarda. "Bella questa frase…"

E per un attimo Enrico si sente simile a Pietro, il "citazionista" che tante volte ha criticato perché usa le frasi altrui per farsi bello.

"Sì, grazie… non è mia, è di François Mauriac…" E un po'"se ne vergogna.

Continuano a camminare, dirigendosi verso il parcheggio. Ormai l'ora di pranzo è vicina e Ingrid inizia ad aver fame.

"Resti a mangiare con noi oggi? Dai… Facciamo un primo e poi ci sono formaggio e affettati e un po'"di radicchio fresco con l'aceto balsamico, se vuoi…" chiede Enrico.

Anna sorride. "Sì, dai, non ho nulla in frigo… mi salvi!"

Poco più tardi a casa d'Enrico. Anna è in cucina che sta mettendo piatti e stoviglie in lavastoviglie. Enrico sta finendo di sparecchiare mentre Ingrid si è addormentata sul divano. Squilla il telefono. Enrico va a rispondere.